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Turisti, per caso? Fuera! Raus! Go home!
Barcellona si è risvegliata antiturista. Da città aperta, accogliente, all’avanguardia, si sta richiudendo in sé stessa e manifesta la sua faccia ostile, che peraltro è sempre stata in agguato.
La rinascita avvenne dalla XXV Olimpiade in poi, parliamo del 1992, per merito della quale la città si rinnovò completamente e riscoprì il mare, rivoluzionando completamente la zona della Barceloneta e del Poblenou, trasformando le ormai obsolete e abbandonate installazioni industriali in un nuovo quartiere residenziale, con accesso a spiagge bonificate e collegate con metropolitane e servizi d’ogni tipo.
Da quel momento in poi Barcellona, insieme a una politica dell’accoglienza e di risveglio culturale di livello, grazie anche alle grandi e illuminate fondazioni bancarie come La Caixa e altre, è diventata la meta della movida più vivace che la Spagna abbia mai conosciuto e si è un po’ scossa dal provincialismo a cui sembrava condannata.
Il connubio tra antico e nuovo, senz’altro kitsch ma di qualità, è simboleggiato dal felice incontro di Montserrat Caballé e Freddie Mercury che produssero l’incomparabile Barcelona, presentato tra i giochi d’acqua della Font Màgica del Montjuïc. Ancora oggi il brano è usato negli spettacoli suoni e luci nel medesimo luogo, sebbene i due artisti ci abbiano lasciato ormai da tempo.
Pochi lo sanno ma il modello che Barcellona ha sviluppato alla fine del Novecento era quello di Milano, con tutte le iniziative che il Comune ambrosiano allora faceva. Milano, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, era un luogo dove la cittadinanza poteva vivere e sviluppare sé stessa. Il Comune, che aveva un governo di sinistra, aveva aperto scuole pomeridiane e serali per tutti e per ogni tipo di attività, promuoveva la cultura, c’era musica e teatro per tutti, Dario Fo si fece concedere l’uso della Palazzina Liberty per i suoi spettacoli, Claudio Abbado spolverò di novità le ragnatele della Scala, nacque il Festival di Re Nudo, l’Orchestra, e mille altre iniziative e festival, di musica contemporanea e più agée, si riscopre (o si inventa…) la musica “antica” nella rassegna di spicco di Musica e Poesia a San Maurizio, arte, architettura, e tirituppi e tiritappi, potenziando la già assai effervescente città lombarda.
Questo modello servì a Barcellona per la sua rinascita dopo la fine del franchismo, uno dei periodi più orrendi della storia spagnola. E il modello funzionò.
Barcellona attirò sempre più giovani, moltissimi italiani che vedevano in questa città un’aspirazione all’innovazione che in Italia sembrava assopirsi, per mille ragioni, tra cui anche quelle politiche, anzi, forse soprattutto per queste ultime, dove una classe dirigente vecchia, corrotta e sempre più ignorante sembrava si divertisse a distruggere ciò che l’Italia aveva conquistato dal dopoguerra in poi. Ma tanti sono i fattori che hanno determinato una decadenza inarrestabile del nostro paese, tanto da arrivare all’attualità, ossia un paese sicuramente benestante ma egoista, chiuso in sé stesso, provinciale. Ne parleremo un’altra volta, qui c’interessa Barcellona.
Orbene, dopo l’abbuffata turistica, che ha implicato un arricchimento pecuniario senza eguali nella storia della città, almeno dai tempi delle colonie d’oltremare, arriva la stanchezza. I turisti sono troppi, noi barcellonesi non possiamo più vivere in questa città. Adesso, appena vediamo un turista, lo insultiamo e gli versiamo addosso dell’acqua per fargli capire che non è il benvoluto, qui.
Il che è molto bizzarro per una città che ha totalmente rinnovato il Raval, un tempo quartiere assai malfamato e impenetrabile, alle spalle del Gran Teatre del Liceu e dove ha anche sede il modernissimo Museo d’Arte Contemporanea e altre prestigiose istituzioni. La ripulitura e il risanamento del centro storico, anche in funzione turistica, ha inevitabilmente portato molti visitatori da tutto il mondo. Visitatori che hanno apprezzato sia l’elevata offerta culturale sia quella più edonistica delle spiagge, cinque delle quali nudiste, con una movida perpetua nel Port Vell, arricchito dal più grande acquario d’Europa e dal Maremagnum, centro commerciale con cinema e altri santuari del consumismo destinati ai turisti oltre che ai cittadini. Non sono molte le città che offrono la spiaggia direttamente in città. Forse Rimini o Nizza e poche altre.
