Arte
I “volti ideali” di Canova
La produzione di Canova e di Thorvaldsen, protagonisti della grande mostra ospitata alle Gallerie d’Italia, è in grandissima parte costituita da lavori commissionati da una prestigiosa clientela internazionale, che visitava l’atelier romano dei due scultori, scegliendo dai modelli in gesso il soggetto da ordinare per le statue in marmo. C’è però un filone dell’opera di Canova che origina da circostanze differenti, di ricerca personale, legata alla ricerca del bello ideale attraverso le figure femminili. La Galleria d’Arte Moderna di Milano ha ricostruito quest’aspetto della produzione dell’artista di Possagno nella mostra “Canova. I volti ideali”, che costituisce un momento fondamentale di dialogo e integrazione con “Canova e Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna”. Curata da Omar Cucciniello e Paola Zatti, la mostra valorizza una parte significativa delle collezioni della Gam, che conserva il modello originale in gesso della Ebe di Canova, unitamente al busto in bronzo di Napoleone e all’erma in marmo della Vestale. È attorno a questo pezzo che di fatto è stata ricostruita la genesi e l’evoluzione delle “teste ideali” di Canova, attraverso 39 opere, di cui 24 autografe, con prestiti internazionali dall’Hermitage di San Pietroburgo, il Getty Museum di Los Angeles, Kimbell Art Museum di Fort Worth, così come dai principali musei nazionali, dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze alla Gipsoteca Canoviana di Possagno, dalla Galleria d’Arte Moderna di Torino al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, sino al Museo Correr di Venezia. Tra le opere figurano cinque sculture mai esposte in Italia, dall’erma di Corinna alla Musa del 1817.
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La produzione delle “teste ideali”, dal nome che lo stesso artista diede a queste effigi femminili, si colloca negli ultimi dodici anni dell’attività di Canova, allorché l’artista godeva già di fama internazionale. Non si tratta della rappresentazione di personaggi reali, ma di un processo di progressiva astrazione dalle varianti del bello rilevabili in natura, per la composizione di un ideale femminino, che si pone al punto di convergenza tra l’idealizzazione propria della scultura classica e uno studio della natura volta alla selezione di diverse parti di “bello ideale”. Attraverso una sottile, raffinatissima variazione di fisionomie, dati somatici, acconciature, espressioni, la resa virtuosistica del marmo approda a livelli di semplificazione formale ed espressiva che Canova aveva sì introdotto in alcune delle sue sculture più famose, ma che qui diventano un genere autonomo, in qualche modo “concettuale”, perché legato in maniera sempre più labile alla realizzazione di un determinato soggetto o alla formulazione di un modello. Questa riduzione formale ed espressiva ai modi del bello ideale raggiunge il punto più alto nella Vestale.
Tra il 1818 e il 1819 Canova realizzò tre repliche di questo soggetto, ciascuna con significative varianti. La più nota è quella della GAM, le altre due vengono dalla Fondazione Calouste Gulbenkian di Lisbona e al J. Paul Getty Museum di Los Angeles, e sono per la prima volta in assoluto riunite in un unico percorso espositivo, in un confronto diretto che è il punto di arrivo della mostra milanese. Precedono questo dialogo inedito altri confronti, tra le sculture di Canova e opere che vanno dall’antichità ai nostri giorni. Tra questi si segnalano le sculture antiche della collezione Farnese (viste da Canova a Napoli), gli affreschi del Quattrocento toscano, gli scultori che seguirono il classicismo del maestro nell’Ottocento (come Gaetano Monti o Pompeo Marchesi) ma anche l’arte del Novecento e la scultura di Wildt. La mostra prova così, tra l’altro, a indagare l’influenza che Canova ha avuto su artisti precedenti, sino all’opera esposta di Giulio Paolini.
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La mostra è suddivisa in 5 sezioni, che percorrono la storia di questo genere dalle sue prime formulazioni all’emergere di una sensibilità romantica, echeggiante esempi rinascimentali, fino ai preziosi marmi realizzati da Canova come dono in ringraziamento ai diplomatici inglesi che avevano appoggiato nel 1815 la sua missione di recupero delle opere d’arte italiane sottratte dalle truppe napoleoniche.
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