Bioetica

La GPA è uno scambio in cui il denaro cambia di tasca e i bambini di genitore

5 Marzo 2016

«Questa invasione dei rapporti monetari anche nella procreazione è un tratto che si manifesta naturalmente in un ordine sociale basato sulla ricerca del profitto monetario, che deve trovare sempre nuove sfere in cui realizzarsi». «Queste donne vengono retribuite, quindi non si può pensare a quello che fanno come a un dono, ma come a uno scambio in cui il denaro cambia di tasca e i bambini cambiano di genitore». «Perché poi non si parla di autodeterminazione femminile per i casi in cui le surrogate decidono di tenere il/la figlio/a e invece devono abbandonarlo perché hanno firmato un contratto?». Ad affermarlo è Daniela Danna, studiosa e ricercatrice in Sociologia generale presso l’Università degli Studi di Milano, e non un esponente cattolico dell’associazione Pro Vita. Ex attivista di Famiglie Arcobaleno, favorevole alle adozioni «perché le capacità genitoriali non dipendono dall’orientamento sessuale», classe 1967, Daniela Danna si occupa da anni di sociologia economica, rapporti tra i generi, sessualità, analisi dei sistemi-mondo e sociologia storica. Ha in corso diverse ricerche, tra le quali una sulla maternità surrogata. L’abbiamo intervistata, in un momento in cui la gestazione per altri (GPA) è al centro del dibattito politico e pubblico.

Nel suo libro (Contract Children, ndr) lei parla di madre di nascita e genitori sociali, cioè coloro che si prendono cura del bambino dopo la nascita, facendone un “paragone” con l’adozione. Quali sono le analogie e quali le differenze, soprattutto considerando diritti e doveri di tutti i coinvolti?
«I bambini vanno accuditi, non sono indipendenti! Se chi lo fa ha un legame di sangue con loro lo chiamiamo madre e padre naturali (ho scelto “madre di nascita” in inglese perché già presente nella terminologia legata all’adozione), altrimenti si tratta di padri e madri sociali (oppure, naturalmente, nonni, zii, amici dei genitori, maestre, tate e baby sitter – che pure dovrebbero avere un diritto alla continuità affettiva se ingiustamente licenziate, magari per gelosia dei genitori). I diritti e doveri legali relativi a queste posizioni dipendono dallo stato in cui ci si trova e non posso fare una sintesi – la mia ricerca ha un taglio internazionale, ed è stata pubblicata in inglese dall’editore tedesco Ibidem. In alcuni, pochissimi stati è possibile commissionare un bambino da adottare, comperando i gameti e “affittando l’utero” di una donna. In California in questo modo si è riconosciuti genitori del/la bambino/a fin dalla sua nascita, cosa che rappresenta il trionfo delle compravendite di mercato sulle relazioni umane. Solitamente però la GPA viene fatta con almeno un gamete proveniente da chi commissiona il/la figlio/a».

Esiste un mercato, la domanda sembra essere sempre più alta e l’offerta, all’estero, non impossibile. Quali sono i prodotti di quello che viene definito anche bio business?
«Il mercato di parti del corpo umano è vietato dalla convenzione di Oviedo. Questo divieto deve comprendere anche gli ovociti, il seme femminile, che non si stacca naturalmente dal corpo come il seme maschile. Gli ovociti devono essere estratti chirurgicamente sotto anestesia. Tanto più è vietato il commercio di bambini: lo è in diverse convenzioni internazionali, come ad esempio quella del 1989 di Stoccolma sui diritti dei minori. Però questi limiti sono sotto attacco perché il nostro sistema economico è il capitalismo, cioè l’allargamento della sfera della compravendita. Questa invasione dei rapporti monetari anche nella procreazione è un tratto che si manifesta naturalmente in un ordine sociale basato sulla ricerca del profitto monetario, che deve trovare sempre nuove sfere in cui realizzarsi. Inoltre il nostro ordine sociale capitalista ha bisogno di una popolazione in espansione, e quindi favorisce ogni possibilità di aumentare le nascite, come retribuire una donna perché porti avanti una gravidanza “in conto terzi” se la coppia committente non è in grado di farlo (ma anche se, per convenienza, non vuole). Purtroppo anche la cultura diffusa dai mass media (anch’essi di proprietà privata) va generalmente nella direzione della legittimazione dei rapporti di mercato, per cui assistiamo da anni a una propaganda più o meno sottile in cui le famiglie create prendendo i bambini alle loro madri, che li hanno fatti e partoriti, sono mostrate come esempi di felicità e autorealizzazione (partendo dalla premessa che ci si realizza diventando genitori, anche questo è molto discutibile). Così questa pratica viene pubblicizzata, mentre raramente si parla dei casi in cui i tribunali portano via i bambini alle madri che li hanno partoriti perché queste hanno firmato un contratto, che viene fatto valere anche se loro non vogliono più adempiere alla loro promessa faustiana».