Basta, adesso la festa è finita, noi ci siamo arricchiti e di turisti non ne vogliamo più. Basta cogli affitti brevi, basta con queste orde di incannottierati in infradito che sbevazzano a tutte le ore del giorno e della notte e fanno caciara, e, soprattutto, sporcano.
Che ti aspettavi? Che i turisti stessero in fila buonini buonini? Quando tu pubblicizzi un luogo come città aperta e votata all’accoglienza, magnificando le opere di Gaudì, le cattedrali gotiche, la Boquería, il Modernisme català eccetera, quando fai un gadget di tutto e lanci la città come l’unico faro di civiltà possibile in una Spagna che, secondo i catalani, resta oscurantista, la gente accorre a frotte. Soprattutto se mantieni i prezzi abbordabili, almeno in un primo momento, oggi forse non più.
Io a Barcellona ci ho anche lavorato e vissuto e conosco bene la città e gli abitanti. Mi piaceva molto, fino all’inizio degli anni 2000. Poi ha iniziato a diventare sempre meno tollerante, sempre più catalanista, sempre più provinciale. Si è ripiegata su sé stessa, autocelebrativa, come se la sua rinascita fosse stata non una vittoria sull’oscurantismo ma una rivalsa di campanile, esaltando una cultura “catalana” che in parte c’era ma per buona parte è stata inventata di sana pianta.
La crisi internazionale ha impoverito l’industria catalana, la Catalogna si è chiusa a riccio, hanno fatto i referendum senza valore, le banche e molte imprese se ne sono andate altrove, e tanti saluti. E la Catalogna è rimasta parte della Spagna, naturalmente, autogol.
Il territorio, come buona parte del territorio spagnolo, soprattutto sulle coste a sud, è stato devastato da una speculazione edilizia di pessima qualità senza precedenti (esattamente come accaduto in Italia decenni prima), che ha comportato l’impianto di tutta una serie di servizi che accompagnano sempre le urbanizzazioni ossia reti elettriche, idrauliche, eccetera, e un consumo scriteriato di acqua, già abbastanza scarsa, per le innumerevoli piscine a uso e consumo del turismo. Le città satelliti di Barcellona sono squallide, così come certi paesini della campagna, sfregiati da un’edilizia disordinata ed esteticamente discutibile.
Ma torniamo a Barcellona.
La Barcellona misteriosa e lugubre, che però aveva un irresistibile fascino, dei romanzi di Carlos Ruiz Zafón non esiste più da un pezzo. Io credo di averne conosciuto gli ultimi scampoli alla fine degli anni Ottanta, quando la visitai per la prima volta e mi piacque un sacco perché ci ritrovai moltissimo delle nostre città, Palermo, Napoli, Genova, non ancora contaminata e dall’aria délabré. Probabilmente è l’effetto Età dell’Oro che sta in ognuno di noi e che ci porta a ricercare e a ritrovare i luoghi che hanno suggestionato la nostra infanzia, facendoci vedere e interpretare la realtà secondo certi canoni.
Però le analogie che Barcellona aveva con Palermo erano davvero molte. Il liberty, per esempio; la città novecentesca a scacchiera, alberata; l’orientamento, affacciata sul mare a est; la corona di montagne boscose intorno; la Boquería e la Vucciria; le ceramiche; il gotico catalano, più autentico a Palermo nelle chiese e nei palazzi superstiti di quello che si trova a Barcellona, rifatto nell’Ottocento, eccetera. E la sporcizia del Barrio Gótico e del Raval, anche quelle.
Nel rifacimento totale iniziato alla fine degli anni Ottanta molte cose si sono irrimediabilmente perdute ma molte altre sono state modernizzate e valorizzate, proiettando, come dicevo prima, la città nel mondo di oggi.
Perfino la nuova cucina catalana, volendo Barcellona assomigliare un po’ a Parigi, vana illusione, ha cercato di ispirarsi alla cucina francese, differenziandosi volutamente da quella iberica. Con risultati alterni, a volte buoni, altre ridicoli: la comida de diseño.
