Bioetica

Buon viaggio Fabo

1 Marzo 2017

Sono nato in una famiglia cattolica, con un’educazione cattolica. Battezzato, ho frequentato i miei anni di catechismo, ho ricevuto la prima comunione, la cresima e ho anche fatto il chierichetto per diversi anni. Ancora oggi vado a messa regolarmente.

Se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni di liturgie e di omelie è che il buon cristiano sa essere misericordioso e ha un unico compito: amare il prossimo suo come se stesso. Nella difficoltà di credere in Dio, è l’unica certezza che sono riuscito ad assimilare. Tra profezie, precetti e parabole, l’unico comandamento chiaro e tremendamente difficile da applicare è proprio questo. Ama i tuoi fratelli almeno quanto ami te stesso.

Ed è con il cuore triste e gli occhi lucidi che ho seguito la drammatica vicenda di Fabo. Un DJ pieno di energie, costretto a vivere una vita che non poteva più sopportare. Ecco, perché prima delle posizioni politiche, delle dichiarazioni ai giornalisti, degli editoriali infuocati (o dei post su Facebook), prima di tutto questo c’è l’umana comprensione o, per chi crede, l’istinto cristiano di immedesimarsi, di cercare di comprendere le ragioni di una scelta tanto tragica.

Così non è per molte persone che si fanno portatori della bandiera del cattolicesimo, pensando di rappresentare il mondo cattolico. A questi signori invidio le certezze incrollabili, il distacco con cui esprimono posizioni così nette. Considero il suicidio, assistito e non, un grave peccato? Sì certo. Considero sbagliato rinunciare a combattere? Ovvio. Ritengo che la vita sia un dono prezioso, un dono di Dio, e per questo non è “a mia disposizione”? Sì, penso anche questo.

Ecco, le mie posizioni, probabilmente, non sono molto diverse da un Adinolfi o da una Paola Binetti. Probabilmente loro risponderebbero più o meno allo stesso modo. Magari con qualche sfumatura, ma la sostanza cambierebbe davvero poco.

Quello che mi chiedo è: quanto possono essere incrollabili le risposte teoriche a domande teoriche davanti ad una vicenda così reale e drammatica come quella di Fabo?

La scelta di Fabo deve mettere in crisi i cattolici. Ad essere sbagliate non sono le risposte, ma le domande. L’unica davvero accettabile è: quanto valgono i nostri principi davanti alla sofferenza?

Non voglio commentare le parole indegne del solito Adinolfi che paragona l’eutanasia all’Olocausto. In tutta questa vicenda, non meritano un secondo della nostra attenzione.

Ma, se possibile, le parole di Paola Binetti sono ancora più pericolose. L’invito a non strumentalizzare la morte di Fabo suonano come un “non azzardatevi a fare leva sulla nostra compassione. La legge sull’eutanasia non passerà mai”.

Ed è proprio questo il problema. Nemmeno la disumana sofferenza di un ragazzo può scuotere le nostre coscienze? Cosa deve ancora succedere affinché crollino le nostre granitiche certezze? Perché nessuno, ma proprio nessuno, alza la mano e dice “ragazzi, magari stiamo sbagliando tutto”?

Sarà banale affermarlo, ma da cittadino cattolico lo ribadisco con forza: il dibattito sui diritti civili è viziato dal fatto che siamo stati troppo abituati ad imporre i nostri principi agli altri. Abbiamo portato avanti queste battaglie senza ascoltare il grido di disperazione di chi soffre, arroccandoci sui nostri “valori” e ignorando la libertà degli altri.

Per questo, caro Fabo, non mi rimane che augurarti buon viaggio. E ti prego, perdonali, perché sono stati troppo sordi per ascoltare il tuo grido di dolore.

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