Consumi

Il potere commerciale della nostalgica madeleine

21 Aprile 2021

Durante il lockdown della primavera scorsa, Barilla ha lanciato una pubblicità dedicata all’Italia e agli italiani. Il filone, battuto da molte altre aziende, era quello del “distanti ma uniti”, con un richiamo diretto al senso di comunità, alle bellezze del Paese, a un futuro in cui saremmo tornati a camminare per le strade d’Italia liberi dal virus. Per accompagnare le immagini aveva scelto un motivo molto noto a chi, come me, è stato bambino sul finire degli anni Ottanta. La celebre sequenza degli spot “classici”, dalla bimba che salva il gattino sotto l’acquazzone, ai genitori che affrontano un volo intercontinentale per ricongiungersi con il figlio, sposato in Giappone. L’effetto, anche sull’onda di un’emotività piegata da settimane di sofferenze trasmesse ventiquattr’ore su ventiquattro, di isolamento fisico ed relazionale, era assicurato. La nostalgia si giocava sul “prima della pandemia”, ma anche su quel mondo perduto rappresentato dal sogno di un benessere e di una crescita costante, di felicità a portata di portafoglio e bellezza a rate, che la crisi dei primi anni duemila si era già mangiata da un pezzo.

Un passato desiderabile, tanto più desiderabile in un contesto in cui ogni schema era saltato, ogni riferimento e sicurezza. Da qui le tante operazioni nostalgia che, fra web, televisione e cinema, abbiamo visto nascere in questi anni. La moda che pesca a piene mani dal passato, le icone degli anni Ottanta che tornano sugli schermi, Netflix che sceglie, come colonna sonora della sua pubblicità “Neverending story”, quasi un inno generazionale.

L’attivazione emotiva generata dal ricordo funziona: le persone si fermano colpite da un richiamo proustiano. In realtà non tutte le persone, ma una categoria specifica, particolarmente appetibile dal punto di vista commerciale, ovvero quella dei trenta quarantenni, il target perfetto per i beni promossi attraverso il commerciale classico, ma anche la prima generazione cresciuta a pane e tv commerciale, la “mamma tv” delle pubblicità che duravano quasi quanto i programmi che intervallavano.

A differenza delle pubblicità dei decenni successivi, quelle create a cavallo fra anni ottanta e novanta mantenevano un filone narrativo, un elemento riconoscibile (la musica, un personaggio, una sorta di “trama”) più simile a quella di Carosello che agli spot ai quali oggi siamo abituati, ma – a differenza dell’illustre predecessore – possedevano già l’elemento pervasivo, martellante, costante degli spot attuali. Portavano insomma il pubblico a casa ad affezionarsi a strutture narrative estremamente semplici – nella fruizione, non nella costruzione – fatte ingoiare a viva forza. E non senza una certa soddisfazione. Ambrogio e la signora in giallo, “I feel good, I feel fine” della Coppa del Nonno che segnava l’inizio dell’estate, insieme al cornetto che “ha il cuore di panna”, “Prendila morbida” delle Morositas. Sequenze ripetute per anni, più volte al giorno, a portata di telecomando per i più piccoli. Una lenta sedimentazione che, in un momento storico in cui l’acquisto ha perso di valore come atto, se non si accompagna a un discorso esperienziale ed emotivo (abbiamo tutto a portata di click con la possibilità di confrontare in modo immediato le offerte più vantaggiose) può trasformarsi in carta vincente da estrarre per riconquistare un pubblico che si sta allontanando. Cosa può portare una persona che sta facendo la spesa on line, ad esempio, a cliccare su un pacco di pasta con un prezzo meno vantaggioso? La fidelizzazione rispetto al marchio non basta, non è più garanzia di un “vantaggio certo”.

Ecco allora che l’elemento emotivo entra in gioco, richiamando, con un semplice motivo o un’immagine, uno spazio affettivo distante, ma cucito addosso, che la ragione osserva in modo critico e non senza una certa diffidenza, ma che arriva dritto al punto, senza bisogno di convincere. L’acquirente vuole comprare quell’emozione, ripescarla dai meandri in cui si è persa e poco importa che il mondo sia cambiato, che i prodotti stessi siano cambiati. La nostalgia rassicura e consola, questo basta al momento dell’acquisto. E mentre si pongono mille dubbi e questioni sulla bontà di un vaccino, c’è di sicuro una grande fetta di popolazione che sarebbe disposta a recuperare prodotti ormai scomparsi (senza tante riflessioni in merito agli ingredienti) pur di tornare, con un assaggio, a quei “tempi là”. E il pubblicitario che gioca a fare il Proust contemporaneo, in fondo, ha capito tutto.

Ph. credits Barilla commercial

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.