Clima
La transizione ecologica, e chi la deve pagare
Nell’epoca delle grandi trasformazioni che stiamo attraversando è ormai giustamente ai primi posti dell’agenda l’esigenza di promuovere e accompagnare una transizione ecologica in grado di garantire la salvaguardia dell’ambiente attraverso l’affermazione di stili di vita più sostenibili.
Da più parti è abitualmente invocato un modello di sviluppo, che veda nell’integrazione tra le dimensioni economica, ambientale e sociale il paradigma per assicurare il benessere delle persone e del pianeta.
D’altra parte, è sempre più evidente che la questione ambientale richiede anzitutto una drastica trasformazione del sistema economico, senza la quale il programma socio-ecologico rischia di rivoltarsi contro i lavoratori, le classi medie e le aree più svantaggiate del globo.
In questo panorama, otto italiani su 10 guardano con favore alla transizione ecologica. Di questi, 5 su 10 (in crescita di 5 punti percentuali rispetto a due anni fa) la considerano giusta, anche se non applicabile in tutti i settori; 3 su 10 (il 32%, 6 punti in meno rispetto a due anni fa) la ritengono indispensabile e da attuare assolutamente; quasi 6 su 10 non accettano il “ricatto del lavoro”, ovvero che la possibile perdita di occupazione determinata dai costi per la riduzione dell’impatto ambientale dei processi produttivi, sia una motivazione per rinviarla. Costi che dovrebbero essere sopportati dalle imprese, anche con una riduzione dei margini di profitto, ma sostenute dallo Stato con specifici bonus fiscali.
Sono queste, in sintesi, le principali evidenze che emergono dal recente Report “FragilItalia”, elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos, in base ai risultati di una ricerca condotta su un campione rappresentativo della popolazione, per testarne l’evoluzione delle opinioni relative al tema “Transizione green: lavoro e costi, come cambiano i consumi”.
L’esigenza della transizione verso prodotti e metodi di produzione eco-sostenibili, anche in considerazione dell’aumento dei prezzi che si sta verificando, è avvertita dall’81% degli intervistati. Sullo sfondo di questa percezione complessiva, come già anticipato, rispetto a due anni fa cresce di 5 punti la percentuale (il 49%, con una punta del 54% tra gli over 65) di chi la considera giusta, anche se non applicabile in tutti i settori; mentre è in calo di 6 punti la percentuale di chi la considera indispensabile e da attuare assolutamente. Seguono, a distanza, quelli che la ritengono pericolosa, perché metterebbe a rischio molte imprese (il 12%) e quelli che ritengono che le imprese debbano essere libere di fare le proprie scelte (il 7%, 1 punto in più).
La ricerca ha anche affrontato un tema ricorrente nel dibattito sulla transizione verde, ossia quello dei possibili impatti negativi sull’occupazione. In proposito, dalla rilevazione emerge come il 57% degli italiani (con una punta del 72% tra gli over 65) non accetti il “ricatto del lavoro”, ovvero non sia d’accordo che le aziende, pur di difendere i posti di lavoro, sacrifichino la riduzione del proprio impatto ambientale. Significativo, tuttavia, pure il parere opposto, al 43%, con una punta del 56% tra gli under 30 che evidenzia la opposta lettura tra pensionati e segmenti più attivi della società.
Una polarizzazione analoga di valutazioni si ritrova anche nelle risposte sul tema dei costi dei prodotti ecosostenibili. Quasi 6 italiani su 10 (il 57% degli intervistati, con punte del 68% tra gli under 30 e dl 66% al Sud) ritengono giusto che i prodotti green ed ecosostenibili abbiano un prezzo più alto per consentire alle imprese di coprire i maggiori costi di produzione; di parere opposto il 43%, con punte del 56% tra gli over 65 e del 50% nel ceto popolare.
Ma da chi dovrebbe essere sostenuto questo aumento dei costi di produzione e, semmai, dei prezzi al consumo? Su questo punto l’alta inflazione e l’incremento del costo della vita dell’epoca post covid hanno evidentemente avuto un effetto sulle opinioni degli italiani, dal momento che si registrano differenze marcate rispetto alla medesima rilevazione effettuata due anni fa.
Cresce infatti di 9 punti percentuali (al 56%), la quota di chi pensa che l’aumento dei costi dovrebbe essere sostenuto unicamente dalle imprese, anche riducendo i loro margini di profitto (con punte del 74% tra gli over 65 e del 65% al Nord Est) e di 11 punti percentuali (al 21%, con una punta del 27% tra gli under 30) la quota di chi ritiene che siano i consumatori a doversi sobbarcare questo onere, accettando un aumento dei prezzi.
Ma soprattutto, cala drasticamente di 20 punti (al 23%, con una punta del 27% tra gli under 30, e al Sud) la percentuale di chi pensa che una quota dei costi della transizione dovrebbe essere sostenuta dallo Stato, anche tagliando altri servizi ai cittadini e al welfare, riconoscendo specifici bonus fiscali alle imprese. In ciò, evidentemente, le incertezze sulle politiche industriali di questi anni e sui loro effetti, comprese le inversioni a U in materia di bonus, paiono avere lasciato tracce sulla fiducia dei cittadini nella capacità delle autorità pubbliche di orientare adeguatamente questi processi.
In conclusione, è evidente che, per quanto le resistenze relative ai processi in corso conducano su alcuni aspetti al perdurare di una polarizzazione di opinioni, la gran parte degli italiani è certamente sensibile o addirittura convinta della esigenza di condurre e accelerare i percorsi di transizione ecologica anche tramite il cambiamento delle proprie abitudini.
La segmentazione delle opinioni, tuttavia, conferma come in particolare dopo il brusco risveglio dall’emergenza pandemica sia terminata la fase irenica nella fiducia verso una generica “sostenibilità”, e siano sempre più percepiti, da un lato, la esigenza di orientare questi processi, e, dall’altro lato, i rischi connessi ai costi e agli impatti, tutt’altro che irrilevanti sulla vita dei cittadini.
La caduta di fiducia nei confronti delle politiche attuate negli anni recenti per indirizzare imprese e consumi nella direzione desiderata, insieme alle difficoltà nell’attuazione concreta dei piani di investimenti pubblici improntati proprio al sostegno delle transizioni digitali ed ecologica, non sono in proposito un segnale rassicurante. Sarà proprio questo il banco di prova dei decisori pubblici e delle classi dirigenti italiane ed europee nei prossimi anni a tutti i livelli: lasciare i cittadini e le imprese a mani nude di fronte alle transizioni, oppure saper progettare e realizzare, politiche all’altezza dei nostri tempi.
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