Arte
L’ora di follia della Milano illuminista
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Nei giorni in cui la mostra “Canova Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna” alle Gallerie d’Italia è chiusa come tutti i musei e i luoghi di cultura per ordinanza della Regione viene in mente un caso di isteria collettiva avvenuto all’epoca dei due scultori, proprio nei pressi di Piazza della Scala, nel momento della sconfitta di Napoleone. È la storia di quello che fu l’epilogo violento del Regno d’Italia, e con esso della nomenclatura che si era affermata a partire dai successi militari del Bonaparte in Italia, e in particolare dopo la battaglia di Marengo. È in occasione dei festeggiamenti per quella vittoria rocambolesca che per la prima volta ricorre nelle cronache napoleoniche la figura di Giuseppe Prina, che tenne un discorso celebrativo a Lione. Prina faceva parte dell’amministrazione sabauda e aveva partecipato all’armistizio di Cherasco tra Piemontesi e Francesi. Nel 1802 gli vennero affidate le finanze della Repubblica Italiana, inizialmente, poi in un triumvirato, poi con l’incarico di ministro, che mantenne quando venne creato il Regno d’Italia. Nel 1805 ottenne il risanamento del bilancio e liquidò progressivamente il debito pubblico, attraverso la vendita dei beni nazionali, soprattutto quelli confiscati al clero. Imponendo continuamente nuove tasse, molte delle quali volte a pagare le campagne napoleoniche, divenne brevemente l’uomo più odiato del Regno. I milanesi e lombardi lo guardavano con ulteriore diffidenza, perché di origine piemontese e proveniente da quell’amministrazione. Con l’approssimarsi della fine del Regno Italico si diffusero le scritte “Prina! Prina! Il giorno si avvicina”, e quando il 16 aprile 1814 arrivò a Milano la notizia dell’abdicazione di Napoleone, avvenuta l’11, si diffuse la speranza di poter ottenere l’indipendenza. In Senato la componente che era legata a Francesco Melzi d’Eril propose un Regno d’Italia autonomo, con re Eugenio di Beauharnais. Ma la maggioranza voleva re Gioacchino Murat o il ritorno degli Austriaci. Alla fine si decise per inviare a Vienna una delegazione che facesse una richiesta d’indipendenza.
Il 20 aprile avvenne quella che è passata alla storia come la Battaglia delle Ombrelle. La folla organizzata dagli oppositori di Francesco Melzi d’Eril occupò il Senato, alla ricerca del Prina. Che venne raggiunto presso la sua residenza a Palazzo Sannazzari, in piazza san Fedele, a fianco di Palazzo Marino, che allora era la sede del ministero delle Finanze. Lo trovarono in un armadio, lo denudarono, e lo gettarono dalla finestra. Un commerciante di vini di via Manzoni, il Perelli, gli diede rifugio. Ma per salvare chi era con lui, il ministro si consegnò, e la folla lo linciò con le punte degli ombrelli, davanti alla Scala e in Corsia del Giardino, senza che alcuna autorità provasse a intervenire. Il cadavere venne trascinato sino alla chiesa di san Tommaso in Terramara, e poi sepolto nel cimitero della Mojazza, fuori da Porta Comasina. Carlo Botta scrisse nella “Storia d’Italia dal 1789 al 1814”che a capo della folla era Federico Confalonieri, che non molti anni dopo divenne uno dei militanti antiaustriaci più temuti da Vienna, tanto da essere rinchiuso assieme a Silvio Pellico nella Fortezza dello Spielberg. Ma nell’occasione sembra che furono proprio emissari degli Austriaci a muoversi tra la plebe aizzandola contro il Prina. Non bastarono le parole di Carlo Verri, e si ricorda che gli abitanti di Casa Blondel, dove il ministro aveva inizialmente trovato riparo, lo riconsegnarono alla folla. Che tentò addirittura di far riaprire un droghiere già chiuso in via Bassano Porrone per procurarsi del petrolio con cui bruciare i resti del Prina.
Solo Tommaso Grossi, nella sua “Prineide”, tentò una riabilitazione del ministro. Ugo Foscolo stesso dovette togliere dalle mani della folla il colonnello Peyri, a cui il generale Pino aveva affidato l’incauto incarico di difendere con l’ausilio “soltanto della divisa che portava” l’incolumità del ministro contestato. Per poco la folla non linciava anche lui. Sembra che il Foscolo impugnò una daga che teneva sotto il soprabito e la puntò alla gola di chi minacciava l’aggressione, e riuscì così a condurre il Peiry in salvo sino in piazza Belgioioso, dove arringò inutilmente la folla, sotto le finestre di un ben nascosto Alessandro Manzoni. In quelle ore di follia Milano si dimostrò così diversa dalla città illuminista che aveva accolto la cultura neoclassica del Canova come una celebrazione della civiltà nel segno del bellezza.
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