Sands War è un lungometraggio del 2013 scritto dal cineasta francese Denis Delestrac che racconta come la sabbia sia un bene primario per la nostra economia moderna. Dopo l’aria e l’acqua, la sabbia è la materia prima più utilizzata al mondo. La stima di produzione globale annuale di sabbia supera i 15 miliardi di tonnellate. Il vetro, la carta, la plastica, gli spray, i detergenti, i cosmetici, il dentifricio e molti altri prodotti che utilizziamo ogni giorno sono fabbricati con la sabbia. Anche le nostre case sono costruite per buona parte con la sabbia. È una risorsa non sostenibile che non ha nessuna forma di controllo e che produce un giro di affari di miliardi di euro ogni anno. Il lungo reportage pluripremiato di Delestrac pone l’attenzione sulla responsabilità delle scelte e sulla necessità di stabilire regole di salvaguardia e di protezione a fronte un’incessante erosione delle coste nei cinque continenti dovuta al consumo di sabbia.
A livello globale il 75% delle linee di costa è in pericolo di sparizione a causa del costante sviluppo delle industrie di tipo estrattivo. I danni dovuti all’erosione sono moltiplicati dall’azione dell’uomo che si sommano agli effetti dei cambiamenti climatici in corso. L’affermazione che le nostre singole azioni, seppure piccole, siano di poco impatto sull’ambiente costiero non è più sostenibile. Non possiamo rassicurarci programmando di anno in anno, caso per caso, un equo calcolo dell’impronta ecologica. Per mantenere il nostro grado di “civilizzazione” è necessario affrontare le questioni con un balzo di coscienza.
Perché è fondamentale stabilire regole certe, monitorare e vigilare senza compromessi sullo stato del benessere delle coste italiane? Quanto incide la costante azione antropica sulle spiagge? Come stiamo gestendo gli spazi costieri? Negli ultimi mesi il Governo italiano ha onorato l’impegno con l’Unione Europea che dal 2006 chiedeva di garantire un sistema di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri, l’applicabilità di principi di concorrenza alle concessioni di beni pubblici e la garanzia di principi di trasparenza al procedimento di selezione dei concessionari (Direttiva 2006/123/CE).
Il disegno di Legge di bilancio 2021 ha quindi avviato la cosiddetta riforma sulla concorrenza. Il prossimo Governo dovrà mette mano anche alle “concessioni balneari” che interessano gli ambiti demaniali marittimi, lacuali e fluviali di proprietà statale. Siamo in attesa dei decreti di legge per regolare la modalità di assegnazione delle concessioni, dando per scontato che l’estensione dello spazio demaniale da lasciare in gestione al privato rimanga immutata e senza discutere le future modalità di una complessiva gestione privata delle spiagge. Tra le righe potremmo chiederci: “E se la gestione delle spiagge fosse in parte pubblica?” Ma rimaniamo sull’analisi dei fatti.
Allo stato attuale la normativa in materia è a capo delle Regioni che demandano ai singoli Comuni le decisioni su come pianificare i propri tratti di costa. Poche forme di salvaguardia individuano aree naturali negli ambiti costieri da preservare come Zone Protette Speciali o Siti di Interesse Comunitario. Nella gran parte delle situazioni i Piani particolareggiati comunali degli arenili disegnano veri e propri “piani di lottizzazione”, che individuano dove è consentito installare, più o meno temporaneamente, le attrezzature turistiche a scopo produttivo e commerciale.
Le “spiagge libere” hanno un rilievo pressoché nullo nella pianificazione comunale dello spazio demaniale. Per fare un esempio tra i più virtuosi, anche se non del tutto applicato, l’articolo 10, comma 5e, della Legge Regionale dell’Emilia Romagna n. 9/2002, prescrive che “ai fini della salvaguardia delle aree, sulle aree già destinate a spiaggia libera dagli strumenti urbanistici vigenti, non possono essere rilasciate concessioni che riducano il fronte a mare di dette aree al di sotto del 20 per cento dell’estensione del litorale comunale destinato a stabilimenti balneari”, ma senza stabilirne priorità di localizzazione. Ergo le spiagge libere sono spesso marginali e/o con bassa qualità ambientale. In alcune delle Regioni italiane affacciate sul mare la percentuale di spiaggia libera da garantire non è nemmeno individuata.
