America
Elezioni midterm: cosa sono e perché Joe Biden rischia grosso?
Ce la ricordiamo tutti quella notte elettorale di due anni fa. Al termine di una serrata campagna elettorale ricca di seguito mediatico e colpi bassi, Joe Biden riuscì a trionfare – tra le sonore polemiche degli oppositori – su Donald Trump, divenendo ufficialmente il presidente numero 46 della storia degli Stati Uniti.
Come sappiamo, il cosiddetto POTUS (dall’acronimo, in inglese, di Presidente degli Stati Uniti) resta in carica 4 anni. Egli però deve sottoporsi a una sorta di verifica di metà mandato, le elezioni di midterm.
Elezioni midterm: di che si tratta?
Le elezioni di metà mandato sono uno strumento particolare nel governo degli USA. Esse si tengono ogni 4 anni, sfalsate di 2 dalla nomina – o conferma – del Presidente, in modo da cadere esattamente a metà del suo incarico (giorno più, giorno meno). Quest’anno sono in programma per la giornata dell’8 novembre, anche se qualcuno ha già votato poiché nel Paese è concesso votare anticipatamente, via posta. Nell’occasione il Congresso sarà rinnovato nella sua quasi totale interezza: al Senato cambieranno proprietario 35 seggi sui 100 totali mentre alla Camera questa sorte toccherà a tutti i 435 rappresentanti. Saranno sostituiti anche 36 governatori statali e la maggior parte dei parlamenti degli Stati.
È dunque ben comprensibile perché la tornata sia così importante: il presidente potrebbe uscirne fortemente confermato o pesantemente indebolito.
Per semplificare, potremmo pensare a queste elezioni come a una sorta di valutazione: una pagella per il governo giunto a metà della sua corsa. Il gradimento dell’attuale presidente sarà stabilito in base a quanto successo riscontreranno i candidati del suo partito e a come sarà composto il centodiciottesimo Congresso USA. In seguito al censimento 2020 si è tenuta una ridistribuzione di seggi; vedremo dunque un diverso numero di rappresentanti per alcuni stati.
Il Congresso esercita il potere legislativo negli States, promuovendo e approvando leggi di ricaduta nazionale. Gli USA sono una federazione ed esistono anche parlamenti statali, con giurisdizione sul singolo stato. La Camera propone misure legislative e il Senato può approvarle o meno. Esso ha anche il potere di ratificare oppure bocciare le nomine, comprese quelle di competenza del presidente, come ad esempio i giudici della Corte Suprema.
Come si vota?
Il “come” delle elezioni americane suscita sempre una certa confusione, specialmente quando si viene da una esperienza elettorale come quella italiana. Nonostante la giornata di voto sia l’8 novembre, è possibile votare con largo anticipo grazie al voto postale – utilizzato specialmente nelle contee più piccole e remote – o al sistema elettronico, attraverso canali telematici certificati.
Nel momento in cui si scrive già 6 milioni di americani hanno espresso le loro preferenze. Sebbene molti statunitensi abbiano dichiarato di non fidarsi al 100% del voto elettronico, temendo brogli o manomissioni, il trend appare in crescita rispetto alle presidenziali e si stima che, la sera di martedì 8, potremmo avere un numero di votanti a distanza superiore a quello delle midterm del 2018.
Data l’estrema polarizzazione del panorama politico statunitense, non ci sarà da stupirsi se la percentuale di votanti sarà elevata: tanto l’una quanto l’altra parte politica ci tengono a far sentire la propria voce.
Il panorama attuale
Vediamo i numeri dell’intricato intreccio al Congresso. Alla Camera, i democratici del presidente Biden controllano 220 seggi, pochi in più rispetto ai 212 su cui sventola bandiera repubblicana. Al Senato la situazione è perfettamente in equilibrio, con 50 rappresentanti blu e 50 rossi, secondo la legenda cromatica da sempre utilizzata nel giornalismo statunitense per far comprendere gli equilibri a colpo d’occhio. Il voto della vicepresidente Kamala Harris, però, conta in caso di stallo. Per tal motivo, anche questa camera è, di fatto, controllata dai dem.
Non accade praticamente mai che il Presidente in carica riesca a difendere ambedue le camere, a metà mandato. Dovesse farcela, Biden darebbe un forte segnale di controtendenza e legittimerebbe in maniera decisa la propria leadership fino al 2024, quando si terranno nuovamente le presidenziali. Qualora i repubblicani riuscissero a guadagnarne anche soltanto una, potrebbero fare ostruzionismo a oltranza per 24 mesi. Nel possibile caso in cui, invece, si affermassero in entrambe le camere, il presidente sarebbe ridotto a un fantoccio e si rischierebbe l’apertura di un processo politico di impeachment. Il figlio di Biden, Hunter, ha infatti avuto affari con aziende russe vicine a Putin in passato e ciò potrebbe dare l’occasione alla destra di imbastire una caccia alle streghe, con il preciso obiettivo di indebolire l’esecutivo.
I duelli senatoriali saranno, con ogni probabilità, quelli che decideranno l’assetto congressuale. Stati come Nevada, Georgia, Pennsylvania, Arizona e North Carolina, sono in bilico e potrebbero pesare come macigni in fase di scrutinio.
I temi principali saranno l’aborto, l’inflazione e il caro carburante. Già da qualche settimana l’accento viene posto su questi argomenti, i quali interessano di più l’opinione pubblica rispetto alla situazione ucraina, messa decisamente in secondo piano.
Come arriva Biden a queste elezioni?
Il presidente è sprofondato nei sondaggi da quando si è insediato a oggi. Ultimamente è in lieve risalita e ciò si deve, secondo gli analisti, alle sue posizioni nette sull’Ucraina, dove si è sempre schierato con Kiev, e alla proposta di cancellazione del debito studentesco per le famiglie più povere, vero e proprio flagello per milioni di statunitensi.
Dal momento che la maggioranza è così sottile, i democratici possono permettersi di sbagliare molto poco. Se ci fidiamo dei sondaggi, però, la situazione è nera. I repubblicani riconfermerebbero tutti i loro seggi al Senato conquistando anche Georgia, Nevada e Pennsylvania. Se così accadesse, gli equilibri cambierebbero e i conservatori sarebbero forti di 53 seggi, contro i 47 dei progressisti.
Similmente, un buon numero di duelli governatoriali arriderebbe ai repubblicani.
Se entrambe queste previsioni dovrebbero rivelarsi realtà, si aprirebbe pressoché immediatamente una partita interna ai dem, con l’ala più a sinistra – che maltollera il centrismo di Biden – pronta a dare battaglia sostenuta dal suo grande seguito di giovani. Il presidente, ottantenne, difficilmente alzerebbe sul suo nome come guida del partito e potrebbe fare un passo di lato, in ottica 2024, qualora si trovasse una convergenza su un nome in grado di accontentare l’intero partito, come potrebbero essere quelli della sua vice Harris o di Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts.
Bisognerebbe però accertarsi che l’asse Bernie Sanders – Alexandria Ocasio Cortez, radicale e popolarissimo, sia nuovamente disposto ad accettare un nome dall’establishment. Con ogni probabilità, vorrà proporne uno suo.
Tutti questi ragionamenti, però, vanno al momento rinviati. Saranno sviluppati soltanto dopo aver analizzato i risultati delle elezioni di metà mandato.
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