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Baruffa social sui sacchetti: cosa possiamo imparare?
Credo che quanto successo ieri sulla socialsfera abbia qualcosa di buono da insegnarci, nonostante tutto. Penso inoltre che la vicenda non andrebbe disgiunta dal fatto di aver avuto come teatro, principalmente, Facebook. Social network definito dal guru Gary Vee come figlio della televisione e della posta pubblicitaria. Un modo azzeccato per mettere in chiaro la natura sempre più generalista della piattaforma: ne fruisce i contenuti con rapidità e scarsa attenzione un pubblico vastissimo, la cui capacità di interpretare le informazioni è variabile, in alcuni casi molto bassa.
La notizia scatenante è stata tale probabilmente per la sua semplicità. Un rincaro nei prezzi relativo a qualcosa con cui pressoché chiunque ha a che fare – la spesa al supermercato – percepito come imposto dall’Europa (argomento in cima alla top ten delle “indignazioni istantanee”, e non necessariamente a torto: un simbolo). Nelle evoluzioni poi il destinatario della rabbia risultava essere Matteo Renzi (anche qui, altro simbolo in cima ai Social Nemici Pubblici) e un’azienda “sua amica” che avrebbe beneficiato dal rincaro. Irrilevante, a livello emotivo dei partecipanti alla gazzarra, il rincaro minimo della spesa; tra l’altro del tutto insignificante rispetto ad altri aumenti d’inizio d’anno, passati invece sotto silenzio.
Ma c’era un altro elemento a rinfocolare il dibattito. La plastica è uno dei simboli evidenti del nostro stile di vita insostenibile per il pianeta. La consapevolezza c’è, per fortuna, ma nel mare magnum dei social il troppo attivismo ambientalista spesso genera il suo opposto. In sintesi: possiamo ridurre il nostro impatto ambientale nel momento in cui sarà compatibile con il mantenimento del nostro stile di vita. Le fughe nella natura sono ideali, romantiche e sostanzialmente impossibili.
Simboli da una parte, simboli dall’altra, una notizia talmente lineare da poter deflagrare immediatamente. Quello che è successo l’abbiamo visto tutti. Ci può essere qualcosa da imparare, di utile, dalla baruffa dei sacchetti? Penso di sì. Intanto che le battaglie ambientaliste hanno maggiore fondamento nei casi in cui in cui ci permettono anche un risparmio nella vita di tutti i giorni. Alcune scelte di minor impatto ambientale, ammettiamolo, sono possibili solo se spendiamo di più; e non sempre possiamo, non tutti, possiamo permettercelo.
Come produttore di contenuti su Facebook di solito mi metto in posizione obliqua a queste baruffe. Mi inserisco nel flusso, irrido chi s’infervora, non prendo posizione perché di solito entrambe le parti in causa sono segnate dalla troppa emotività del momento. È una posizione di comodo? Probabile, ma le discussioni social sono a scadenza, infervorate e difficilmente si concludono in un qualsiasi cambio di opinione tra i contendenti.
Eppure questa volta ho scorto, nel caos dei litigi, una potenzialità interessante. Nei film, quando qualcuno vuole incendiare un edificio, sparpaglia prima di tutto benzina in giro. È come se, socialmente parlando, vivessimo in un palazzo pieno di benzina: basta pochissimo, un rincaro nei sacchetti di plastica, per far deflagrare l’esplosione. Il combustibile è quel rancore identificato dal Censis come diffuso: viviamo in un mondo in bilico, in cui le vecchie regole del Novecento non valgono più, e in pochi si stanno prendendo la briga di scrivere le regole nuove. Eppure nuove indicazioni, riferimenti, coordinate sarebbero indispensabili.
Ma non si tratta di vere esplosioni, solo temporanee emissioni intense di fumo. Molto rumore, nessun risultato. Tra l’altro il ripetersi del fenomeno lo logora, innervosendo i partecipanti e disinnescando in partenza qualsiasi battaglia ci sia alle spalle, per quanto giusta essa possa essere. Vittime illustri su questo campo di battaglia sono anche le parole stesse: “cambiamento” e “rivoluzione” sono state parole chiave di molte campagne elettoriali; se hanno dato risultati, non sono stati visibili (occhio: a volte non lo sono!) e il risultato è aver ucciso l’efficacia dei vocaboli originari. Quello che rimane, è l’insoddisfazione sotto traccia. In parte errata, in parte legittima.
L’esigenza di cambiamento, l’abbiamo detto, c’è. I social network sono uno strumento potente e finora inedito. Hanno limiti, chiaro: è tutta questione di ridefinire il linguaggio e adattarsi al contesto. La baruffa dei sacchetti di plastica è stata, a mio parere, molto più potente delle altre. Caratteristiche? Semplicità della notizia, immediata identificabilità per chiunque, presenza di simboli. Mi chiedo quello che potrebbe succedere se si trovasse il modo di adattare al linguaggio dei social una battaglia giusta, legata al miglioramento della vita comune. Un argomento in cui ciascuno si identifichi, tragga beneficio senza danneggiare gli altri. Cerchiamola, lavoriamoci, proviamo.
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