Il troppo benessere, però, probabilmente unito all’evoluzione in direzione consumistica di tutte le società occidentali, e pure quelle non occidentali, ha fatto sviluppare un egocentrismo e un egoismo che prima, quando la maggior parte della gente era più povera, era forse meno evidente o più circoscritto. Una Barcellona perduta così come si è perduta la Via del Campo cantata da De Andrè o come la Vucciria dipinta da Guttuso, che oggi più che un mercato è un divertimentificio da movida e stop, con rovine lasciate lì ormai come scenografia tipica, guai a riaccomodarle.
La turismofobia è l’ultima delle originalità barcellonesi. È cominciata lì ma sembra che invogli anche altre città europee che sono iperturistiche, come Venezia, Roma, Amsterdam e molte altre.
In effetti un turismo incontrollato e soprattutto mordi e fuggi, incoraggiato da tour in pullman tipo sette capitali in sette giorni, non porta ad alcun beneficio per nessuno, ma solo sporcizia e disordine. È un turismo per modo di dire, a uso e consumo di chi non ha idea di cosa significhi visitare un luogo e capirlo. La maggior parte degli utenti di questi tour sono persone munite di telefono che amano solo farsi dei selfie per immortalarsi accanto al David finto davanti al Palazzo Vecchio o davanti a San Pietro, così come sotto il Duomo di Milano o San Marco a Venezia. E poi fare la sosta in un outlet per comprare a prezzo ridotto cose italiane firmate fatte in Cina.
Le città, per scoraggiare il turismo di bassa rendita, si inventano divieti e biglietti d’ingresso, per cui non è consentito mangiare un panino nemmeno in panchina, dove ci siano, perché sembra anche che sia vietato sedersi a riposare sui gradini di qualche chiesa (Santa Croce) e magari bere un sorso d’acqua e rifocillarsi dopo le scarpinate.
Turismo di “qualità”, viene chiamato quello da privilegiare.
Ma quale sarà mai il turismo di “qualità”? Quello dei ricchissimi e dei ricchi, naturalmente. All’emiro che se ne va a stare al Four Seasons di Firenze non gliene frega alcunché del David, quello vero, all’Accademia. Gli importa solo il lusso, il vedere dalla sua suite la cupola di Brunelleschi, forse mangiare qualcosa di griffato che non contenga il maiale e senza alcolici (forse, perché poi le regole sono fatte per il popolino, non per i potenti), sperperare quattrini per le grandi firme di moda, di scarpe, di accessori, magari negli outlet fuori città, e poi tornarsene tra i suoi cammelli meccanici e grattacieli di Dubai, felice e contento di aver messo sui social la sua gita lussuosa a Firenze.
Questo è forse il turismo di qualità. D’altro canto, se i sindaci di Firenze affittano il Ponte Vecchio per gli eventi privati l’andazzo non può essere che questo.
Ormai per certe città il destino è segnato, sono diventate dei parchi a tema, svuotate dalla gente che ci era nata e cresciuta, e non si può tornare indietro perché mancano i presupposti per ricostituire un tessuto sociale che si era formato nei secoli e non ha più senso, oggi, lì.
Si riempie, nel caso di Firenze, città dove ho vissuto per vent’anni, di studenti americani, che l’unica cosa che sono in grado di fare è riunirsi alla sera e sbevazzare, ubriacandosi, perché a diciassette anni da loro è proibito, e poi pisciare e vomitare ovunque. Ma lì il problema non sono solamente loro, sono anche i controlli che mancano perché, se ci fosse una vigilanza realmente attiva, le casse del Comune si riempirebbero per le contravvenzioni, sia agli avventori che ai rivenditori di alcolici. Capitolo difficile da affrontare per via di un’assenza di programmazione delle attività turistiche e di svago nelle città d’arte, che poi si arriva assai facilmente alla turismofobia da parte di cittadini che non riescono più a chiudere occhio la notte per gli schiamazzi giovanili.
Le ragioni dello schiamazzo sono, ad ogni modo, legate a molte ragioni che si aggiungono all’offerta di movida. Derivano anche da un’attitudine al rumore e alla voglia di autoaffermazione attraverso il baccano di molti giovani e meno giovani sia locali che provenienti dai dintorni per passare le serate delle fini di settimana nella città tentacolare, perché la movida è questo, il bighellonaggio con alcol e possibilmente sesso. E questo vale per Firenze, Milano, Barcellona e qualsiasi altra metropoli. È un fenomeno diffuso.
