Consumi

La spesa della quarantena

13 Marzo 2020

A stare in casa l’attività fisica delle mandibole è dominante, e adesso siamo in quattro. Quattro esseri umani in forzata convivenza. E un solo frigorifero. Il momento dello spesone arriva. Solo che l’altro ieri sera tornando dalla mia camminata fuorilegge ho visto fuori dall’Unes una fila che si allungava come un biscione (da dire una cosa: la strizza si sta trasformando faticosamente in solidarietà e pazienza). Un po’ per questo, un po’ perchè la fidaty la tengo come passpartout, puntiamo all’Esselunga. E qui ho una sola strategia, da sempre: fare la spesa quando l’italiano la consuma. Ora di pranzo. E ha funzionato, anche in tempo di guerra.

Io e mia figlia grande, per la prima volta da quando è maggiorenne, entriamo tranquilli all’Esselunga verso la una, con cinque sacchetti della spesa, targati ognuno con una sigla diversa di supermercato. Sei/sette persone per corsia, in media, non di più. Che non si guardano mai. Che si ruotano intorno. O nei rari casi in cui abbiano la stessa preda, sbirciano lo scaffale tenendosi a distanza, in attesa del proprio turno.

Riempiamo il nostro carrello con attenzione agli spazi, tenendo al piano sotto gli alimenti più solidi e robusti. Un lavoro molto japan, che contiene anche un sottile divertimento. Frutta e verdure all’inizio, con le pere abate marmoree, il cavolfiore e le patate alla base; a metà carni, salumi e formaggi in ordine promiscuo; quindi pasta e riso a iosa e in piedi, dritti come robusti soldati. Sopra le vaschette del pesce fresco: le alici sanguinanti e abbracciate, e due coppie di orate addomentate con gli occhi aperti. Davanti, in fondo al carrello, il plotone dei vini in offerta al 40 per cento. Stare in casa ok, ma senza scaldarsi un po’ il sangue e l’umore no: posso sopportare tutto, meno che l’ascetismo.

La cassiera con mascherina ha quarant’anni circa, non è la mia preferita, ma di questi tempi ci si accontenta; passa gli alimenti con calma, mentre con la collega alle mie spalle scambia i particolari di una ricetta. Le parole escono vibranti e soffiate dalla mascherina, e intuisco che per lei sia un’avventura, un piatto che voleva provare da un po’ ed è arrivato il momento. Mi sarei aspettato molto più stress, invece le due cassiere mostrano una divertita rassegnazione. Una serena intimità. Se quella del contatto è stata sepolta, un’intimità deve in qualche modo circolare.

E la parola e lo sguardo non hanno recinti.

Noi intanto siamo in azione coordinata: mia figlia mette sul rullo, io riempio i sacchetti. Al momento del totale da pagare la cassiera mi chiede se le ho passato la Fidaty.

– Sì, all’inizio, le ho anche detto che aveva la pellicina scollata.

– Ha ragione, sì certo. No niente, è tutto ok, mi scusi, mi ero distratta.

– Che bello, potersi ancora distrarre! – dico. Lei sorride con dubbio: la mia ironia deve apparirle ambigua. Evito però lo piegone della mia intenzione e infilo nella feritoia la carta di credito.

– Grazie, di essere qui! -, mi esce prima di andarmene. E sono serio, sincero. Mi guarda stupita. Poi risponde: – È il mio lavoro.

Non è più solo un lavoro. La cassa di un supermercato è una nuova trincea.

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