Consumi

Chiara e Belen dovranno avvisarci (le nuove regole dell’influencer marketing)

2 Agosto 2017

“L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sta indagando sul fenomeno dell’influencer marketing nei social media.

L’influencer marketing consiste nella diffusione su blog, vlog e social network (come Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, Snapchat, Myspace) di foto, video e commenti da parte di “bloggers” e “influencers” (ovvero di personaggi di riferimento del mondo online, con un numero elevato di followers), che mostrano sostegno o approvazione (endorsement) per determinati brand, generando un effetto pubblicitario, ma senza palesare in modo chiaro e inequivocabile ai consumatori la finalità pubblicitaria della comunicazione.

Tale fenomeno sta assumendo dimensioni crescenti in ragione della sua efficacia derivante dal fatto che gli influencer riescono a instaurare una relazione con i followers-consumatori, i quali percepiscono tali comunicazioni come consiglio derivante dall’esperienza personale e non come comunicazione pubblicitaria. Spesso, le immagini con brand in evidenza, postate sul profilo personale del personaggio, si alternano ad altre dove non compare alcun marchio, in un flusso di immagini che danno l’impressione di una narrazione privata della propria quotidianità. Le immagini, infatti, talvolta, rappresentano un ambiente domestico e sono realizzate con tecniche fotografiche non ricercate; altre volte, le tipologie di immagini, le pose dei personaggi e l’ambiente assumono lo stile di un set fotografico. L’evidenza data ai marchi può variare in intensità e modalità, in quanto le tipologie di post e personaggi si presentano molto eterogenee. In alcuni casi, i nomi dei brand sono citati negli hashtag dei post, in altri casi, sono invece in evidenza nell’immagine. Il post può essere accompagnato da commenti enfatici sul prodotto.

Per sollecitare la massima trasparenza e chiarezza sull’eventuale contenuto pubblicitario dei post pubblicati, così come previsto dal Codice del Consumo, l’Autorità Antitrust, con la collaborazione del Nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza, ha inviato lettere di moral suasion ad alcuni dei principali influencer e alle società titolari dei marchi visualizzati senza l’indicazione evidente della possibile natura promozionale della comunicazione.

Nelle proprie lettere, l’Autorità dopo aver ricordato che la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, affinché l’intento commerciale di una comunicazione sia percepibile dal consumatore, ha evidenziato come il divieto di pubblicità occulta abbia portata generale e debba, dunque, essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite i social network, non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand.

L’Autorità ha pertanto individuato criteri generali di comportamento e ha chiesto di rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale, ove sussistente, in relazione a tutti i contenuti diffusi mediante social media, attraverso l’inserimento di avvertenze, quali, a titolo esemplificativo e alternativo, #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento, o, nel caso di fornitura del bene ancorché a titolo gratuito, #prodottofornitoda; diciture alle quali far sempre seguire il nome del marchio.

Considerato che il fenomeno del marketing occulto è ritenuto particolarmente insidioso, in quanto è in grado di privare il consumatore delle naturali difese che si ergono in presenza di un dichiarato intento pubblicitario, l’Autorità sollecita tutti gli operatori coinvolti a vario titolo nel fenomeno a conformarsi alle prescrizioni del Codice del Consumo, fornendo adeguate indicazioni atte a rivelare la reale natura del messaggio, laddove esso derivi da un rapporto di committenza e abbia una finalità commerciale, ancorché basato sulla fornitura gratuita di prodotti.

 

Così recita il comunicato stampa dello scorso 24 luglio relativamente al tentativo istituzionale di arginare il fenomeno della sponsorizzazione a opera dei cosiddetti influencers, soggetti che, come dice il termine stesso, sono in grado di influenzare, per via della loro notorietà spesso accompagnata da un significativo numero di follower o fan, le scelte di acquisto e di comportamento consumistico degli utenti.

Sebbene l’intervento sia assolutamente utile e non errata l’idea che ve ne è alla base, il fenomeno dell’influencer marketing è ben più complesso.

Innanzitutto è impossibile ignorare che accanto ai cosiddetti influencers macro (Belen o Chiara Ferragni, per fare un paio di nomi), ovvero quelli che hanno ricevuto la moral suasion da parte del Garante, esistono un’infinità di influencers micro che, sebbene dotati di minor visibilità e di un meno ingente numero di follower/fan, hanno la stessa capacità di incidere sulle decisioni di consumo del proprio pubblico; questo primo assunto non deve sorprendere poiché le origini dei Social Network come nuova forma di villaggio tribale sono già state ampiamente codificate in letteratura, parimenti ai meccanismi di omofilia e omologazione vigenti al suo interno. Se qualcuno viene riconosciuto come leader all’interno della propria cerchia di contatti, piccola o grande che sia, le sue abitudini, i suoi gesti, i suoi oggetti diventeranno fonte di ispirazione e successiva imitazione da parte di coloro che a quella cerchia appartengono o vorrebbero appartenere.

In secondo luogo prima che il fenomeno suddetto venisse codificato, tutti ricordiamo foto in cui la nostra amica lasciava casualmente intravedere la sua borsetta di Louis Vuitton sul letto, o dove il nostro amico si appoggiava per lo scatto proprio allo stemma della sua auto nuova. L’idea di usare il mezzo visuale come vetrina in cui esporre non solo sé ma anche i propri possedimenti, attraverso i quali viene filtrata parte della propria identità online, o meglio, l’idea di identità online che di sé si vuole dare, è qualcosa che ha anticipato e prefigurato un processo complesso come quello dell’influencer marketing che trasla sull’asse economico un processo scaturito da dinamiche strettamente relazionali.

A questo, si correla la terza osservazione relativa alla potenza limitata del provvedimento; anche se molti possono essere ancora ignari della finta spontaneità degli scatti di influencers macro e micro e quindi un hashtag indicante la natura pubblicitaria della foto potrebbe avere una qualche utilità, la maggior parte degli utenti sa che quello che vede è artefatto, studiato e pecunia instrumentum, ma ciò non scalfisce la forza della foto e del suo contenuto. Che il potere del visuale sia oggi imperante rispetto a quello del testo è fatto noto, soprattutto se quelle con cui siamo chiamati a interrelazionarci sono immagini virtuali, eccedenti di realtà; ma le immagini dell’influencer marketing vincono su di noi soprattutto perché si astraggono e ci astraggono dal nostro reale contesto per portarci, senza dircelo, in un altro, non irreale ma (difficilmente) possibile, esattamente come accade in qualsiasi forma di pubblicità.

Se alle strategie dei media generalisti siamo più abituati e quindi le difese critico-razionali che mettiamo in campo sono più alte e corroborate e il passaggio realtà-reale/realtà-altra-possibile è meglio codificato, anche per le procedure legislative messe in atto in questo senso, l’ambito dei Social Network, più sottile e invasivo per sua stessa natura, non solo non esplicita(va) questo passaggio (almeno fino a prima dell’intervento del Garante), ma è in grado di avvalersi anche di strumenti, che altro non sono che le sue stesse affordance, in grado di ridurre sensibilmente la capacità discernitiva del soggetto.

 

Per questo, al di là dell’intervento top-down certamente necessario, lo sforzo e l’impegno più grande è richiesto ancora una volta all’utente: l’arma più potente contro l’influencer marketing e tutto quello che ci sta dietro è l’intelligenza mista cultura.

 

 

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