Quanto è cresciuto il mercato della GPA negli ultimi dieci anni?
«Ci sarà sicuramente una sua diminuzione dal momento che l’India ha deciso di chiudere le frontiere agli stranieri che andavano là ad approvvigionarsi di bambini, con una stima di 1500 nascite ogni anno per committenti stranieri. Come ho detto, gli stati in cui questa pratica è legale sono molto pochi, e una reazione internazionale si è già formata, a partire dai casi più scandalosi di bambini fatti su commissione e poi rifiutati perché disabili, cioè in quanto prodotti difettosi. La prospettiva di una convenzione internazionale che cancelli le leggi dei pochi stati che permettono la GPA è realistica e condivisibile».

Non sarebbe opportuno regolamentare la Gestazione per altri per evitare situazioni di illegalità e rischi maggiori in particolar modo per madri e bambini?
«La retorica di coloro che vogliono legalizzare questo mercato di bambini è che in mancanza di leggi specifiche, ci sarebbe un mercato nero e sfruttamenti peggiori – termini che restano nel vago. Come si fa a creare un mercato nero di figli? Non sono mica oggetti di contrabbando da nascondere, devono assumere legalmente un’identità. Al contrario la GPA deve essere introdotta da leggi specifiche. In Italia infatti non può essere praticata. La normalità in quasi tutti gli stati del mondo è che la madre è anche legalmente colei che partorisce – ci vuole quindi una norma che neghi questa evidenza nel caso di maternità intraprese per contratto. Anche il contratto deve essere validato con l’introduzione di una nuova norma, mentre ora è, giustamente, ritenuto contrario all’ordine pubblico. Non riesco a pensare per un neonato a un rischio maggiore (a parte ovviamente problemi di salute) che essere separato dalla madre. E si è detto che portare via un bambino a una madre che ha firmato un contratto di GPA è la forma suprema dell’alienazione del lavoratore, in questo caso lavoratrice, dal proprio “prodotto”. Un mercato nero di neonati non può esistere, perché un figlio è qualcosa che si deve esibire e della cui esistenza bisogna rendere conto, con il certificato di nascita, la registrazione all’anagrafe, etc. In India, per esempio, venivano emessi certificati di nascita che non riportano il nome della donna indiana che è stata messa sotto contratto, ma dei committenti. Questi certificati vengono portati all’estero, dove si spera che siano riconosciuti, dichiarando di avere partorito all’estero. Ma se provo a fare la stessa cosa in uno stato che non ha introdotto una legge che convalida il certificato di nascita falso, non posso nemmeno pensare di portare il neonato a casa mia se sua madre non approva il trasferimento. Nessuno fa una GPA a queste condizioni, cioè (dal punto di vista dei committenti) con questo rischio. Anche le coppie gay usano paesi, come la California e il Canada, in cui il nome della madre non compare sul certificato di nascita dei neonati che poi portano in Italia».

