Arte

Caravaggio il pittore che umanizzò la divinità e santificò l’umanità

21 Gennaio 2021

La“Canestra di frutta” fu eletto logo della celeberrima mostra tenuta nel 2010 nelle scuderie del Quirinale,  e apriva subito il confronto tra il visitatore  e il genio del pittore maledetto,  per proseguire con tutte le altre  opere dal “il Bacco” i Bari” “la Deposizione” “Il Concerto di giovani”.

Partiamo proprio da quella storica mostra, perchè mai tante opere di Caravaggio furono riunite nello stesso luogo e mai più  di allora è stato possibile conoscere il pittore lombardo così da vicino.  Chiunque sia andato in quelle scuderie con l’anima aperta può ben dire che non fu visitatore di una mostra ma spettatore di una prima teatrale.
Nel percorrere i corridoi e guardare le tele appese alle pareti, era fatale pensare a Hogwarts la scuola del piccolo e famoso mago  Harry Potter,  dove i protagonisti dei dipinti all’improvviso escono dalla tela per muoversi e  parlare. Ci si  aspettava che da un momento all’altro  Giuditta una volta finito con Oloferne, lasciasse cadere la spada e chiedesse: “Ho fatto la cosa giusta?” che il Cristo flagellato si avvicinasse e poggiasse la testa sulla spalla del primo passante, che il Bacco irriverente facesse l’occhiolino a una bella donna.

Giuditta e Oloferne 1600-1602

 

Davanti ai quadri di Leonardo da Vinci abbiamo pensato “mirabile unione di arte e scienza” e davanti a Raffaello “sunto perfetto di  poesia e pittura”  ebbene di fronte a una tela del Caravaggio andiamo oltre, vediamo l’unione di realismo, poesia,  sacro e profano, ammiriamo l’essere umano che  diventa capolavoro con la semplice esposizione della propria misera umanità.
Caravaggio non vuole mistificare e nemmeno fotografare , Caravaggio conferisce carne e sangue alla divinità.  Furono diversi gli ecclesiastici che rifiutarono i quadri che Caravaggio aveva dipinto per una loro commessa; i suoi santi e le sue madonne erano troppo “popolani” per gli ordini monastici. Caravaggio infatti dipinge delle vicende bibliche e le usa come pretesto per inserirvi  il corrotto spirito umano dei suoi tempi e di ogni epoca. Individua i suoi personaggi per le vie Roma, e li traduce su una tela. Attua un semplice trasferimento, imprigiona la loro essenza, catturando le luce che una determinata azione accende nei loro corpi, ci mostra il loro lampo vitale circondato sempre e comunque da un’oscurità inquietante. I chiaroscuri dei suoi quadri sapientemente fusi alle luci e alle ombre riprodotte nelle sale dai curatori della mostra, ci insinuano quella lieve angoscia, che si mescola allo stupore, all’ammirazione, alle mille domande che sorgono sulla sua vita disgraziata e dissennata. Ci lascia commossi, inquieti e riconoscenti.

Nel  libro dello studioso americano Roy Doliner  “Caravaggio una luce nelle tenebre”  a pagina 71 leggiamo: “Nella sua mansarda d’artista il soffitto e la finestra dell’abbaino erano dipinti completamente di nero e la parte superiore del lucernario era stata sfondata per far entrare la luce che si rifletteva in uno specchio convesso collocato vicino alla finestra in modo da concentrarsi come in un riflettore nell’oscurità dello studio sottostante. Focalizzando la luce intensa dall’alto creava il famoso chiaroscuro teatrale delle sue opere, evidenziando i modelli e gli oggetti principali delle scene eliminando i dettagli inutili con l’uso dello scuro.”

Caravaggio usava insomma una rudimentale camera oscura, improvvisata con i mezzi dell’epoca. Con lo specchio l’immagine veniva proiettata direttamente sulla tela creando poi un effetto ricalco e quindi il più reale possibile. Questo sistema facilitava il suo lavoro, velocizzava i tempi e gli lasciava più tempo libero per dedicarsi alle sue occupazioni preferite: i bagordi le risse e il gioco.
Tesi avvalorata anche da alcuni scritti dei suoi contemporanei e dal fatto che conoscesse la tecnica perché a servizio del cardinale romano Del Monte, uomo illuminato e al corrente di tutte le novità scientifiche del tempo tra cui anche la costruzione dell’ultima camera oscura della Porta a Venezia.
Che dire? La sua improvvisata camera oscura gli era di aiuto certo…ma è veramente il suo grande segreto? Che tanto genio lo si possa spiegare solo svelando l’uso di uno specchio convesso? Che tutto di Caravaggio lo si debba sempre ricondurre alle sue intemperanze e alle sue poco ortodosse inclinazioni e che non abbia nessuna grandezza spirituale un uomo che dipingeva quadri simili? Pochi lo credono per fortuna.

Davide con la testa di Golia 1609-1610

Tra gli ultimi quadri nel percorso della mostra e nella sua vita  troviamo “Davide e Golia” la testa di Golia è un autoritratto di Caravaggio a tre mesi dalla sua morte. Guardate bene l’espressione di Davide e quella di Golia nella testa mozzata. Se riusciamo veramente ad entrare dentro a questo dipinto, capiremo che la risoluzione del rebus e lì. Pietà, superbia, umiltà arroganza, luci ,ombre, eroi buoni, giganti cattivi, sacro e profano, ideali sublimi e istinti più bassi, tutto convive nelle tavole di Caravaggio così come dentro tutti noi e quindi nel mondo, ma lui solo ha saputo fissare il caos su una tela in modo talmente umano da risultare ultraterreno.
Nei quadri di Caravaggio vediamo  la divinità farsi umana e l’umanità assurgere al divino  Forse è questo il segreto  della sua eccelsa arte immortale.

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