Consumi

Lusso, dove sei?

12 Marzo 2019

Da circa un paio di mesi, scorrendo il feed di Instagram, non ho potuto fare a meno di notare il ripetersi di alcuni tópoi tra i vari contenuti delle grandi maison di cui sto ancora cercando di carpire il valore. Non fraintendetemi: il senso di certe scelte, seguendo una linea logica di contagio dei vari brand e dei post che finiscono per assomigliarsi più o meno tutti sulla falsa riga di Gucci, mi risulta abbastanza chiaro: sempre più millennial-oriented, sempre meno legati all’estetica del bello e dell’esclusivo, talvolta, con un certo dispiacere, sempre più orientati alla dinamica dello shocking-first (no matter what).

Il lusso come “capolavoro d’arte moderna” (cit. Sergente Hartman)

Ricordo ad esempio una foto Kristen McMenamy postata da Valentino completamente nuda in mezzo a un freddo scenario milanese, con una sola pochette a coprirne i genitali: le braccia raggrinzite, i lunghi capelli bianchi e la pelle di cartapesta in primo piano. A vederla le si sarebbero dati settant’anni, salvo poi scoprire che è del ’66 e che i commenti sotto la foto sono tutt’altro che di apprezzamento per lo scatto anticonformista, probabilmente d’intento artistico, di cui non è arrivato né il primo né il secondo messaggio per un semplice motivo: la troppa sofisticazione genera di risposta un’eccessiva semplificazione, soprattutto se il pubblico è vasto.

Non più un’eccezione senza tempo, ma un dettaglio del quotidiano

Una domenica mattina invece mi sono svegliata con una foto di Bottega Veneta che di Bottega Veneta non aveva nulla, e che compariva in un feed completamente azzerato: nell’immagine, una ragazza in una posa abbastanza sgraziata che sul momento mi ha fatto tornare in mente una scena dei miei vent’anni non proprio lusinghiera (una giovane piegata all’uscita dei bagni del Cocorico con quella faccia un po’ così, a metà tra il “ce la faccio a trattenerla” e il “fammi prendere il telefono in borsa che mi faccio venire a prendere“). Lateralmente si vede poi una borsa di eccellente fattura, la cui qualità del pellame permette un effetto sacca di tutto rispetto, proprio come ci si aspetta da Bottega Veneta, sebbene i commenti sulla somiglianza con Balenciaga siano piovuti. Il fatto è che se non hai una particolare conoscenza dell’argomento o un occhio di attenzione in più verso il materiale, la prima cosa che pensi è che una tizia ubriaca nella sala d’attesa di un posto qualunque stia cercando di sistemare una sedia con sopra una borsa, mentre un tizio in piedi aspetta di capire se raccoglierla o vedere cosa fa con la suddetta sedia.

Meno distanza, più informalità

Per due mesi poi, a partire da San Valentino, sono stata letteralmente invasa da contenuti dove emergevano sempre più evidenti partnership, prodotti e contenuti incentrati sul sentimento nostalgico dell’infantilismo declinato al suo massimo potenziale: penso per esempio a Pomellato, che in occasione dei 30 anni del suo Orsetto, evento che ha coperto in parte anche la fascia di San Valentino, ha creato una serie di contenuti dalla grafica e dai testimonial molto fuori target rispetto al suo solito Over 35. Il binomio orsetto-infanzia è abbastanza scontato, un po’ meno il pensare che le giovani Millennial possano trovare ingaggiante un tipo di comunicazione sbarazzina in una fase della loro vita dove iniziano a sentirsi per la prima volta donne e non hanno alcun interesse a tornare indietro, casomai più a sondare la scoperta di questa maturità e dei suoi gusti rinnovati. Risultato: nonostante l’endorsement della Ferragni, dei volti giovani e delle sponsorizzazioni, i contenuti dell’Orsetto hanno ricevuto molte meno interazioni di quante probabilmente avrebbero potuto avere se in quel modo di apparire ci fosse stato qualcosa di autentico, da vero “stile Pomellato”.

E quindi?

Non ha senso essere nostalgici dei tubini Givenchy indossati dalla Hepburn, e neppure pensare che il lusso, per rimanere tale, debba perpetrare la sua stessa immagine ad libitum mantenendo una linea fissa nel presentarsi al mondo nel tempo. Quel che invece ha senso osservare e che rende tutto molto più interessante, è come i concetti di “bellezza” e di “distante dalla massa”,  un tempo fondamentali per far rientrare qualsiasi oggetto nella definizione, oggi stiano diventando sempre meno determinanti per definire cosa ne faccia realmente parte.

E anche se il prezzo aumenta, come nel caso dell’iPhone (primo caso di prodotto tecnologico in grado di giocare sul concetto di lusso), il rivolgersi alla massa (Gucci) sta portando ad un appiattimento delle distanze percepite, e forse anche del valore stesso di come si è pensato al lusso e del significato che gli è stato dato fino ad oggi.

Perché in fondo, si può giustificare il prezzo pagato per il possesso della bellezza e dell’arte che sta dietro ad una creazione che porta in sé qualcosa di unico e di cui, per proiezione, ci appropriamo durante l’acquisto, ma a fatica si può tollerare di pagare tanto per ottenere ciò che altri milioni di instagrammers più o meno sconosciuti possono avere in egual modo e risemantizzare in base al proprio profilo, il più delle volte applicando al prodotto stesso un valore, un’estetica e una narrazione differente rispetto a quella proposta dal brand.

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