Consumi

Qualità, gourmet: trappole per l’immaginario

15 Aprile 2018

“Sarei timbrato come autentico parmigiano reggiano. Timbrato, capisci?
Perché un prodotto di qualità. Io vivo di qualità.
Essere un prodotto di qualità superiore riconosciuta e sottolineo riconosciuta.
Questo trovo sia il massimo”

Walter Fontana, L’uomo di marketing e la variante a al limone.

La qualità è diventata una parola d’ordine, tutto è qualità e tutto è di qualità (chissà che ne direbbe Musil?).
Siamo ossessionati dalla qualità, non per perseguirla ma per seminarla, ci insegue, ne sentiamo parlare continuamente. E’ un sinonimo per tutte le stagioni insieme alla sua amica più cara, l’eccellenza. Quando non si sa più quale nucleo di senso sposare par parlare di qualcosa, ecco che lei ci arriva in aiuto.
Ma certo, come abbiamo fatto a non pensarci? La qualità dei rapporti umani, la qualità del cibo, la qualità delle immagini, la qualità del lavoro, la qualità delle materie prime, la qualità dei giocatori, la qualità della classe politica.
La qualità (e la propaganda che l’accompagna) sa insinuarsi nel nostro immaginario, conosce i nostri territori retorici (come li chiama Augé), ovvero sa accendere, nei nostri neuroni, il desiderio, l’idea di qualcosa di grande, di superiore, di unico. Per farci sentire, in definitiva migliori, anzi i migliori.
La capacità di affascinarci di certi vocaboli non la sto scoprendo certo io, da sempre le parole abbinate alle immagini hanno forgiato il nostro immaginario e qualità è senz’altro una di esse.

L’istinto viene rimosso, l’ottundimento delle facoltà discriminanti, di cui parlava all’inizio 900 il sociologo tedesco Simmel a proposito della vita nella metropoli (riferendosi a coloro che vivendo in città grandi poteva dedicare le loro energie a un numero ristretto di persone), si compie perfettamente vista la quantità di informazioni da cui siamo colpiti e a cui non possiamo stare dietro.
L’illusione è che di affidandoci agli influencer (di cui dovremmo fidarci secondo non si sa quale metrica), agli algoritmi (generati appositamente), ai social network (gestiti con fini non sempre limpidi) possiamo semplificare, descrivere o interpretare la realtà (che da questi stessi mezzi ci viene raccontata come sempre più complessa), quando invece la creano, influenzandone la nostra percezione.
La controprova ci arriva dal proliferare del gourmet: caffè gourmet, pizza gourmet, hamburger gourmet, Sushi gourmet, Kebab gourmet, gelato gourmet, barbiere gourmet, pane gourmet, cibo per gatti gourmet, garden gourmet etc.. Gourmet è il sogno briatorizzato del comune che diventa qualità in purezza, si prende un prodotto diffuso mangiato o utilizzato da molti e, con un colpo di bacchetta magica, lo si fa diventare gourmet
Questa ossessione per il gourmet e per la qualità come concetti – più di marketing che di sostanza – ricorda molto quello che scriveva Roland Barthes sui piatti proposti da Elle e dall’Express; “Elle [con un pubblico più popolare] dà la ricetta delle pernici-fantasia, l’Express [con un pubblico dalle maggiori possibilità di acquisto] quella dell’insalata mista. “ (R. Barthes , Miti d’oggi). Una vuole raccontare una favola, l’altra è concreta reale.

Gourmet, è l’illusione che tutti possano avere, pagando qualche euro in più, l’accesso all’esclusività; inseguendo le recensioni, gli influencer e gli algoritmi, perché far intrappolar il nostro immaginario ci è dolce in questo mare.
O veramente qualcuno pensa che una cosa fatta bene e basta, come dio comanda, debba essere solo e soltanto gourmet e non possa essere semplicemente solo buona?
All’immenso Lucio Dalla spetta di diritto la chiusa; l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale

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