Bioetica

La Corte di Strasburgo conferma il no dell’Italia alla ricerca sugli embrioni

28 Agosto 2015

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto il ricorso di Adele Parrillo, vedova di Stefano Rolla, civile ucciso nell’attentato di Nassiriya il 12 novembre del 2003.

La vedova Parrillo aveva chiesto di poter riavere indietro gli embrioni che lei e il suo compagno avevano congelato nella speranza di poter aver un bimbo con la fecondazione assistita, alla clinica romana che li teneva in custodia ma l’ospedale aveva respinto la richiesta.

La donna aveva dunque deciso di fare ricorso a Strasburgo per avere la possibilità di poter donare gli embrioni affinché venissero utilizzati per la ricerca sulle cellule staminali, sostenendo che il divieto imposto dallo Stato con la legge 40 sulla fecondazione assistita che le impediva di donare gli embrioni creati nel 2002 con il suo compagno, ledeva il suo diritto al rispetto della vita privata e quello al rispetto della proprietà privata.

European court of human rights

La Corte, chiamata per la prima volta a pronunciarsi su questo problema, aveva giudicato ricevibile l’ipotesi di violazione dell’articolo 8, dato che “gli embrioni in questione contenevano materiale genetico della signora Parrillo e di conseguenza rappresentano un elemento fondamentale della sua identità”.

I giudici di Strasburgo le hanno però dato torto su entrambi i punti su cui si fondava il ricorso sulla base dell’assunto che “gli embrioni umani non possono essere ridotti a una proprietà come definita dall’articolo 1 protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”.

La Corte ha affermato che impedire alla donna la donazione degli embrioni, come prescritto dalla legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita vigente in Italia, non è contrario al rispetto della sua vita privata.

La legge 40 sulla fecondazione assistita ha dunque passato indenne l’ultimo esame della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU): l’Italia può legittimamente continuare a vietare qualsiasi sperimentazione sugli embrioni e proibirne anche il dono a fini scientifici, come previsto dall’articolo 13 della norma. Tale infatti era la volontà della ricorrente.

I giudici di Strasburgo si sono espressi sulla questione dal punto di vista del rispetto della vita privata e quindi del diritto di decidere per gli embrioni, della Parrillo. La stessa sentenza riconosce che si tratta di un tema controverso, su cui sono state avanzate nel dispositivo della sentenza numerose obiezioni.
La CEDU ha ritenuto che in questo caso specifico “il divieto è necessario in una società democratica” in quanto non ci sono prove che il compagno della Parrillo fosse d’accordo con la donazione degli embrioni.

La decisione della Corte di Strasburgo si centra sul principio del consenso informato: mentre è sicuro che il compagno di Adele Parrillo avrebbe voluto far nascere gli embrioni, non vi erano indicazioni che avrebbe voluto donarli alla ricerca scientifica”, è il commento di Cinzia Caporale, componente del Comitato nazionale per la bioetica e coordinatore della Commissione per l’Etica della ricerca e la bioetica del Consiglio nazionale delle ricerche.

Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, si è espressa sul caso affermando che “La Corte ha riconosciuto la ragionevolezza della legge 40 a partire dal non avere ridotto gli embrioni ad una proprietà“.

Di grande soddisfazione per la decisione della Corte di Strasburgo sono stati i commenti di Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita e Paola Binetti, parlamentare di Area popolare che intervenendo sulla questione hanno come molti altri salutato la decisione della Corte come una grande vittoria, in quanto ha stabilito che “l’embrione non può essere oggetto di proprietà anche quando la sua vita è appena cominciata e si trova in una provetta” e che “gli embrioni non sono semplice materiale biologico da utilizzare per esperimenti scientifici“.

Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Luca Coscioni dal canto suo commenta: “In Italia la Corte Costituzionale fisserà a breve l’udienza proprio sul divieto di utilizzo di embrioni per la ricerca scientifica, e i tribunali Italiani stanno affrontando le richieste delle coppie di donare alla ricerca embrioni non idonei per una gravidanza“. L’Associazione sta promuovendo un appello al Governo per la libertà di ricerca sugli embrioni, “perché  – dice Gallo – la si smetta di dover importare embrioni da Australia, Svezia, USA, UK mentre gli embrioni italiani non possono essere toccati”.

Non pare tuttavia che sia stata colta la rilevante portata della sentenza in questione. La Corte, pur avendo respinto il ricorso del caso di specie, ha tuttavia accettato per la prima volta il principio che una decisione sulla sorte di un embrione riguarda la vita privata di una persona, aprendo di fatto nuove possibilità di ricorsi nel futuro.

Un punto fermo la Corte di Strasburgo l’ha invece posto su un altro tema controverso, affermando che non vige alcun obbligo, per presentare un ricorso a Strasburgo, di farlo solo dopo che la questione sia già stata esaminata dalla Corte Costituzionale, agevolando in tal modo la proposizione di futuri ricorsi che potranno essere presentati anche contemporaneamente rispetto alle corti giudiziarie nazionali.

Non è cosa da poco, conoscendo i tempi della giustizia italiana.

 

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