La povertà urbana delle nostre città
Da quando si sono costituite le città, quindi da quando l’accumulo ha iniziato a creare delle stratificazioni sociali di reddito e di beni, la povertà urbana, o meglio il divario fra i vari abitanti, è sempre stato un fattore presente che ha caratterizzato sia la struttura della città stessa, che l’urbanizzazione di un luogo, che le dinamiche sociali in essa sviluppatesi. Non é un caso che proprio la sociologia della città nasca dagli studi sui poveri lavoratori dell’Inghilterra di fine ottocento ad opera di Engels.
Per povertà urbana nell’ accezione moderna del termine ci si riferisce ad una condizione di impoverimento generale e di divario sociale, sviluppatasi dopo i ”gloriosi trenta” (1945-1975), con l’avvento di alcune tematiche storico politiche che hanno radicalmente modificato un assetto socio/urbano, nei paesi sviluppati, che si era andato a stabilizzare. A partire dagli anni ’80 si afferma sempre di più il fenomeno della delocalizzazione, favorito dalla crescente globalizzazione e da un cambiamento radicale nella mobilita e nelle telecomunicazioni. L’affermarsi dell’ideologia neoliberista propagandata dal primo ministro britannico Thatcher e dal Presidente statunitense Reagan, con conseguente de-regulation portata avanti anche per tutti gli anni 90, insieme alla caduta del muro di Berlino nel 1989 non solo smantellarono parte del welfare state di ispirazione laburista ma aprirono praterie economico finanziarie nell’est Europa e in un mondo sempre più globalizzato, in cui lo spostamento di merci e capitali avveniva e avviene con enorme libertà. Il nuovo scenario mondiale, seguendo la logica del laisser faire, laisser passer comportò una de-industrializzazione dei paesi sviluppati che si riversò, e si riversa maggiormente oggi, sulle città.
In questo contesto le shrinking city (città ristrette/spopolate) sono città mutate rapidamente, svuotate dalla scintilla che più di cento anni prima aveva spinto l’urbanesimo. Città come Detroit in U.S.A., quasi sulla via del collasso a causa dell’abbandono del settore automobilistico, presentano una serie di problemi per gli abitanti che non riescono socialmente ed economicamente a seguire i ritmi di questo cambiamento.
Popolazione di Detroit nella storia. Da notare il drastico calo.
Regioni in crescita e in decrescita in Europa.
Strettamente connesse all’andamento demografico della città principale della zona.
La riduzione delle città non solo impedisce spesso la capacità di procacciarsi un reddito stabile e dignitoso, ma svaluta a dismisura beni già acquisiti dagli abitanti, come le abitazioni: a causa di un soprannumero di invenduto che rende l’offerta troppo elevata, facendo conseguentemente diminuire i prezzi. Questi danni economici in mancanza di un sistema di welfare strutturato, insieme alla mancanza di fondi delle amministrazioni pubbliche causa un divario economico crescente. Non è un caso che come dice Thomas Piketty in capitale del XXI secolo l’indice Gini di divario economico sia oggi simile a quello che avremo potuto osservare agli inizi del ‘900. Tutto ciò causa uno zoning sui generis in intere parti di città che si discostano dall’economia di mercato globale, scivolando in vortici di insicurezza,degrado, precariato e microcriminalità, sulla falsa riga delle distinzioni della sociologa Saskia Sassen sulle città globali: l’unicità delle città viene frammentata in zone con accesso mondiale ed altre che restano escluse.
Ciò significa che le città moderne si comportano, ognuna a diverse scale e a diversi livelli, come un puzzle in cui ogni pezzo funge da hub con altri, minando lo schema classico (Christalleriano) che le aveva caratterizzate fino a qualche decennio fa. Si struttura così una fitta rete nella quale i flussi di capitale e di urbanizzazione sono la stessa cosa e che si muovono entrambi con una simile velocità. Questo perché la riconversione delle città nei paesi sviluppati avviene oggi solo tramite l’attrazione di investimenti, solo tramite un flusso costante e vorticoso di capitali che non solo mantengono integro il tessuto urbano ma che, in certe dinamiche politiche, sostiene il welfare stesso di una metropoli e consente di riassemblare un puzzle che, per entropia, tende a disgregarsi. La politica di intervento pubblico cittadino oggi, a fronte anche dell’indebolimento centrale degli stati nazione, non si deve effettuare soltanto nella pianificazione urbanistica, in stile Cerdà, ne soltanto tramite la riqualificazione, che spesso crea fenomeni di gentrification, ma anche e sopratutto tramite un marketing di attrazione solido e costante, che possa anche fornire non solo lavoro ma mezzi alle amministrazioni cittadine di creare un vero e proprio welfare urbano. Con anche tutte le complicazioni del caso, di differenziazione qualitativa tra città/campagna (già in atto) a causa dell’ulteriore indebolimento statale a favore delle città.
Calando la visuale sulle città italiane possiamo esaminare brevemente tre casi: Milano, Genova, Roma. Milano è l’unica tra tutte le metropoli italiane che è riuscita a galleggiare nell’epoca della de-industrializzazione (che ha comunque tolto alla capitale finanziaria d’Italia non pochi abitanti), restando alta competitivamente a livello globale, garantendosi un costante drenaggio di investimenti che ne ha comportato il riassetto urbano degli ultimi anni. Completamente opposta appare invece Genova, quella che un tempo era uno degli angoli del ”triangolo industriale” è l’esempio italiano di shrinking city, in declino socio economico, oltre che demografico. Roma gode invece di una situazione intermedia poiché outsider: non è mai stata una città industriale (il che le ha consentito di sentire marginalmente i fenomeni di delocalizzazione) ma sopratutto una città turistico amministrativa. Da qui il motivo per il quale l’andamento del declino romano è assimilabile al declino del bilancio pubblico e della de- statalizzazione.
Fatte tutte queste considerazioni è bene anche collegarsi alle dinamiche politiche e civiche influenzate da questi fenomeni. Differentemente dalle città terzo-mondiali, in cui la partecipazione o non è ancora entrata nelle dinamiche sociali o viene ripetutamente repressa, le nostre città occidentali, in particolare quelle europee, vivono di un tessuto partecipativo sia civico che politico. Lo stesso tessuto che, già provato dalla crisi di rappresentanza dei corpi intermedi, è più fragile a causa della povertà urbana. Essa rischia di rompere questi equilibri e di sfaldare marcatamente il puzzle cittadino fino a renderne impossibile una comunicazione tra parti, precipitando in un vortice dai risvolti hobbesiani di cui solo recentemente (con gli ultimi risultati politici) siamo riusciti a vederne i risvolti.
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