Corte Marghera. Un’architettura “fuoribiennale”
La Biennale è d’Architettura si è aperta da qualche giorno. Se faticate a decifrarne il titolo – Freespace? – forse siete in buona compagnia. Probabilmente scelto per la sua ambivalenza, che sia una domanda aperta al pubblico a cui è “saltato” il punto interrogativo per ragioni tipografiche? Noi l’abbiamo vista di corsa, nell’affollamento generale della pre-apertura, ma siamo stati fortunati. Il secondo giorno di primo mattino abbiamo seguito un “giovane architetto” incontrato per caso a colazione per un appuntamento speciale, non nella programmazione ufficiale.
Ci muoviamo in direzione contraria rispetto ai tradizionali spazi della Biennale: partiamo dalla Giudecca, prima un vaporetto fino a Piazzale Roma, poi un tram fino a Mestre, poi un quarto d’ora camminando fino ad arrivare a piedi al Forte Marghera, sotto il primo caldo estivo. Uno degli architetti autori del progetto ci sta aspettando, per raccontarcelo on site .
Stiamo per visitare uno dei due progetti speciali di questa Biennale, inaugurato per primo in assoluto, un’installazione molto architettonica che affaccia sulla Baia del Forte a Marghera, sull’altra riva rispetto a Venezia. Auto-costruito in sei settimane dagli stessi architetti in coollaborazione con la squadra di Rebiennale – cliccate per vedere le immagini di cantiere – Corte del Forte è uno spazio “aperto” a disposizione di tutti gli abitanti di Mestre, oltre che per i visitatori, e nelle intenzioni dovrebbe rimanere fino a che ci sarà chi se ne prenderà cura, questo è l’augurio di Paolo Baratta.
Una struttura di legno costruita attorno a un vuoto centrale, ombreggiato, un bar e un palco che può funzionare per un pubblico che stia dentro nel patio o stia fuori sul grande prato antistante, quando più numeroso. Uno spazio “libero” in attesa di essere riempito dalle idee e dalle iniziative dei visitatori. “Vogliamo enfatizzare la funzione sociale dell’architettura, in un contesto che è manifestazione di precedenti scenari politici, economici e militari e allo stesso tempo rappresentazione di una transizione verso la demilitarizzazione, l’apertura, la democrazia”.
Incontriamo l’architetto – uno dei due dello studio Rintala Eggerston con base ad Oslo – sul viale di accesso alla baia, che accompagna all’uscita un piccolo gruppo che ci ha preceduto. Ci dice di aspettarlo sul posto, e infatti ci raggiunge poco dopo, lasciandoci il tempo giusto per guardarla da soli. Mentre siamo lì, con una pacatezza e apertura che raramente si incontra, ci racconta moltissime cose, ci parla di autocostruzione, integrazione, naturalezza, bellezza e per una volta si intuisce immediatamente la forza di una buona corrispondenza fra pensiero, forme costruite e contesto sociale.
Arrivate nel tardo pomeriggio con una buona bottiglia al seguito, e aspettate l’imbrunire. Per una visita al dancing pavillion, è il momento in cui la luce è migliore. Parola degli stessi architetti.
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