Arte
Canova genio del bassorilievo
Tra i ritratti di maggior qualità del Settecento europeo figura certamente l’immagine che il grande Pompeo Batoni ci ha lasciato di Abbondio Rezzonico, figlio del procuratore di San Marco e nipote di Clemente XIII, discendente di una delle più importanti famiglie veneziane, ma affermatosi a Roma, dove venne eletto senatore nel 1765, assumendo così la carica civile più di prestigio e rilevanza nello Stato pontificio. Nel Viaggio in Italia Goethe si trova a descrivere la dimora del Rezzonico, con affaccio sui fori, allorché è invitato a un concerto nella Sala da Musica progettata da Giacomo Quarenghi e ornata dei dipinti di Giuseppe Cades, e riferisce di ornamenti alla greca e all’etrusca predisposti da Giambattista Piranesi. Il senatore ha trasferito in questa dimora la quadreria di famiglia, e Goethe può ammirarvi il ritratto del pontefice realizzato da Anton Raphael Mengs.
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Canova incontrò Abbondio a Roma nel 1778, nel suo primo soggiorno romano. Il fratello Ludovico Rezzonico aveva già affidato allo scultore alcune statue per la villa di Bassano del Grappa. Nei circoli artistici che si riunivano attorno al senatore e all’ambasciatore veneto Girolamo Zulian Canova trovò l’opportunità di maturare la propria sensibilità per l’antico, e i due patrizi veneziani divennero di fatto i suoi protettori e committenti. In quell’ambiente l’artista conobbe anche Giovanni Gherardo De Rossi, che scriveva le “Memorie delle Belle Arti”, bollettino finanziato dal Rezzonico, e il cugino di quest’ultimo Carlo Gastone della Torre: i due furono i primi a vergare critiche positive del lavoro dell’artista, accelerando la sua affermazione. In questo contesto, che procurò a Canova anche la commissione del monumento funebre a Clemente XIII che rivoluzionò la maniera di concepire le opere di scultura più complesse, Canova divenne ciò che Piranesi era stato per le memorie antiquarie: un testimone contemporaneo capace di tradurre in un nuovo linguaggio figurativo tutta la potenza evocativa della civiltà greco-romana.
Costituiscono di fatto una eco dello stesso monumento per il pontefice Rezzonico, eseguito tra il 1783 e il1792 per la basilica di San Pietro (la vicenda dell’ideazione è ben ricostruita nella monografica in corso a Palazzo Braschi, che contempla anche la questione dell’altro capolavoro, la tomba di Clemente XIV nella basilica dei Santi Apostoli) i tre bassorilievi con figure allegoriche raffiguranti le Virtù. Le figure di Speranza, Carità e Giustizia. Li si osserva in apertura di quella che può con pieno diritto essere considerata una “mostra nella mostra”, perché di Canova Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna in corso alle Gallerie d’Italia sono nel contempo una delle parti più preziose e un proseguimento nelle sale museali del contiguo Palazzo Anguissola, dove sono esposti i tredici bassorilievi in gesso confluiti nel 1997 delle raccolte della Fondazione Cariplo, dopo che nel 1991 erano stati acquistati dalla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde. Si tratta dunque di un tesoro che è permanentemente nelle collezioni di piazza della Scala, e che assieme alla serie conservate alla Gypsotheca di Possagno e al Museo Correr rappresenta il gruppo più completo di esiti del Canova in questo tipo di scultura.
I gessi erano tutti collocati nella villa di Bassano di Abbondio Rezzonico, e nel 1836 furono acquistati dal collezionista patavino Antonio Piazza, che li tenne nel proprio palazzo, per poi passare ai conti di San Bonifacio, ultimi proprietari prima della cessione a Cariplo. In realtà Canova qui non s’ispira solo all’antico, ma anche allo stiacciato della scultura quattrocentesca, da Donatello a Ghiberti, sino ai veneti Pietro e Tullio Lombardo. Le figure con grande rilievo volumetrico lasciano il posto a scene che appaiono come schiacciate sul fondo. Così avviene per cinque bassorilievi ispirati a Omero e Virgilio, che Canova avrebbe realizzato mentre, per ispirarsi, si faceva leggere l’Iliade, l’Odissea e L’Eneide. Alcune scene sono più pacate e classiche, come quella di “Briseide consegnata da Achille agli araldi di Agamennone”, altre più mosse e tormentate, di una drammaticità che in misura minore guarda anche al ritmo più concitato dell’Ellenismo, come La Morte di Priamo.
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De Rossi ci fornisce la cronologia degli ingressi nella villa di Bassano dei bassorilievi: nel 1793 arrivano i primi tre, nel 1794 altri tre, e nel 1792 gli ultimi due. Alle scene ricavate dai poemi epici si aggiungono quelle ispirate alle vicende di Socrate e ai suoi dialoghi, in particolare alle ultime ore del filosofo, per quella che Fred Licht ha suggerito di considerare una “via crucis laica” (nella foto di apertura dell’articolo si vede la scena in cui “Critone chiude gli occhi a Socrate”). Il tema può essere stato suggerito a Canova dall’amico letterato Melchiorre Cesarotti, che nella sua introduzione all’Apologia di Socrate nel 1781 aveva definito l’autore del Fedone un “martire della religione naturale”, ricordando come il filosofo si fosse dedicato in gioventù alla scultura.
Il successo delle serie di bassorilievi fu tale che a partire dai modelli presenti nel suo studio, ora conservati alla Gypsotheca di Possagno, Canova realizzò diverse versioni per le più prestigiose famiglie nobiliari di Venezia, Padova e Roma, che venivano collocate in un solo ambiente, divenuto un vero e proprio lay-out, la “sala canoviana”, che in breve si affermò come vero e proprio status. Accanto alla serie bassanese si ricordano quelle di Girolamo Zulian a Padova, del procuratore Antonio Cappello a Venezia, ora al Museo Correr, e altre disperse o frammentarie, ma citate dalle fonti, tra cui quelle di Giuseppe Vivanti Albrizzi, quella di Giannantonio Selva, quella dei Barisan, a Castelfranco Veneto, e ancora per Villa Lante al Gianicolo e per Villa Torlonia, una serie che è conservata nella collezione delle Generali di Trieste e una che stava a casa della marchesa Gentili Boccapaduli. La riproduzione avveniva grazie alla collaborazione dei cosiddetti “gessini” o formatori, che adottavano il metodo della “forma a perdere”, in cui il negativo veniva distrutto, garantendo l’unicità di ciascuna serie, pur all’interno di un’invenzione non originale. In una lettera a all’architetto Selva lo stesso Canova spiega il procedimento: “una forma persa per cavarne un gesso, e glielo spedirei, così vorrebbero ad essere una specie di originali, perché come sapete dalla forma persa non se ne ricava che uno”.
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