Arte
Possagno come Tempio della scultura
Sul colle dell’Aventino sorge la chiesa di Santa Maria del Priorato, progettata da Giovanni Battista Piranesi, unica architettura realizzata del grande incisore veneziano che rilesse e reinventò l’antichità, ispirando gli artisti della sua epoca. Piranesi, dietro committenza del cardinal Rezzonico, rifece interamente la decorazione della facciata e dell’interno, producendo un repertorio ornamentale che s’ispirava ancora una volta all’antico, e utilizzando motivi iconografici legati alla famiglia del committente, veneziano come lui. L’incisore venne sepolto nella chiesa, vegliato da un grande candelabro marmoreo che lui stesso aveva disegnato, e che Napoleone predò, portandolo al Louvre, dov’è tuttora.
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È da qui che si deve partire per comprendere quel che realizzò Antonio Canova a Possagno. Lo scultore non aveva mai interrotto i contatti con i propri luoghi di provenienza, anche se di fatto i suoi soggiorni in Veneto erano sporadici e brevi. Sarebbe tornato definitivamente in patria nel settembre del 1822, pochi giorni prima della morte, avvenuta il 13 ottobre. Era partito da Roma assieme a monsignor Giovanni Battista Sartori Canova, figlio del secondo marito di sua madre. I due pensavano di rientrare nell’Urbe dopo poche settimane e lo scultore si recò a Venezia, dove però le sue condizioni si aggravarono, sino alla morte.
Già nel 1819 però Canova aveva assistito alla posa della prima pietra del maestoso tempio collocato sulla collina di Possagno. Come Piranesi non aveva mai realizzato un’architettura. Si era immerso anche lui nella cultura classica, dedicandogli tutta la vita. E nel tempo postremo aveva deciso di lasciare un luogo che condensasse non solo la memoria ma anche il senso della sua opera, un luogo di celebrazione e di studio. Fu il Sartori a portare a termine il cantiere, come da testamento del Canova, che destinò all’impresa “tutti i capitali e gli effetti che particolarmente ho destinato a esecuzione di questa impresa nella mia patria”.
Sartori dopo la morte del fratellastro si stabilì definitivamente tra Crespano e Possagno, per amministrare il patrimonio dell’artista e condurre a compimento la costruzione della chiesa e della Gypsotecha, in cui avrebbe disposto la collezione di sculture in gesso, trasferendo così i modelli presenti nell’atelier romano. I beni materiale confluirono in una fondazione, che non si limitò a gestire l’opera del Canova, ma da subito si occupò di abbellire il duomo di Crespano, di trasferire alcune risorse al museo di Bassano e al seminario di Treviso, portando inoltre a Possagno le scuole dei Padri Cavanis. Una concezione dunque modernissima, che andava persino oltre il concetto di filantropia, e preconizzava quello di responsabilità sociale verso il territorio.
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Canova aveva progettato l’edificio con la collaborazione dell’architetto Giannantonio Selva. Le piante e i prospetti furono affidati a Pietro Bosio e Luigi Rossini. Il modello era il Partenone di Atene, riletto però alla luce dei principali monumenti italiani, dal tempio di Paestum al Pantheon. Le metope della trabeazione rappresentano un esercizio sui temi non consueti per la bottega canoviana dell’Antico e Nuovo Testamento. L’interno è illuminato dalla luce che penetra attraverso la cupola. In una vasta abside è collocata la grande pala con il Compianto di Cristo, dipinta nell’estate del 1799 da Canova a Possagno. La tomba dell’artista proviene in realtà dal sarcofago realizzato per il marchese Francesco Berio di Napoli, rimasto incompiuto nello studio di Roma e fatto completare dal Sartori. Lo scultore avrebbe voluto che il gruppo della Pietà fosse accanto alla tomba. Ma l’opera in marmo rimase a sua volta interrotta e la fusione in bronzo realizzata nel 1830 da Bartolomeo Ferrari fu posta a lato del Tempio.
La Gypsotecha, che ha concesso prestiti significativi alla mostra Canova e Thorvaldsen, La nascita della scultura moderna (alle Gallerie d’Italia sino al 15 marzo), venne creata a partire dal 1832, allorché monsignor Sartori diede l’incarico a Francesco Lazzari di progettare una struttura destinata alla raccolta dei gessi, la quale oggi, assieme alla casa del Canova, costituisce un complesso di cui fa parte anche la sede espositiva allestita nel 1947 da Carlo Scarpa.
Nell’età della Restaurazione, l’edificio è di fatto la sola esperienza di edilizia museale intrapresa in Veneto. Si presenta come la grande aula di una basilica, enfatizzando così la sacralità della creazione artistica. La struttura si compone di una navata unica voltata a botte (con soffitto a cassettoni) e scandita in tre spazi e conclusa da un’area absidale. I lucernari fanno cadere una luce a pioggia. Quattro figure angolari sedute a pendant sugli arconi rimarcano i passaggi tra i diversi spazi. Si tratta dei più celebri ritratti femminili del Canova: Elisa Baciocchi Bonaparte come Musa Polimnia, fronteggiata da Letizia Ramolino Bonaparte, e ancora Maria Luisa come Concordia di fronte a Leopoldina Esterhazy Liechtenstein. Ai lati di uno degli accessi della basilica sono disposti i modelli dei due pugilatori, Creugante e Damosseno. Alle sei pareti bianche, dove originariamente erano mensole con teste, busti, erme e ritratti, sono dal 1947 addossate alcune tra le realizzazioni di dimensione più grande, a partire dalla ricomposizione che Carlo Scarpa fece del Monumento a Maria Cristina d’Austria.
Dove originariamente era collocata la statua de La Religione, nell’abside, ora si vede l’Ercole e Lica, che conclude uno spazio aperto da La Pace a sinistra e il Monumento a Pio VI a destra. Le pareti della Gypsotecha nel registro mediano ospitano i bassorilievi dedicati ai poemi omerici e ai dialoghi platonici. Secondo il disegno del Sartori Canova, ispirato alle volontà dello scultore, le opere si succedono come in un laboratorio di scultura, in cui l’artista lavora attorniato dalle sue opere. Grazie alle litografie che pubblicò dopo il 1840 Michele Fanoli siamo in grado di verificare la coerenza tra i criteri espositivi originari e la suddivisione in soggetti (“statue gentili e amorose”, “tombe e mausolei”, “soggetti eroici”, “ritratti”, “soggetti religiosi”).
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Una granata che colpì il complesso nel 1918 costrinse a una prima riorganizzazione nel 1920, seguita da quella alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1957 infine alcuni pezzi trovarono collocazione nel nuovo spazio realizzato da Carlo Scarpa e pensato per garantire una luce naturale uniforme che consenta la visione delle sculture a tutto tondo. Il dialogo a distanza tra Scarpa e Canova resta uno degli episodi di museologia fondamentali per comprendere la rivoluzione portata dall’architetto veneziano nell’ambito di museologia e museografia.
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