D’altro canto anche Parigi è sempre stata così: l’operetta La vie parisienne, di Offenbach, scritta in pieno Ottocento, ben descrive la vocazione turistica della Ville Lumière.
Ma, allora, per chi è fatto il turismo? Per i ricchi e basta? E se un meno ricco volesse visitare un luogo d’arte e di storia, magari colla famiglia, per far vedere ai figli quante cose ha da offrire il mondo?
Si può capire il mondo solo viaggiando, inoltrandosi nei luoghi, conoscendo le persone, parlandone la lingua. Ma se a un certo punto gli abitanti di quei luoghi, così pubblicizzati come serbatoi di culture e di curiosità, diventano ostili e buttano acqua sulle famiglie di visitatori? Pussa via, non vi vogliamo, siete degli invasori!
Suona un po’ come Open to Meraviglia dell’ineffabile Santanchè, un turismo solo per chi se lo può permettere, pensando così di ovviare al problema.
E no, non è così lapalissiano. Ricchezza non va insieme a educazione, oggi. Forse, in passato, quando c’era un turismo stile Camera con vista, dove visitare le città del Grand Tour era una tappa nella formazione di un giovane aristocratico o borghese. Oggi la ricchezza è soprattutto cafonal o anche supercafonal, come testimoniano le uscite alla Briatore, Santanchè & c. Gli sceicchi sono cafonal. I matrimoni indiani con duemila invitati in riva all’Arno o nella masseria pugliese finta sono supercafonal. Sono questi i turisti che vogliamo? Ne siamo sicuri? E i poveri che devono fare? E quelli che hanno le vacanze comandate in luglio o agosto che speranze hanno? Se solo volessero passare quel poco tempo riservato a ritemprare corpo e spirito in luoghi d’arte o di nature (ormai non più) incontaminate, glielo si può negare?
Sono i quesiti che la società dei consumi deve porsi, sono le contraddizioni di una società che ama livellare verso il basso tutto quanto, offrendo il peggio a un prezzo abbordabile ma senza la qualità, per poi lamentarsi dell’invasione.
Quando vivevo a Firenze, nella casa dove vivevo, spesso venivano stranieri come ospiti. Restavano incantati dall’accoglienza, che per me e il mio compagno erano cose normali. Offrivamo calore, spiegazioni del luogo che venivano a visitare, colazioni di cose fatte in casa, facendo conoscere aspetti della Toscana e suggerendo visite in luoghi insoliti ma con fascino, visioni da punti particolari, musei non troppo frequentati ma con capolavori. Le persone ci ringraziavano e inviavano altri amici e parenti perché il loro soggiorno era, come si usa dire oggi, un’esperienza. Come doveva essere in passato quando viaggiavano Pierre Loti o Edmondo De Amicis, perché era questo il nostro modello di viaggio.
Quando, molti anni fa, per una fortuita combinazione andammo in Cile, per scegliere un b&b a Valparaiso, consultammo la guida, scoprendo che ce n’era uno nel Pasaje Pierre Loti, nulla sapendo che tipo di residenza fosse ma affascinati dal nome della strada. L’intuizione fu premiata perché il b&b si rivelò essere la casa d’epoca di un’artista molto nota nel luogo, una persona consapevole che si batteva anche per la conservazione delle bellezze cittadine, con cui poi si dialogò di arte e s’intervistò, e di cui ho parlato in altri articoli. E il soggiorno fu piacevolissimo e per nulla caro.
La turismofobia di oggi che porta agli eccessi dei Comuni che revocheranno le licenze di case vacanza o di airbandb che cosa propone in alternativa? Nulla, ovviamente, perché per gestire simili fenomeni di massa bisogna conoscerli e, soprattutto, bisogna sapere che il turismo è diventato una risorsa fondamentale per molti luoghi che hanno perso il loro passato industriale o produttivo, che è stato trasportato nell’Europa orientale o in Asia o in Sudamerica, lasciandosi dietro la desolazione. Ma la ricchezza accumulata, proprio attraverso il turismo scriteriato, fa adesso sputare nel piatto in cui si è mangiato per tanti anni, vissuti con leggerezza.
