Arte
Thorvaldsen e Il fregio di Alessandro Magno
Giovanni Battista Sommariva è stato uno dei protagonisti della vita politica della Repubblica Cisalpina. Ambizioso, senza scrupoli, mise assieme un’enorme fortuna, grazie ai contatti con la società parigina e la sua classe dirigente, di cui era di fatto il terminale a Milano. Nelle Memorie di Francesco Melzi d’Eril, scritte nel 1865 da Giovanni Melzi, viene descritto così: “Uscito dall’officina d’un barbiere di Sant’ngelo presso Lodi, erasi dato sulle prime all’avvocatura; uomo quanto altri mai cupido ed astuto, il quale, dandosi a divedere seguace dei novatori e sviscerato della libertà e della eguaglianza , menava gran vanto del suo casato, con dirsi disceso dalla stirpe dei Sommariva , nobilissima prosapia di Pavia; e ciò non era. Accontatosi poi con ogni generazione di pubblicani e barattieri, erasi fuor di misura arricchito, tanto che giunto a Parigi confessava agli amici non sapere come spendere tanta pecunia , sebbene vivesse al fasto e ai piaceri di quella gran Babilonia. Bonaparte non volle riceverlo, ed ei se ne stette colà quasi oscuro, finché strettosi a madama de Thon, già stata amica di Gian Giacomo Rousseau, questa, col farlo suo sposo, lo rialzò. E Melzi diceva al Marescalchi, che il maggior suo dolore si era conoscere che Sommariva aveva lucrato in un solo affare oltre a seicentomila franchi, avendo potuto agevolmente sottrarre quanto gli era piaciuto senza che ne rimanesse indizio di sorta”. Sembra una pagina di Honoré de Balzac, e invece è di fatto una sintesi a posteriori della profonda rivalità che divideva i due uomini che si contesero sotto Napoleone il titolo di vicepresidente della Repubblica Italiana. La scelta cadde su Francesco Melzi d’Eril, ma lo smacco determinò nel Sommariva una spinta a cercare sistematicamente la prova di forza con l’avversario, eccedendo nel lusso, e dunque nella brama di accumular ricchezze e opere d’arte, che collocò a Villa Clerici, poi nota come Villa Carlotta (Nel 1843 la villa fu venduta dagli eredi Sommariva alla principessa Marianna di Prussia che, nel 1850, donò la dimora alla figlia Carlotta in occasione delle sue nozze con il duca Giorgio II di Sassonia-Meiningen), nella Tremezzina, in modo da fronteggiare anche fisicamente il Melzi, il quale si era fatto costruire una sontuosa dimora in stile neoclassico a Bellagio.
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Nelle collezioni di Villa Carlotta figuravano la copia che Adamo Tadolini fece dell’Amore e Psiche di Canova, i bassorilievi dell’Eneide scolpiti da Giuseppe Franchi. Del Canova Sommariva, tra Parigi, Milano e Tremezzo, possedeva una redazione della Maddalena penitente, il Palamede, Tersicore, e l’Apollino, che è esposto tra le opere di Canova e Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna, in corso alle Gallerie d’Italia.
Sommariva diede anche a Thorvaldsen l’opportunità di replicare il fregio modellato al Quirinale in quella che era la Sala dell’Imperatore, e che ora è ricordata come Sala della Marchesa. Allorché il palazzo venne restaurato per far da residenza romana di Napoleone, lo scultore danese realizzò le scene in stucco con l’Ingresso di Alessandro Magno in Babilonia. L’idea era di produrre questo stesso soggetto in marmo per il Pantheon di Parigi. Ma la caduta dell’Impero fece naufragare il progetto. Fu allora il ricco mecenate lombardo a commissionare all’artista il fregio per Villa Carlotta. “Ti parlerò poi di persona rapporto al portentoso basso-rilievo di questo Fidia Thorvaldsen. Vorrei sperare che fosse il miglior contratto che io abbia mai fatto in tale materia, anche in via di speculazione”, scrive Sommariva al figlio.
Il riferimento a Fidia non è una citazione aulica. I fregi fidiaci del Partenone erano stati trasferiti a Londra, finendo per ispirare un profondo rinnovamento del linguaggio scultoreo, che Thorvaldsen intercettò prima e meglio di tutti. L’opera ebbe un costo eccezionale, pari a 400.000 franchi, più 100.000 per i marmi. Stendhal scrisse che nell’arte del bassorilievo il danese aveva superato Canova. Il fregio venne immediatamente riprodotto in una serie di calchi, riduzioni in marmo, terracotta, scagliola e incisioni. In mostra alle Gallerie d’Italia si può osservare la copia in gesso che sta nella Gipsoteca dei Musei Civici di Pavia. La versione venne donata nel 1840 da Luigia Maiocchi alla scuola di disegno della città annessa al Museo Malaspina, ed è ricordata da un cronista locale di metà Ottocento per essere “di inestimabile e grandissimo utile a tutti gli studiosi”.
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