L’odio affascinante ha forma di casa: vinceremo costruendo città dolcissime
Dagli anni ’50 sono state costruite in Europa porzioni orribili di città e Parigi ha costruito uno dei sistemi urbani più avvilenti per le persone che fosse possibile immaginare.
La banlieue è stata nelle intenzioni anche un sistema generoso di accoglienza del flusso migratorio proveniente dalle ex colonie africane, ma era troppo facile che la sua distanza dalla città la definisse come un sistema ferocemente razzista. Non avvilisce tanto il pendolarismo, quanto la sensazione che la tua casa non sia al centro di nulla.
Quei quartieri e quelle case erano state pensate come città di transito e gli edifici avevano la fragilità di questa definizione. Ho abitato ad Orly da ragazzino alla fine degli anni ’80. Nessun caseggiato aveva più mura sane. Scomparsi infissi, porte, ringhiere. La definizione effimera di transito era diventata una tremenda condizione edilizia.
Una condizione che ha generato qualche epica che però esaltava solo chi non doveva prendere il treno due volte al giorno. Non un abitante della banlieue ha immaginato di essere Vincent Cassel ventenne. Aveva senso però il titolo del film, l’Odio affascinante.
Non sopporto nessuna di queste narrative. Non sopporto neppure l’estetica incredibile del parkour che rappresenta soltanto la disperata capacità di adattamento delle persone a quartieri privi di appigli umani.
Da progettista poi ho incontrato altre epiche, fascinazioni borghesi e semi colte per la periferia. Non ho mai sentito che avesse senso l’ipotesi di una qualche felicità o attrazione per case e quartieri immondi. La dolcezza che potevo trovare lì era nei tentativi di vita delle persone e non nei pezzi di città che si trovavano attorno.
Questi caseggiati esistono ancora in tutta Europa e producono una azione tremenda su chi li abita. Questo è il mio punto. La forma delle case e della città ha una azione potente emotiva e sociale. In un momento in cui i processi partecipati e relazionali sembrano l’unica possibilità di correggere dinamiche sociali negative, questo testo è dedicato alla azione sociale della sola forma dell’architettura. È un contributo minimo dedicato alla relazione antropologica tra forma dell’abitato e la formazione (l’azione della forma) personale e collettiva.
La forma delle città può generare o meno partecipazione. La forma delle città può educare oltre che la vita sociale, quella emotiva e intima.
Con quanta cura vanno ancora trattati questi quartieri osceni che hanno generato isolamento, tristezza e violenza? Vanno demoliti. Vinceremo costruendo città dolcissime.
4 Commenti
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Dal film La Haine in poi sappiamo internazionalmente come si vive e chi vive nelle periferie francesi Le città dolci mi sembra una bellissima espressione ma quali sono gli esempi di città dolce? non rischia di essere un slogan appetibile tipo “foreste verticali” un esempio a caso…buono per chi nella dolcezza ci vive già ma lontano da chi della città dolce ha realmente bisogno? F
Dal film La Haine in poi sappiamo internazionalmente come si vive e chi vive nelle periferie francesi Le città dolci mi sembra una bellissima espressione ma quali sono gli esempi di città dolce? non rischia di essere un slogan appetibile tipo “foreste verticali” un esempio a caso…buono per chi nella dolcezza ci vive già ma lontano da chi della città dolce ha realmente bisogno? F
Ciao Filippo. Ci conosciamo anche un minimo. Ma leggendo online capisco che si tenda a spersonalizzare. Ma ti sembro uno da slogan? Baci.
Ciao Filippo. Ci conosciamo anche un minimo. Ma leggendo online capisco che si tenda a spersonalizzare. Ma ti sembro uno da slogan? Baci