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L’e-commerce è il futuro, e le aziende italiane lo sanno
Michele Barbera è il CEO di SpazioDati, startup dietro Atoka. Questo post è sponsorizzato da:
L’e-commerce cresce, anche in Italia, di anno in anno. Nel 2015 il valore degli acquisti online ha superato i 16 miliardi di euro, con un aumento rispetto all’anno precedente di 2,2 miliardi di euro. Insomma, non si tratta di noccioline, anche se rimangono lontani non solo due paesi come la Germania e il Regno Unito, dove l’e-commerce vale rispettivamente 71 e 127 miliardi di euro, ma anche la Francia (57 miliardi) e persino la Russia (20 miliardi) (dati Ecommerce Europe relativi al 2014).
In ogni caso il trend è in ascesa, e riguarda in particolare i settori canonici dell’editoria, del turismo, dell’informatica di consumo e dell’abbigliamento, dove peraltro svettano siti come Amazon, eBay, Trivago e così via. In questo caso però si rivela veritiero il vecchio adagio di Wall Street: the tide lifts all the boats. Crescono infatti categorie nuove come il cibo (a cominciare da quello biologico), l’arredamento, i giocattoli e la cosmetica/profumeria. Per fare i loro acquisti gli italiani usano sempre di più smartphone e tablet, e non hanno problemi a comprare su siti stranieri: secondo il report “Global connected commerce” della Nielsen, il 79% degli italiani acquista online oltre confine, un dato superiore pure a quello degli indiani (74%), dei tedeschi (73%) e dei cileni (69%).
Non sono però tutte quante rose e fiori. Prima che in Italia si arrivi ai numeri della Francia, che pure è un paese abbastanza vicino a noi per popolazione e PIL, ne dovrà passare di acqua sotto i ponti. Per esempio, l’Italia è uno dei meno digitali e connessi del mondo. Per utenti di internet (in proporzione al numero di abitanti) non siamo nemmeno tra le prime 100 nazioni del mondo, e la banda larga costa cara ed è poca. Occorre poi un vero cambio di mentalità, da parte delle aziende ma anche dei compratori, che devono prendere familiarità con una modalità di business ancora relativamente nuova.
Forse è per motivi come questi che i consumatori online italiani non sono tra i più attivi del mondo, e neanche d’Europa. Secondo il già citato rapporto della Nielsen, non spicchiamo in nessuna tra le principali categorie d’acquisto di beni: escludendo gli asiatici (coreani del sud, cinesi e giapponesi brillano in quasi tutte le categorie), i tedeschi sono entusiastici acquirenti di prodotti di moda, i britannici online sono imbattibili nell’acquisto di cibi freschi e oggetti di uso quotidiano, i polacchi (insieme ai tedeschi) comprano prodotti di bellezza, gli spagnoli viaggi, i francesi (però dopo tedeschi e britannici) libri e musica, i turchi alimentari (pure loro però alle spalle di britannici e tedeschi).
Questi numeri ci fanno capire da un lato l’enorme potenziale dell’e-commerce in Italia, ma dall’altro la tanta strada ancora da percorrere. Una crescita degli acquisti online gioverebbe a tutti. Ai consumatori, che vedrebbero le loro possibilità di scelta crescere a dismisura; alle piccole e piccolissime imprese, che potrebbero raggiungere un pubblico assai più ampio senza dover passare attraverso le catene di distribuzione; alle grandi aziende, che riuscirebbero così a intercettare nuovi tipi di consumatori. L’e-commerce permette di sperimentare e valorizza le nicchie produttive, invoglia all’acquisto (se il sito è fatto bene), consente un’offerta sempre più personalizzata e adatta alle necessità del consumatore.
Ecco perché le aziende italiane puntano sempre di più sull’e-commerce, seppur consapevoli delle difficoltà. Questo risulta pure a noi di SpazioDati sulla base dei dati estratti dall’archivio di Atoka, il nostro strumento di sales e marketing intelligence. Come si può leggere in questo post, grazie a un nuovo filtro di cui abbiamo dotato Atoka, siamo stati in grado di individuare oltre 30mila aziende italiche dotate di un sistema di commercio elettronico, scoprendo che le principali piattaforme usate sono, nell’ordine:
1. WooCommerce, plugin di WordPress;
2. PrestaShop, celebre sistema Open Source per gestire la vendita online;
3. Magento, popolare piattaforma di e-commerce, disponibile anche con licenza Open Source;
4. OpenCart, altra piattaforma e-commerce open source.
Dato che l’argomento è interessante (e importante), prometto ai lettori che ci torneremo nelle prossime settimane. Intanto possiamo dire che in questo settore l’Italia, nonostante tutto, si muove.
Michele Barbera, autore dell’articolo, è il CEO di SpazioDati.
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