Arte

Una cittadinanza immaginaria per tutti i partecipanti dello Sponz Fest

26 Agosto 2023

I pensieri dell’ultimo sabato pomeriggio di agosto sono confusi a Calitri. Sul divano su cui sono steso faccio finta di riposare, il tempo rallenta, ma la testa cammina. Penso che dovrebbero istituire una forma di cittadinanza simbolica per tutti coloro che arrivano a Calitri per lo Sponz e si rimboccano le maniche perché tutto proceda secondo i piani. E anche una forma di cittadinanza simbolica per tutti coloro che nei confronti di questi territori hanno sviluppato una qualche forma di appartenenza. Tale cittadinanza dovrebbe prevedere alcuni diritti e alcuni doveri. Servirebbe una carta, una manifestazione di intenti, da firmare ufficialmente all’interno di una cerimonia pubblica. Tra i doveri a cui sto pensando ne immagino uno ben preciso, una forma di impegno all’acquisto di alcuni prodotti di questo territorio, e l’accettazione di una forma di tassazione simbolica a beneficio delle casse comunali, con obbligo per il Comune alla costituzione di un fondo per la tutela e la diffusione del patrimonio calitrano.

La riflessione nasce dal pensiero che domani sarà nuovamente tutto finito, e almeno metà delle persone che in questi giorni hanno popolato Calitri faranno ritorno alle loro case, le vie del paese torneranno a svuotarsi e i negozi torneranno alla loro quotidianità. E tutti gli ultimi sabati pomeriggio di agosto il pensiero va a questo, alla gente che resta e a quella che se ne andrà. Continuo a girarmi, e mi chiedo come arrivare a qualcosa di più duraturo. Ogni evento ha queste caratteristiche, specie quelli, come lo Sponz, organizzati su territori caratterizzati da una forte amenità. Girandomi ancora sul divano continuo a cercare la formula giusta. Stamani ho partecipato a ‘corrispondenze immaginarie’, il percorso di arte pubblica ideato da Mariangela Capossela. Ho letto quattro lettere liberate dagli archivi del manicomio di Volterra, ho assaporato, non senza difficoltà, le storie di dolore scritte lì dentro. Ho letto anche le risposte immaginarie a quelle lettere. Mi sono fermato a pensare: anche se i manicomi non esistono più, ci sono sempre condizioni di vita dentro cui alcune persone vivono una vita caratterizzata da un sacco di difficoltà.

‘Corrispondenze immaginarie’ è un progetto coraggioso. Riuscire a dare voce al dolore calcificato nelle lettere di persone vissute più di cento anni fa è opera meritoria, perché apre la coscienza di noi contemporanei a una forma di dolore che ci sarebbe altrimenti sconosciuta, e il dolore non ha età. ‘Corrispondenze immaginarie’ è un progetto che necessita di piccole dimensioni, come quelle di questo paese di cui sono ormai da tredici anni cittadino adottivo, di luoghi dove la mente si apre più facilmente alla riflessione. Non so come, ma ho l’impressione che i due spunti di riflessione di questo sabato pomeriggio si saldino insieme. E più mi giro sul divano più sento che sono legati tra loro. E ho solo una richiesta da fare: vorrei questa mia richiesta di cittadinanza immaginaria riuscisse a prendere forma in qualche modo. Proviamo a immaginare qualcosa oltre al codice civile e oltre ai regolamenti dell’anagrafe. Lascio questa mia corrispondenza immaginaria qui sopra, su queste pagine, perché scripta manent, come ho imparato proprio stamani. Scrivo a Vinicio Capossela, a sua sorella Mariangela, e alle istituzioni competenti. Hanno già inventato lo Sponz e Corrispondenze Immaginarie, sicuramente sapranno come dare forma anche alla mia richiesta di cittadinanza immaginaria.

Foto credits: Simone Cecchetti

 

 

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