Bioetica

Lesbiche contro la GPA: nessun regolamento sul corpo delle donne

27 Settembre 2016

Una presa di posizione necessaria. Così è definito l’appello contro la gestazione per altri a firma di cinquanta lesbiche, tra le quali studiose del calibro di Daniela Danna, ricercatrice esperta in materia di utero in affitto. Un testo, quello dell’appello, contro i regolamenti che introdurrebbero la GPA, invocati da più parti, specialmente nella sinistra. Non è però un documento proibizionista, ma è contrario ai contratti e agli scambi di denaro per comprare e vendere esseri umani, che ora in Italia sono illegali perché il contratto non è valido per il codice civile italiano e quasi tutti gli altri (non per la proibizione della legge 40, è una questione di molto più lunga data).

Questa presa di posizione – affermano le firmatarie – è necessaria in un momento in cui l’intero movimento gay lesbico e trans sembra militare sotto le bandiere del presunto “dono” dovuto alla grande generosità femminile, e avallare così il commercio di bambini. È il primo documento delle donne omosessuali contro la gestazione per altri, anche se alcune, tra le quali proprio la Danna avevano già partecipato ad un’iniziativa francese in tema di GPA. L’appello fa e farà discutere all’interno delle associazioni e dei movimenti lgbt ma anche nel mondo della sinistra. Alle femministe contrarie oggi alla “surrogata” moltissimi muovono la critica di non considerare l’autodeterminazione femminile e le esperienze di questo tipo vissute con convinzione e gioia.

L’iniziativa è sostenuta da Aurelio Mancuso, presidente Equality Italia, Gianpaolo Silvestri, fondatore di Arcigay, ex senatore dei Verdi, e alcune femministe di fama internazionale come le attiviste femministe Silvia Federici, emerita presso l’Hofsra University di New York, Ariel Salleh, scrittrice, e Barbara Katz Rothman, autrice di studi sulla maternità.

Ecco il testo dell’appello

La maternità surrogata, detta “gestazione per altri” (GPA), praticata in alcuni paesi, è la messa a disposizione del corpo di una donna che genera bambini su commissione.

Solitamente si impiantano nell’utero delle madri surrogate embrioni di ovociti prelevati da altre donne, al fine di recidere il legame genetico tra la gestante e chi nascerà. Chi organizza questa attività spera così di recidere anche il legame affettivo tra madre surrogata e neonato/a, come se il legame dipendesse dal codice genetico e non dalla gravidanza e dal parto. Si tratta di metodiche invasive e pericolose per la salute materna su cui si sorvola, così come si tace del fatto che di norma si impedisce l’allattamento al seno del/neonato/a per interrompere l’attaccamento.

Lungi dall’essere un generoso gesto individuale questa pratica sociale è limitata ai pochi paesi che hanno introdotto la validità del contratto di surrogazione, proposto da imprese che si occupano di riproduzione umana in un sistema organizzato che comprende cliniche, medici, avvocati, agenzie, tutti mossi dal proprio interesse monetario. Nella maternità surrogata non ci sono né doni né donatrici, ma solo affari e attività lucrative promosse dal desiderio genitoriale di persone del primo mondo.

Questo sistema ha bisogno di donne come mezzi di produzione, in modo che la gravidanza e il parto diventino un mestiere (nemmeno riconosciuto come tale, in nessun luogo) e i neonati dei prodotti con un valore di scambio. L’invasione del mercato in tutti gli ambiti della vita – sanità, istruzione, servizi una volta detti pubblici – con la globalizzazione rischia così di arrivare alla riproduzione umana. Diciamo no a prestazioni lavorative che invadono il nostro stesso corpo e mercificano un nuovo essere umano, che diventa il prodotto della gravidanza.

Certe donne acconsentono a impegnarsi in tale contratto che aliena la loro salute, la loro vita e la loro persona (ad esempio attribuendo la decisione su eventuali aborti al medico che risponde ai committenti) sotto pressioni multiple: i rapporti di dominazione famigliari, sessisti, economici, geopolitici, e la sempreverde mistica della maternità – questa volta per altri – con la glorificazione dell’autosacrificio femminile, che rende felici i committenti, molto più spesso eterosessuali, in minore proporzione gay. Le madri surrogate infatti privilegiano il proprio rapporto con i committenti a quello con la loro creatura – rimanendo comunque prive di diritti rispetto alla frequentazione o all’informazione sul futuro dei figli che hanno affidato ad altri.

Non è accettabile diventare madre per altri obbligate da un contratto né seguendo le norme di regolamenti che normalizzano questa pratica avendo come conseguenza ultima la creazione di una sottoclasse di fattrici, che non possono considerare propria la creatura il cui sviluppo nutrono, anche con l’influenza epigenetica.

I neonati nati da contratto sono programmati per essere separati dalla madre alla nascita, non per cause di forza maggiore come quando la madre viene a mancare o decide di non riconoscerli causandone la messa in adozione, ma in modo predeterminato, togliendo loro la fonte ottimale di nutrimento e interrompendo la loro relazione privilegiata con la donna che li ha generati, fonte anche di rassicurazione.

Le convenzioni internazionali come la Convenzione ONU sui diritti del bambino (Stoccolma 1989) e la Convenzione sull’adozione internazionale (l’Aja 1993) garantiscono la continuità della vita familiare, cioè il diritto dell’infante a stare con la donna che lo ha partorito (cioè la madre), cui si può derogare solo nelle adozioni.

La convenzione del Consiglio d’Europa sulla biomedicina (Oviedo 1997) rende inoltre indisponibili al profitto le parti prelevate del corpo umano, come ad esempio gli ovociti.

Di conseguenza, in nome dell’autodeterminazione delle donne e dei diritti dei neonati, noi, firmatarie della dichiarazione:

  • rifiutiamo la mercificazione delle capacità riproduttive delle donne;
  • rifiutiamo la mercificazione dei bambini;
  • chiediamo a tutti i paesi di mantenere la norma di elementare buon senso per cui la madre legale è colei che ha partorito e non la firmataria di un contratto né l’origine dell’ovocita;
  • chiediamo a tutti i Paesi di rispettare le convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino di cui sono firmatari e di opporsi fermamente a tutte le forme di legalizzazione della maternità surrogata sul piano nazionale e internazionale, abolendo le (poche) leggi che l’hanno introdotta.

 

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