Consumi

Il lusso di essere donna

10 Maggio 2020

In questi giorni di avvio della Fase due, uno dei temi all’ordine del giorno è stato quello legato ai costi delle mascherine, ora obbligatorie per poter frequentare spazi chiusi e luoghi dove non sia possibile mantenere, anche all’aperto, la distanza di sicurezza. Nelle prime settimane di pandemia il costo di una mascherina chirurgica usa e getta si aggirava, di media, intorno a 1,70/2,00 euro al pezzo, una cifra non indifferente per chi, magari per ragioni di lavoro, si trovava a doverne utilizzare una al giorno. Ora il prezzo dovrebbe essere stato calmierato per iniziativa del Governo e in molti comuni sono state attivate distribuzioni gratuite di pacchetti famiglia. Un’iniziativa corretta per evitare di aggravare, con un costo fisso aggiuntivo e obbligatorio, persone che magari hanno perso il lavoro o si trovano in situazione di difficoltà economica.

La questione riapre però lo spazio di dibattito intorno a un tema di disparità di genere piuttosto rilevante, ovvero il costo dell’essere donna. Partiamo dalla Pink Tax, ovvero quella “tassa” implicita, che viene applicata da aziende e distribuzione ai prodotti rivolti al pubblico femminile. Un esempio fra i tanti è quello del costo dei rasoi che nella loro versione maschile hanno un prezzo spesso di molto inferiore a quella femminile, senza che vi siano sostanziali differenze di prodotto. Lo stesso vale per deodoranti, saponi e, in generale, i beni legati alla cura personale. In questo caso però si tratta ancora di beni sostituibili, di prodotti che subiscono un rincaro ingiustificato, ma per i quali esistono delle alternative possibili. Nessuno infatti impedisce a una donna di utilizzare un prodotto maschile e, per quanto sia comunque discriminante pensare che un capo d’abbigliamento femminile arrivi a costare di più, a parità di materiale, marchio, fattura, rimane comunque aperta la possibilità di trovare soluzioni alternative.

Così non è invece per prodotti, a solo uso femminile, che non possono essere sostituiti e che una donna è obbligata ad utilizzare per un lungo periodo della sua vita, ovvero tutti i prodotti legati al ciclo mestruale. Assorbenti, tamponi, coppette mestruali, ma anche analgesici o contraccettivi utilizzati a scopo terapeutico quando ci si trovi ad affrontare problemi legati al ciclo.

Considerato che, di media, il menarca arriva intorno ai 12/13 anni e che la menopausa arriva, sempre considerando una media, intorno ai 50 anni, una donna affronta, nel corso della sua vita, circa 460 cicli mestruali. Un ciclo mestruale ha una durata media di 4/5 giorni e implica l’utilizzo di circa 5 assorbenti al giorno, per un totale, nel corso del periodo fertile, di oltre 10 mila assorbenti utilizzati. I numeri sono ovviamente di media, perché il dato varia a seconda delle singole caratteristiche del ciclo mestruale, di eventuali gravidanze, di scelte contraccettive che potrebbero portare alla sospensione del ciclo, ma anche immaginando una stima al ribasso (con un costo base per quanto riguarda gli assorbenti tradizionali usa e getta), la spesa si aggira intorno ai 4 mila euro nel corso di una vita. Diversa la stima in caso di utilizzo della coppetta mestruale, che va sostituita, ma ha una durata di circa 3 anni, così come per gli assorbenti lavabili, ma queste due tipologie (così come l’assorbente usa e getta, rispetto al quale hanno un costo finale inferiore) non si adattano a tutte le donne e quindi non possono essere considerate come scelte equivalenti.

Passando poi al banco della farmacia, gli analgesici spesso necessari per affrontare dolori e disturbi da ciclo mestruale (il 10/15% soffre di dismenorrea, che può arrivare ad essere invalidante), non rientrano in larga parte fra i farmaci mutuabili. Stesso discorso per i contraccettivi ormonali il cui prezzo varia dai 10 ai 19 euro al mese a seconda del tipo di prodotto (pillola, cerotto, anello) e finisce quasi sempre per essere in carico alla donna. Se in tema di contraccezione alcune regioni italiane hanno portato avanti scelte in tutela della salute riproduttiva della donna a prescindere dalla sua condizione economica (l’Emilia Romagna ad esempio ha da qualche tempo introdotto la contraccezione gratuita tramite consultori per le donne al di sotto dei 26 anni e per quelle che, indipendentemente dall’età, si trovano in difficoltà economica) il costo degli assorbenti rimane sempre e comunque in capo alle donne. Un ultimo dato: l’iva applicata a questo prodotto è pari al 22%, la stessa di molti beni considerati di lusso.

E se 50 centesimi per una mascherina ci sembrano tanti, dovremmo riflettere davvero su cosa consideriamo lusso in questo paese.

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