Ha aperto ieri al pubblico a Palazzo Reale la mostra “La Grande Madre” organizzata da Fondazione Trussardi in collaborazione con il Comune di Milano e curata da Massimiliano Gioni.
Si tratta di una grande esposizione che analizza la figura della madre, uno dei temi più ricorrenti della rappresentazione artistica sin dalle origini dell’umanità, concentrandosi soprattutto sui risvolti conflittuali e sugli elementi di tensione (psicologica e socio-politica) che l’accettazione o il rifiuto di questo ruolo (o stereotipo) da parte delle donne hanno comportato, nel corso della storia del ‘900 e all’interno della cultura occidentale. Non a caso sulle prime sale della mostra aleggiano le figure di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung e non a caso tra le opere esposte non incontriamo solo lavori artistici, ma anche molte testimonianze di rivendicazioni politiche. Uno dei temi della mostra, forse il principale accanto al ruolo del corpo, alla fisicità dell’essere donna e madre che emerge dalle opere di molte delle artiste esposte, a partire dagli anni ’60, è infatti proprio quello del potere che alla donna, come artista, come individuo e come figura sociale, viene concesso o negato anche in virtù del suo essere o non essere madre.
Come spesso accade nel lavoro di Massimiliano Gioni, ciò che più affascina della mostra è il suo essere colta, profonda, sofisticata e densa, il suo rispecchiare un grande lavoro di ricerca (la preparazione della mostra è durata ben due anni) che è testimoniato anche dallo “spessore” dei materiali testuali in distribuzione (indispensabile accompagnamento di una visita, che richiede almeno un paio d’ore di tempo, per comprendere appieno i contenuti esposti). In una recente intervista, il curatore ha dichiarato espressamente che l’obiettivo del suo lavoro, preparando una mostra, è di imparare cose che non conosce ed offrire questa possibilità di apprendimento anche al suo pubblico. Da questo punto di vista, soprattutto la sezione dedicata alle avanguardie storiche, dal Futurismo al Surrealismo, è veramente ricca di spunti e lascia trasparire questa curiosità appassionata.
L’altra faccia della medaglia è che il grande pregio della mostra rischi di costituirne anche un po’ il limite. Data la vastità del tema scelto che, pur se affrontato con un taglio come abbiamo visto piuttosto specifico, rimane sterminata, è indispensabile accettare come scelte legittime o inevitabili alcune assenze, anche clamorose, tra la selezione delle opere. Ciononostante alla fine della visita si riemerge pienamente soddisfatti (purtroppo contrariamente a quanto troppo spesso accade per altre esposizioni ospitate a Palazzo Reale), ma accanto alla soddisfazione per aver goduto di un’eccezionale esperienza visiva e intellettuale, rimane la sensazione di una certa mancanza di pathos che un po’ stride con un tema così umanamente universale e dai risvolti così viscerali come quello della maternità.
Probabilmente uno dei fattori che contribuiscono a questa impressione è legato al fatto che gli spazi di Palazzo Reale non sono per nulla adatti ad ospitare una mostra di arte contemporanea di questa vastità e ambizione. L’allestimento ne ha sicuramente risentito (e chissà forse anche la scelta di alcune opere) risultando piuttosto piatto; molte opere sono ammassate in spazi troppo angusti o costrette a dialogare con sale troppo decorate e sovraccariche di orpelli per essere apprezzate adeguatamente e si sente la mancanza di qualche momento di respiro, visivo e spaziale, in più. La situazione migliora un po’ solo nell’ultima parte della mostra, che è ospitata in spazi un po’ più neutri.
Questa mostra esiste grazie ad uno degli operatori privati (la Fondazione Trussardi) che più generosamente ha utilizzato l’arte contemporanea come strumento di dialogo tra gli spazi della città e i suoi abitanti. Val la pena ricordare che dal 2003 la fondazione ha iniziato ad organizzare i propri eventi espositivi al di fuori della propria sede e degli spazi canonici dell’arte, in molti casi riaprendo al pubblico spazi normalmente inaccessibili. Non possiamo che ringraziare ancora una volta la fondazione e tutte le persone che hanno contribuito a questo progetto che rispecchia indirettamente il grande scandalo della mancanza a Milano di un grande museo pubblico dedicato all’arte contemporanea.
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