Consumi
Il malessere di un paese “problematico”
L’incrocio chiave è avvenuto all’inizio di quest’anno, quando alla domanda: come prevede “la sua situazione economica personale e familiare nei prossimi sei mesi?” le attese ottimistiche e quelle pessimistiche si equivalevano; da quel momento, tuttavia, la linea delle prime è precipitata, e quella delle seconde si è impennata.
Il crollo della fiducia degli italiani ha anticipato di parecchio quello delle imprese, e le fosche previsioni che essi paventavano si sono finora via via realizzate. Ora abbiamo sotto gli occhi un paese impaurito, preoccupato, sfiduciato: e, attenzione, arrabbiato.
Del resto, se un italiano su quattro si sente povero e se due terzi del “ceto popolare” temono di perdere il lavoro, quali altre sensazioni potrebbero provare?
Quasi 8 italiani su 10 esprimono un giudizio abbastanza o molto negativo sulla situazione economica del Paese; 4 su 10 ritengono che la situazione economica della loro famiglia peggiorerà nei prossimi mesi; inoltre, quasi 6 italiani su 10 ritengono possibile che l’aumento delle disuguaglianze di reddito provocherà ondate di protesta contro i ricchi e i privilegiati.
Sono queste, in sintesi, le principali evidenze che emergono dal Report “FragilItalia”, di Area Studi Legacoop-Ipsos, per testare le opinioni relative al “Contesto economico sociale nel Paese”.
Per quanto riguarda la percezione sulla situazione economica, negativa per il 78% degli intervistati, rispetto ad un anno fa rimane sostanzialmente stabile, al 47%, la percentuale di chi esprime un giudizio abbastanza negativo. Ma cresce invece di ben 14 punti percentuali la quota di giudizi molto negativi, che passa dal 17% di un anno fa al 31%.
Una tendenza analoga si registra, con dinamiche ancora più decise, sul piano dei giudizi sulla situazione economica familiare. Cresce di 19 punti percentuali la quota di chi la prevede in peggioramento nei prossimi mesi, passando dal 23% di un anno fa al 42% attuale, con un’accelerazione particolarmente evidente rispetto a febbraio di quest’anno, ovvero all’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, quando era attestata al 28%. In parallelo, cala di 10 punti la percentuale di chi prevede un miglioramento, passando dal 29% di un anno fa al 19% attuale.
Un quadro che trova una rispondenza anche nelle difficoltà attuali degli italiani ad affrontare spese “ordinarie” che segna il solco delle diseguaglianze. Mentre, infatti, un terzo degli italiani dichiara di non avere alcuna difficoltà, una quota crescente del paese, con percentuali sensibilmente più alte nei ceti meno abbienti, sta perdendo il sonno. Il 34% dichiara di avere difficoltà ad andare dal dentista (il 68% nel ceto popolare), il 32% ad andare in vacanza (52% nel ceto popolare), il 22% ad acquistare regolarmente scarpe o capi di abbigliamento nuovi (43% nel ceto popolare), il 18% a cambiare gli occhiali.
Interessanti i risultati relativi alla percezione delle soglie di reddito individuale che determinano una condizione di povertà e la composizione della “piramide sociale” del Paese. Riguardo al reddito, emerge come per un 28% sia da considerare povera una persona che vive da sola con un reddito inferiore a 1.000 Euro al mese e per un altro 28% con un reddito inferiore agli 800 euro. Ma c’è anche una percentuale rilevante, il 26%, che fissa questa soglia a 1.200 Euro.
Una fotografia che si riflette anche nella percezione relativa alla “piramide sociale” del Paese, definita sulla base della valutazione espressa dagli intervistati riferendosi al loro reddito e alle condizioni di vita. Ne risulta che rispetto ad un 33% che esprime una percezione positiva, dichiarando di appartenere per il 6% alla upper class e per il 27% al ceto medio, ben il 66% percepisce una collocazione sociale “problematica”. Il 39%, infatti, si colloca in un ceto medio “in discesa”, con un reddito che non consente lussi; il 15% nel ceto “fragile”, con difficoltà ad arrivare a fine mese; l’11% nella lower class, con la percezione di avere meno del necessario o di sentirsi povero.
Difficoltà che trovano una rispondenza nella quota (il 41%, ma il 63% nel ceto popolare) di chi si sente parzialmente (33%) o totalmente (8%) escluso dalla società di oggi, pur non pregiudicando la prevalenza (56%, e 71% nel ceto medio) di chi, al contrario, si sente in buona misura o completamente incluso.
L’analisi ha rilevato alcuni aspetti particolarmente sensibili sul piano di possibili tensioni sociali. Ad iniziare dalla paura di perdere il posto di lavoro, espressa dal 44% degli intervistati (il 32% abbastanza, l’11% molto), che sale al 67% nel ceto popolare. Chiara, inoltre, la percezione, espressa dall’81% degli intervistati, di un incremento della povertà (che dal 18% è giudicato molto rilevante) nella propria città o nel proprio comune di residenza. Infine, come anticipato, quasi 6 italiani su 10 (il 58%) ritengono possibile che l’aumento delle disuguaglianze di reddito provocherà ondate di protesta contro i ricchi e i privilegiati.
Insomma, in definitiva, non solamente l’Italia sta scivolando nella recessione, con l’aggravante che questo contraccolpo è avvenuto prendendo in contropiede una fase di ripresa e ottimismo che seguiva il dramma della pandemia, ma l’aumento dei costi e dei prezzi, la diminuzione dei consumi, l’esplosione delle bollette, stanno cambiando la percezione che gli italiani hanno di sé, e quindi la struttura del nostro paese.
Fasce sempre più ampie di popolazione si sentono povere, fragili, precarie, esposte a incertezze che paventano fosche e a un futuro che le spaventa. Occorre non solamente difendere l’economia, ma proteggere le nostre comunità e rallentare il propagarsi di questa paura diffusa che può diventare rabbia sociale.
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