Non c’è nulla da fare, come cantava Iannacci, per fare certe cose ci vuole orecchio, bisogna averlo tutto, anzi parecchio. Ma l’orecchio, oltre a essere una dote innata, va anche sviluppato e studiato, non basta affidarsi alla natura. Tutto viene affrontato con superficialità perché l’obiettivo principale è la rendita immediata, non sapendo valutare le conseguenze delle azioni.
Così si perde di vista cosa succede se si facilita lo svuotamento dei centri storici, scoraggiando i residenti e le piccole attività artigianali che assicuravano la sopravvivenza di quei residenti e trasformando le città in Disneyland fittizie. Perché tutto viene affrontato superficialmente, da amministratori incompetenti che guardano solamente al successo elettorale e nient’altro che alla propria clientela, fregandosene del bene della città e, soprattutto, di ciò che significa quella città in un territorio che nemmeno conoscono. Sono quegli stessi amministratori che poi individuano un Rinascimento in Arabia Saudita, chissà perché e chissà come mai.
Anche la svendita a un euro delle case in alcuni piccoli centri disabitati o in via d’estinzione, senza un piano di recupero del territorio circostante, che valore può avere? Se, un tempo, gli stessi abitanti dei borghi, oggi disabitati, provvedevano a pulire i boschi, i torrenti, i campi, a coltivarli, ad allevare gli animali, chi va a riabitare quei luoghi, comprando a un euro, peraltro persone anziane o pensionati provenienti da altrove, lo farà mai? Neanche per sogno. E quindi i problemi del territorio resteranno irrisolti, nonostante le buone intenzioni di ripopolamento di paesi (spesso stupendi) abbandonati. Perché, una volta che i piccoli centri saranno riabitati, ci vorranno nuovamente i servizi, ossia i negozietti, le poste, le trattorie, gli acquedotti, l’elettricità, i trasporti e tutto ciò che esisteva in precedenza, anche migliorato con accesso a persone anziane e disabili, e nei paesini scoscesi, pieni di scale, e tutto ciò costa. La vedo male.
A meno che quei paesi non si ripopolino di giovani migranti che magari recuperino territorio e pastorizia, facendo cose simili a quelle che facevano dei paesi d’origine, sempre che vogliano farlo e che invece non preferiscano attività da cui sono stati abbagliati guardando le pubblicità televisive nostrane, con auto fiammanti e famiglie felici che vivono dentro i mulini bianchi.
La realtà è sempre assai complessa, non è facilmente concentrabile in uno slogan, com’è di moda fare oggi. Io non ci vedo niente di male se una famiglia o un gruppo di amici vuole prendere in affitto una casa vacanze al Barrio Gótico e viverci per il tempo che vuole, cucinandosi in casa, andando a fare la spesa alla Mercadona o alla Boquería per scoprire le cose belle che ci sono a Barcellona. Perché dovrebbe essere vietato? È una forma di turismo che, anzi, aiuta tutto ciò che gira intorno e fa vivere negozi e negozietti e, magari, ti fa anche conoscere persone del luogo.
Difficile quindi risolvere i problemi creati dal turismo eccessivo ma di sicuro non è vietando tutto e mettendo biglietti d’ingresso che si può ovviare. Ogni luogo ha le sue caratteristiche e una sua società con un passato e un’attualità. Sono queste caratteristiche che devono essere conosciute da chi amministra per capire come conservare il luogo e interagire colle innovazioni per non farlo morire o renderlo talmente artificiale da zombiezzarlo.
Altrimenti Open to Meraviglia diventa una condanna più che una promozione. E vale per tutti, in Italia e altrove.
P.S. Che, poi, mi chiedo una cosa. Ma quando decine di migliaia di tifosi invadono le città, tutti in una volta, per andare a vedere la partita di pallone, perché, perché non protesta mai nessuno per i danni e l’immondizia che lasciano dietro di sé? Quando non ci scappano le risse. Che beneficio portano? Unicamente alle società calcistiche che sono proprietà di vari magnati. E io pago per le pulizie. Ricordiamo i danni lasciati dai cari tifosi olandesi alla fontana del Bernini. Meglio i turisti.
Ecco, giusto per avere un’idea:
https://sport.sky.it/calcio/calcio-proprieta-piu-ricche-italia-classifica#04
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