Tante energie e appalti pubblici eterni: curiamo la schizofrenia di Milano

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16 Aprile 2015

Milano è stata capitale “morale” e simbolo dell’efficienza nazionale, si narra per eredità teresiana e l’Austria era un Paese ordinato: almeno fino a Mani Pulite e alla relativa e mondiale perdita di credibilità. Nel 2006 Governo, Regione e Comune candidano Milano all’Expo 2015, così da rifarsi una “reputazione” di cui solo design e moda hanno tenuto alta la bandiera; nel 2008 vince e Mr. Hyde emerge dalla coscienza meneghina, afferma la sua nera e forte personalità, intesse la sua diabolica trama.

Ecco immediata la lotta di potere tra Stato, Regione e Comune su chi comanda e spende il miliardo e mezzo necessario; si sceglie un luogo “altrove” con pratiche opache, indifferenti alla proposta di usare la grande area dismessa di Ferrovie allo scalo Farini, che avrebbero lasciato in eredità un pezzo di città rifatto.

Poi si decide di non fare alcun concorso di architettura perché “non c’è tempo!”, salvo per il Padiglione Italia, all’ultimo momento, grazie all’intervento del Consiglio Nazionale Architetti PPC e mozioni approvate in Parlamento; progetti ed appalti si fanno tutti in house con partecipate pubbliche la cui direzione si è rivelata poi degna di indagini giudiziarie.

Ci vogliono 4 anni perché comincino i primissimi cantieri, in un climax d’angoscia da thriller che ci porta oggi ad aprire i battenti con l’Expo, ahimè, non finito. Speriamo tutti di fare comunque una magnifica figura, ma le responsabilità non si declinano al condizionale. Sul dopo Expo è cominciato il balletto, con molte stecche inziali.

Il Mudec all’Ansaldo, di recente provvisoria apertura, è un progetto approvato nel 2001 ma ci vogliono 8 anni per arrivare all’appalto e poi 7 (sette!) per realizzarlo e l’architetto vincitore del concorso David Chipperfield lo disconosce: troppo mal realizzato dalla Direzione Lavori del Comune.. Forse s’ha da rifare almeno tutto il pavimento.

Intanto il Teatro Lirico disegnato da Piermarini poi bombardato e rifatto nel dopoguerra,  chiude i battenti nel 1999 perché fuori norma. Ci vogliono otto anni per cominciare a lavorarci ma l’impresa fallisce. Causa e recupero del possesso (tre anni), nuovo progetto tutto in house ed ora si pensa di fare in un batti baleno, tre turni di lavoro, per finire in fretta, costi quel che costi.

Mentre Hyde agisce, Jeckill lavora. Nel 2009 cominciano i lavori del progetto Porta Nuova (340 mila metri quadri)  e in sei anni è pronto e i milanesi lo fanno proprio, sarà che cominciavano a credere che era il solito eterno cantiere (non a caso si dice “la fabbrica del Duomo”) Al netto delle considerazioni urbanistiche, Porta Nuova diventa subito un “pezzo di città” dove con scelte intelligenti e concorsi si sono costruite architetture di valore che sfidano la città della Velasca e del grattacielo Pirelli.

Quale delle due è dunque Milano? Quella degli appalti pubblici eterni e sbagliati o quella che dopo anni di inedia trasforma le Varesine?

Milano è la città che ha inventato il project financing con la Galleria Vittorio Emanuele, facendo un concorso internazionale di architettura; che ha dato i lumi al “design”; che l’anno scorso ha varato ConcorriMI per le sue opere pubbliche o quella dei dirigenti in manette e i lavori non finiti?

Forse come il Gorilla in un giallo di Sandrone Dazieri, milanese d’adozione, è solo affetta da un disturbo dissociativo della personalità. Curiamola.

TAG: expo2015, milano, sandrone dazieri, urbanistica
CAT: Architettura e urbanistica, Milano

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