Asia

La Shoà cambogiana

21 Dicembre 2019

 

A gennaio di quarant’anni fa il mondo scopriva che in Cambogia, dal 1977 al 1979, era avvenuto qualcosa di tanto orrendo che, nel novecento, poteva trovare un solo un raffronto: lo sterminio degli ebrei attuato scientificamente dai nazisti nel corso della seconda guerra mondiale.

Per le proporzioni, per il tempo e per i modi in cui venne realizzato il massacro, ne fu vittima circa la metà della popolazione cambogiana, questo orrore può, infatti, essere considerato il più simile alla Shoà; anche se, rispetto a quest’ultima alla Shoà, fino alla denuncia pubblica che accompagnò la sconfitta dei paranoici assassini, ci fu chi la sostenne e la appoggiò politicamente. Lo fece, ad esempio, una parte del comunismo internazionale, lo fecero tanti intellettuali, il solito culturame sinistreggiante che assunse una posizione negazionista su quanto stava accedendo.

Fra questi, non dimentichiamo personaggi di primo piano della cultura progressista internazionale: gli intellettuali come Noam Chomsky e di Edward Herman.

Accadde, così, che milioni di cambogiani, nel torno di un paio d’anni, furono massacrati dai Khmer rossi in nome di una ideologia aberrante che pretendeva di cambiare la natura umana per aggiogarla ad un paranoico progetto di liberazione, senza che la notizia rimbalzasse adeguatamente sulla stampa e senza che l’opinione pubblica ne venisse a conoscenza.

Anche nel nostro Paese, la sinistra- sinistra, si macchiò delle sue colpe, per avere collaborato alla congiura del silenzio e per avere espresso simpatia nei confronti del regime rosso, istaurato dai Khmer dopo la presa di Phnom Pen.

Il PCI, in particolare – e siamo in un tempo in cui si parlava e si accreditava, pronubo lo stesso segretario del partito, lo strappo dal comunismo reale – si mobilitò a favore dei Khmer rossi, tanto da indurre il mondo comunista nazionale  a fare a gara per esprimere solidarietà ai macellai di Phnom Pen. Basta infatti fare riferimento ad un documento approvato dal Comitato centrale del Partito comunista italiano, dove si può leggere un appello all’opinione pubblica di sinistra a favore dei Khmer rossi per“sviluppare un grande movimento di solidarietà e di appoggio ai combattenti,” nel quale si aggiungeva, ancora, che“Ogni democratico, ogni comunista, sia come sempre e più di sempre al loro fianco”, per rendersi conto di tutto questo.

Tornando agli intellettuali, bisogna ricordare che molti di essi fecero perfino a gara a falsificare ciò che stava avvenendo realmente in Cambogia. Grandi firme di quotidiani nazionali che facevano opinione cercarono di coprire la realtà, a cominciare da Giorgio Bocca, per non parlare del santone del nuovo umanesimo che risponde al nome di Tiziano Terzani. Proprio Terzani, l’icona di un certo giornalismo che trovava enormi consensi nel mondo della sinistra radical-chic, come ci ricorda padre Piero Gheddo del PIME (un missionario che fu testimone diretto degli orrori) “contribuì a questa assurda esaltazione di uno dei peggiori genocidi del secolo XX.

<Terzani  – scrive Gheddo – è stato certamente scrittore e giornalista di valore, ma esaltò i Vietcong e i Khmer rossi come ‘liberatori’ dei loro popoli e solo anni dopo il fallimento inglorioso di quella vicenda ‘ incominciò a dire timidamente che si era sbagliato. Come ‘profeta’ e ‘santone’ laico (molti suoi lettori lo ricordano così) bisogna dire che non era al servizio della verità, ma della menzogna, come lui stesso poi riconobbe, quando confessò a La Repubblica che si era sbagliato, perché i Khmer rossi erano stati <assassini, sanguinari, accecati dall’ideologia marxista-leninista.Errori simili squalificano un intellettuale considerato da tutti un ‘profeta’ e un ‘maestro di vita >

La disinformazione, voluta, arrivò a tal punto che, sull’Unità organo del PCI, il giornalista Emilio Sarzi Amadè, sostenne che padre Gheddo diffondesse storie diffamatorie nei confronti della Cambogia e dei suoi nuovi governanti calunniandolo come “missionario finanziato dalla CIA.”.

Oggi, per fortuna, di fronte alle montagne di teschi, moltissimi bambini e donne, emersi dalle fosse comuni, la storia di quell’orrore tragico è patrimonio della nostra esperienza storica, nessuno osa contestare una verità che pesa sulla coscienza dell’umanità e, tuttavia, il fatto che questo quarantesimo anniversario sia passato sotto silenzio, la dice lunga sulla sensibilità di chi, invece, sui pregiudizi e sulle faziosità.

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