Il rispetto non dovrebbe richiedere interpretazioni. Nei giorni scorsi sulle pagine del Foglio Valerio Valentini ci ha riportati sul caso delle concessioni balneari parte del ddl Concorrenza. Nel suo breve articolo si legge di un “modo molto italiano di rispettare gli impegni europei”. Nel merito, secondo le parole di Valentini, “si rischia grosso sul Pnrr”. Ad aumentare la tensione è un’altra notizia di ieri riportata sulle colonne del Fatto Quotidiano. Patrizia de Rubertis e Giacomo Salvini riferiscono di un emendamento chiave e, con molta probabilità, determinante una proroga di almeno cinque anni sulla messa a bando delle concessioni demaniali marittime e fluviali. Uno status quo impererebbe ben oltre la fine del 2023, in attesa della verifica di una mappatura delle spiagge utile per la definizione delle future concessioni. Su questo punto in particolare è da chiedersi come mai a oggi manchi una mappatura attendibile, ma per il momento sorvoliamo. In attesa di sviluppi gli italiani e molti cittadini europei stanno già pensando al bagnasciuga, alle sedie a sdraio e ai lettini rifiniti di raffia, non curanti del futuro delle coste italiane.
Ma cosa significa nella realtà dei fatti questo stallo che sembrava scongiurato e che invece fa emerge la mancanza di progettualità condivisa sul tema? L’Italia si deve aspettare un’ambasciata a Bruxelles, cappello in mano, dell’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri? Mario Draghi si presenterà al cospetto della UE per chiedere l’ennesima proroga alla direttiva Bolkestein, che ricordiamo risalire al 2006? Secondo l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato nessuna proroga è più possibile. La politica pare conduca la sua partita. E che partita. La contesa sembra un castello di sabbia arroventata che si sta sfaldando al sole. In tutto ciò mi pare non esserci alcuna notizia. Vi è piuttosto una contesa indefinita nel tempo: tensioni nell’agone politico alle quali oramai siamo abituati.
Ma allora dove sta la notizia? Perché si dovrebbe discutere di concessioni balneari? Di che cosa dovremmo veramente dibattere? A modesto parere di chi scrive una notizia c’è. Ed è da ricercare in una plateale omissione. Assente pare essere il centro del discorso. Assente è una agenda sul tema delle coste sviluppata in senso profondo e denso con idee per il futuro di uno dei beni pubblici più preziosi in termini socio economici che l’Italia possieda. Di recente abbiamo già commentato tra le righe de Gli Stati Generali. Un’agenda che sappia programmare, ad esempio, il futuro delle coste italiane sul breve e lungo periodo. Che eviti di procrastinare sine die il rispetto delle leggi comunitarie. Sì, perché di tutto si sta discutendo, a meno della ragione del contendere. Nessun accenno al convitato di pietra che riteniamo essere questo vastissimo territorio costituito dal profilo peninsulare. Chiamiamolo pure in tanti altri modi: ambiente, paesaggio, spazio demaniale, città metromarina di cui abbiamo già scritto di recente.
Di sicuro oggi non si sta progettando il futuro delle coste italiane. Nessuna parola pare essere spesa per affrontare la “questione coste” mettendo in chiaro che, a esempio, i piani particolareggiati degli arenili fin qui elaborati seguono logiche non più efficaci ad affrontare le problematiche e i rischi cui le coste italiane da sud a nord sono sottoposte. Eppure lo stato di stress ambientale e antropico delle fasce marine è ben conosciuto. Parlare di progetto, parlare di piani virtuosi in grado di configurare futuri asseti delle coste pare non rientri in nessuna agenda politica. In aiuto a questa discussione conosco solo pochissimi isolati e virtuosi esempi al momento in elaborazione rintracciabili per lo più nella regione salentina (si veda a esempio il bel reportage scritto sulle pagine dell’ultimo numero de L’Essenziale da Sarah Gainsforth, raccontando il Piano delle coste elaborato dal Comune di Lecce). Spero di essere contraddetto e che altri contesti dichiarino la loro attenzione ai temi della fragilità, della salvaguardia di biodiversità, dell’accessibilità, della fruizione antropica degli spazi asciutti e marini delle coste. Le norme vigenti escludono qualsiasi forma di visione necessaria per progettare il futuro di un’importante parte del nostro territorio, al momento condannata alla definitiva e completa compromissione. È necessario riportare la parola “Territorio” a una questione politica. Nel caso specifico le coste italiane devono diventare una questione politica. Essere una priorità nell’agenda politica di Ministri, Governatori e Sindaci chiamati con impegno a programmarne il futuro in modo virtuoso. E come recitava l’adagio…caro Mario Draghi, chi ha tempo non “più” aspetti tempo.
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Caro Matteo, hai colto il punto! di cosa stiamo parlando? progetto-visione-programmazione-verifica sono processi faticosi da mantenere… e qui manca l’inizio della catena. La politica spesso fa leva sulle ‘sole’ dichiarazioni e quasi mai sulle conseguenti azioni, basti guardare la gestione delle emergenze, dalle episodiche (terremoti, alluvioni) alle più globali (clima, pandemia).