America
Correre per restare fermi: un destino in comune tra gli U2 e la Sinistra
Gli U2 ripartiranno a breve con un nuovo tour. La notizia è che, per la prima volta nella loro carriera, Bono & soci non suoneranno nessuna nuova canzone. Contraddicendo alla regola che li voleva allergici al revival, stavolta gli stadi di mezzo mondo non celebreranno l’avvento di un disco tutto nuovo ma la resurrezione di un capolavoro del passato: “The Joshua Tree”.
Proprio in questi giorni ricorre il trentennale dell’album, uno di quelli che hanno fatto la storia del rock. Si potrebbe discutere per giorni di quanto perfetto fosse quel disco. La fotografia dell’America di allora è irrimediabilmente sbiadita, ma la forza di quelle undici canzoni si è conservata quasi intatta.
A colpire di più, invece, è che, per raccontare l’America di oggi, gli U2 scelgano di ripartire da quella che cantavano tre decenni fa. Sicuri che sia una buona idea?
A cambiare le carte in tavola è stata la vittoria di Donald Trump. In una delle numerose interviste delle ultime settimane, Bono e The Edge hanno spiegato che a fine 2016 il nuovo disco era finito. Ci lavoravano senza sosta da tre anni. Anche il tour per promuoverlo in giro per il mondo era già in cantiere.
Ma poi è arrivato The Donald.
Il trionfo di Trump ha spinto Bono a riscrivere i testi delle nuove canzoni. Di colpo l’America da raccontare non era più quella degli otto anni di Obama ma quella degli anni Ottanta di Reagan. Il trentennale di “The Joshua Tree” non poteva capitare in un anno migliore.
Tutto perfetto così? Non esattamente.
In ogni processo creativo degno di questo nome, l’autocelebrazione è l’inizio della fine. Non so se gli U2 siano davvero finiti, come sostiene da una ventina d’anni a questa parte una moltitudine di detrattori. Di sicuro è finita la loro voglia di guardare avanti.
Gli U2 hanno imboccato la stessa strada della Sinistra: rassegnarsi alle commemorazioni. Nulla di male nel valorizzare la propria storia. A patto però di non snobbare il futuro.
L’America che ha eletto Donald Trump non è nata lo scorso novembre. Rappresentarla per partito preso ora che alla Casa Bianca è arrivato un marziano è grave di suo. Arrivarci con un paio di dischi di ritardo, per un gruppo che pretende di raccontare l’America di ieri e di oggi, è un peccato mortale.
Gli U2 che riarrangiano i vecchi pezzi degli anni ’80 e li spacciano per attuali sono come certi leader della Sinistra che pretendono di adattare alla società di oggi le vecchie ricette con cui sono cresciuti. L’operazione ha una sua intelligenza pratica. È innegabile che esista un mercato della nostalgia. Rifarsi alle vecchie soluzioni della propria giovinezza è rassicurante, solleva dall’incombenza di usare categorie nuove e immaginare un futuro che non sia necessariamente declinato a propria immagine e somiglianza. Il limite? Sconnettersi dalla realtà. Quella di oggi.
Gli U2 del 1987 viaggiavano controcorrente. Proprio per questo, in un disco capolavoro, riuscirono a catturare un’America che in tanti non volevano più vedere. L’America profonda, fatta di deserti e città, ricchezza e contraddizioni. Un Paese che anni di reaganismo d’accatto non erano riusciti a ricoprire di lustrini.
Oggi gli U2 sono dall’altra parte della barricata: analizzano a posteriori, giudicano per partito preso, si fanno sorprendere in ritardo sulla realtà. Davvero rivangare il proprio passato spacciandolo per il nostro presente è il modo migliore per comprendere l’oggi?
Bono non andrebbe criticato per il suo attivismo politico, per il conto in banca o le presunte leggerezze fiscali. Il suo limite vero è aver ammainato bandiera. Un tempo ne issava una bianca sul palco durante l’assolo di “Sunday Bloody Sunday”. Oggi rinuncia al racconto e, invece delle strade senza nome, sceglie quelle più comode già battute in passato.
È un po’ come correre per restare fermi. E in tutta questa evidente ammissione di impotenza, come sempre, l’unico pensiero che non sfiora nessuno è quello di farsi da parte.
Eppure a volte fare un passo indietro è una scelta nobile. Nel nostro caso, significa lasciare spazio a chi l’America di Trump prova a capirla davvero. E forse, chissà, un giorno non troppo lontano riuscirà addirittura a cambiarla.
Trent’anni dopo “The Joshua Tree”, il miglior consiglio che arriva dagli U2 è il loro cattivo esempio.
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