Alle femministe contrarie oggi alla GPA molti muovono la critica di non considerare l’autodeterminazione femminile e le esperienze vissute con convinzione e gioia. Portare a termine una gravidanza per altri non potrebbe essere configurata come una libera scelta della donna?
«Stiamo parlando di un lavoro. Queste donne vengono retribuite, quindi non si può pensare a quello che fanno come a un dono, ma come a uno scambio in cui il denaro cambia di tasca e i bambini cambiano di genitore.  Mi chiedo poi perché ci si concentri sui casi di convinzione e gioia (ma quante lo avrebbero fatto senza una retribuzione?) e non su quelli di ripensamento, di battaglie legali, dell’ingiustizia di strappare una neonata/o a sua madre, quando la donna che aveva fatto una promessa ritorna sui suoi passi e trova impossibile abbandonare suo figlio/a. Quando entro in un rapporto di lavoro dipendente, la mia libera scelta è regolata dal diritto del lavoro. Non posso lavorare per qualcuno 24 ore al giorno per nove mesi e consegnare poi il bambino al committente come il mio prodotto! Almeno in Italia per fortuna questo non è possibile nel diritto del lavoro (per quanto massacrato dall’attuale governo) come lo è invece in India per le donne povere. Perché poi non si parla di autodeterminazione femminile per i casi in cui le surrogate decidono di tenere il/la figlio/a e invece devono abbandonarlo perché hanno firmato un contratto? Nessuno difende mai questa scelta – che è davvero un’autodeterminazione, perché trasgredisce all’impegno del contratto. Il lavoro non è mai questione di autodeterminazione, i suoi confini, cioè quanto il datore di lavoro può spremere dalla mia vita, sono determinati dalla lotta tra le classi, e quindi l’introduzione della GPA rappresenta una enorme sconfitta per le donne di classe inferiore. In Israele e Grecia, dove appunto questa pratica è legale, sono moltissime le immigrate che vi si sottopongono, naturalmente per guadagno. Io ritengo moralmente inaccettabile mettere al mondo degli esseri umani per venderli, non importa quanto i figli siano desiderati e non importa quanto le madri vengano pagate».

Famiglie Arcobaleno sembra voler rivendicare l’introduzione dei contratti di surrogazione in Italia. Cosa ne pensa?
«Purtroppo FA è un’associazione nata con un fine misto: fare socialità e fare politica. Quando fa politica la fa male: non è possibile non mettere un chiaro paletto etico sulla GPA da contratto. Infatti è questo il motivo per cui non è passata l’adozione come secondo genitore nella legge Cirinnà approvata al Senato. Di GPA e di etica l’associazione si è sempre rifiutata di discutere. Dieci anni fa ne facevo parte, e sono dovuta uscirne per le violenze verbali che hanno impedito di discutere della proposta di rifiutare il contratto di GPA fatta dal Gruppo Carta Etica, di cui facevo parte. Quindi la posizione di FA favorevole alla GPA all’epoca non è stata nemmeno discussa, ma data per scontata in modo dittatoriale e censorio. Le nuove socie nemmeno sanno che io stessa ho fatto parte della loro associazione».

Cosa ne pensa delle adozioni da parte delle coppie LGBT?
«Non dovrebbe esserci nessuna discriminazione nell’accesso all’adozione, perché le capacità genitoriali non dipendono dall’orientamento sessuale. Lo dicono le ricerche degli psicologi, e lo dice l’Associazione statunitense di psicologia APA».

Il dibattito sul genere, e la paura di una distinzione non più così definita tra i due sessi, da cosa derivano? In “il genere spiegato a un paramecio” lei precisa che il concetto che è dato da molti per scontato, in realtà non lo è. Cosa vuol dire?
«Derivano dalla nostra cultura, improntata dal cattolicesimo a un pro-natalismo esasperato (in un’epoca di crisi ecologica!) con la sua concezione del sesso come finalizzato alla procreazione. Non c’è bisogno di una “teoria del gender” per capire che i ruoli maschili e femminili sono trasmessi dalla società, non dalla natura, e che la femminilità non appartiene solo alle donne come la mascolinità non appartiene solo agli uomini. Poi è stata Elena Gianini Belotti in “Dalla parte delle bambine” a mostrare nel vivo questa costruzione sociale, nelle interazioni tra adulti e bambini in un asilo nido, e nuove ricerche continuano a confermarlo. La costruzione dei ruoli sociali complementari maschile e femminile è funzionale alla dominazione maschile sulle donne, di cui anche la Chiesa è una espressione, con le sue gerarchie in cui solo uomini possono occupare le posizioni dominanti».

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Daniela Danna è ricercatrice in sociologia generale presso l’Università degli Studi di Milano. Ha in corso ricerche sui matrimoni forzati, sulle teorie sulla popolazione e l’analisi del sistema-mondo, e sulla maternità surrogata. Ha pubblicato, tra i molti, il libro Contract Children. Question Surrogacy (Stuttgart, Ibidem), La prostituzione al chiuso in Europa: leggi e tendenze (Quaderni della Regione Emilia Romagna), Il genere spiegato a un Paramecio (Pisa, BFS), e per Eleuthera, Ginocidio. La violenza contro le donne nell’era Globale. Fa parte del comitato scientifico delle riviste AG About gender e Sicurezza e Scienze Sociali.

 

Danna, Daniela - Foto Giovanni Dall'Orto, 21 sett 2015Daniela Danna

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