Rispettare i principi comunitari, e in particolare la “direttiva Bolkestein” del 2006, costituisce per l’Italia un’occasione per ripensare il rapporto con il suo mare. I decreti di legge che deriveranno dall’applicazione della Legge di bilancio 2021 saranno d’importanza cruciale. La modifica delle norme che riguardano la gestione delle coste diventa di fatto una questione politica. Già è diventata materia di campagna elettorale per le elezioni del prossimo settembre. E questo è un fatto assai preoccupante.
Da una parte vi sono da garantire gli interessi di un tessuto economico imprenditoriale che negli anni è cresciuto notevolmente e ha consolidato importanti rendite di posizione. Secondo Confcommercio, a partire da fonte ed elaborazione di C.S. Fipe su dati Istat e Si Camera, il fatturato reale dei soli stabilimenti balneari italiani (6318 in tutta Italia) nel 2019 ammonterebbe a poco più di un miliardo annuo complessivo. Mentre già nel 2003 secondo Nomisma uno studio valutava l’indotto complessivo generato nelle locali balneari italiane intorno ai 13 miliardi di euro, pari all’1% del Pil nazionale.
Su un altro versante dobbiamo preoccuparci seriamente difronte alla netta avanzata del mare con crescenti costi per la salvaguardia e la manutenzione delle coste. Il 2022 sarà probabilmente ricordato tristemente perché si presenterà un conto salatissimo, contrassegnato dalle frequenti mareggiate e trombe d’aria fuori stagione abbattutesi sui litorali dell’intera penisola.
È necessario trovare un nuovo rapporto tra la pianificazione degli spazi demaniali costieri e la gestione delle spiagge. Le linee di costa vanno intese come un sistema ambientale vasto e interconnesso con molti altri ambiti naturali, produttivi e urbanizzati. Non si tratta solo di gestire stagionalmente l’impianto di ombrelloni e cabine. Non si tratta più di programmare una tantum opere di ripascimento di interi ed estesi tratti di costa, contando spesso sull’apporto economico degli operatori privati coscienti della scarsità del “bene sabbia”. Ma soprattutto non si tratta di sfuggire agli impegni sottoscritti in sede comunitaria, pensando di fare come se nulla fosse e prospettare per il futuro scenari inalterati nell’assetto delle concessioni balneari.
Sono allarmanti a riguardo le proposte di Legge costituzionale di iniziativa di alcuni deputati dello schieramento della destra italiana, già depositate alla Camera nel 2014 e nel 2017, per la modifica di alcuni articoli della Costituzione italiana, concernenti il rapporto tra l’ordinamento italiano e l’ordinamento dell’Unione europea e l’introduzione del principio di sovranità rispetto all’ordinamento dell’Unione europea. Seppure di carattere generale, ma di natura fondamentale, queste proposte di legge antepongono interessi particolari che ci sottraggono e ci fanno sfuggire alla coerenza dell’ordinamento dell’Unione europea o da obblighi internazionali.
Cosa serve allora? È necessario pensare come ristabilire un nuovo equilibrio, ora corrotto, tra i sistemi. È necessario ristabilire un grado della discussione basilare, ma più sofisticato, a partire, a esempio dagli obiettivi della Convenzione europea del Paesaggio che in un suo tratto recita: “Il paesaggio deve diventare un tema politico di interesse generale, poiché contribuisce in modo molto rilevante al benessere dei cittadini europei che non possono più accettare di ‘subire i loro paesaggi’, quale risultato di evoluzioni tecniche ed economiche decise senza di loro. Il paesaggio è una questione che interessa tutti i cittadini e deve venir trattato in modo democratico, soprattutto a livello locale e regionale.”
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