America
La “posse” di Lula a Brasilia, mentre Bolsonaro fa rotta sull’Italia
Brasilia, 1 gennaio 2023
Reduci da un bel “reveillon” [festa del 31 dicembre] chiuso d’ufficio dalla padrona di casa poco dopo il brindisi causa unanime partecipazione all’insediamento presidenziale del 1° gennaio, la “posse” di Lula e del suo vice Geraldo Alkmin, appunto – arriviamo sull’asse monumentale di Brasilia alle 12:15. Lunghe file di varia umanità convergono qui da varie direzioni della flatland detto Planalto centrale di questa capitale in mille giorni costruita dal nulla in mezzo al nulla edinaugurata nel 1960. Tutti insieme sembriamo la versione non-urbana (é improbabile per noi europei percepire Brasilia come una “città”) dei tifosi in avvicinamento al Maracanã quando c’è una partita importante – anche se oggi saremo almeno 5 volte di più. Quando le nuvole oscurano il sole la temperatura è decentissima, e mia moglie compra un telo con la bandiera arcobaleno e la scritta “O Brasil feliz de novo” [Il Brasile felice di nuovo] concept fondamentale della campagna di Lula – in musica “Sem medo de ser feliz” [Senza paura di essere felici] nelle versioni 1 e 2 entrambe regalo degli artisti brasiliani a sostegno del Nostro. Superati gli immancabili banchi e banchini che vendono tutto quel che serve dalla birra in poi, eccoci sul prato, davanti ai due palchi (intitolati rispettivamente a Elza Soares e Gal Costa) del Festival Futuro – la manifestazione musicale che accompagnerà la cerimonia fino alle 3 di notte con vari maxischermi ed impianti suono opportunamente dislocati. Naturalmente seguire lo show stando seduti per terra non esiste – in Brasile ai concerti il pubblico non sta seduto, ma balla sempre e comunque; in ogni caso il nostro telo può riparare dal sole, specie quando questo si fa largo fra le nuvole per friggerci nonostante cappelli e protettore solare.
In continuità con lo show degli artisti (gospel ed evangelici, in apertura) dopo il tour in auto scoperta e senza giubbotto antiproiettile, dopo aver ricordato insieme Pelè e la scrittrice Nélida Piñon (prima donna ad aver presieduto l’Accademia Brasiliana di Lettere) e dopo il giuramento in diretta dal Palazzo dell’Assemblea arriva sui grandi schermi il discorso di Lula, 78 anni, brillante e seduttivo come solo può esserlo un ex-operaio e sindacalista passato attraverso la dittatura militare, due volte presidente, poi accusato di corruzione e condannato (senza prove) a 580 giorni di prigione – risultato di un processo poi annullato etc.
Dopo quattro anni di fascismo serpeggiante, razzismo evidente etc. sentire il Presidente che parla di unità, rispetto, dialogo, impegno per le disguaglianze sociali etc. fa un effetto che non bastano le parole; tra quelli che piangono per commozione e per gioia, color che alzano le braccia a far con le dita la “L” di Lula verso il cielo, la cosa più evidente per uno straniero è forse il significato della parola “alivio” che in italiano si traduce benissimo con “sollievo”.
Certo i discorsi dei politici son sempre pieni di buone intenzioni, anche se in questo caso la scena dell’ingresso nel palazzo riverberata dagli schermi e dalla diretta TV è davvero peculiare a livello simbolico: con Lula e la moglie Janja ci sono Aline (donna afrodiscendente ed operatrice ecologica), Raoni (autorità indigena novantenne, conosciuta internazionalmente), Francisco (di dieci anni, dalla periferia di Itaquera), Wessley (di trentasei anni, operaio metallurgico), Murilo (di ventotto anni, insegnante), Jucimara (cuoca), Ivan (portatore di handicap), e Flavio (artigiano), oltre al cane Resistencia, che viene dall’accampamento creatosi attorno alla prigione dove era detenuto Lula. A guardar bene, una fortissima rappresentazione del popolo pensata dalla prima dama che è riuscita a far virtù della mancata consegna della fascia presidenziale dal parte di Bolsonaro (che è fuggito negli Stati Uniti, ad Orlando, Florida) quindi del suo vice, il generale Mourao, che è stato appena eletto senatore nella nuova legislatura ma non ha voluto adempiere a questa funzione.
Dopo il discorso continua lo show: sale sul palco la band Maderada e tutto il pubblico applaude ride balla e canta Tá na hora do jair já ir embora, [E’ ora che Jair (Bolsonaro) se ne vada] un calembour che gioca appunto con il nome dell’ex-presidente Jair ed il “jà ir” che significa “andar via”: sarà la hit del carnevale.
A seguire, ecco la scena rap brasiliana – quasi sconosciuta fuori dal Paese – di grande qualità e forte impegno: da Drik Barbosa a Marissol Mwaba, Ellen Oléria, Fioti, Gog, Rael, Salgadinho, fino a Rappin Hood.
E ancora Aline Calixto, Fernanda Abreu, Jards Macalé, Maria Rita, Martinho da Vila, Paula Lima, Leoni, Renegado, Rogeria Holtz, Teresa Cristina, Romero Ferro, Zélia Duncan e Delacruz, quindi Fernanda Takai, Tulipa Ruiz, Thalma de Freitas, Lue e Flor Gil – talentosissima nipote, che purtroppo non riusciamo ad ascoltare perchè i nostri amici sono stanchi (e pure noi); così ingloriosamente rientriamo, essendo già le 20 passate.
Chiuderanno la festa Chico César, Geraldo Azevedo, Johnny Hooker, Lirinha, Marcelo Jeneci, Odair José, Otto Paulo Miklos e la band Francisco El Hombre.
L’indomani la prima pagina del New York Times (in evidente affanno post-coloniale) con la foto dell’ingresso a palazzo da parte di Lula, Janja, Aline, Raoni, Francisco, Wessley, Murilo, Jucimara, Ivan, Flavio e Resistencia conquisterà il popolo brasiliano.
Non sfugge a nessuno, tantomeno a Lula, essendo anche quello risultato del lavoro dell’equipe di transizione governativa guidata dal vice Alkmin, il buco di bilancio lasciato da Bolsonaro e dal suo ministro dell’economia Paulo Guedes, un ex-Chicago Boy che aveva già partecipato della bancarotta del Cile e che rispetto a quegli anni non è evidentemente migliorato: si parla di circa 100Mld di euro. Anche per questo non sarà facile per mantenere le promesse elettorali – al di là della palese contraddizione tra volontà di industrializzazione e crescita, e dichiarata necessità di rispetto e tutela dell’ambiente.
Avrei scritto ancora qualcosa, forse sulla scelta dei ministri – che ove possibile sono davvero eccellenti – ma la notizia per cui Bolsonaro, che appunto è fuggito ad Orlando, in Florida, sarebbe in procinto di andare a vivere in Italia per sfuggire ad un processo, di fatto me ne leva la voglia. E’ vero che due dei suoi figli – uno deputato e uno senatore – sono andati a richiedere la cittadinanza italiana appena dopo la sconfitta elettorale, come è vero che il Governo italiano è stato tra i pochissimi a non inviare rappresentanti alla “posse” di Lula.
Infine, qui sotto trovate qualche testo che ho scritto su Gli Stati Generali al tempo della destituzione della presidente Dilma Roussef (2016):
PS: Non ho mai scritto su Bolsonaro perchè la sera del risultato (2018) eravamo da mio suocero, il musicista ed ex-ministro della cultura Gilberto Gil, e per rientrare a casa non è stato simpatico incontrare per strada camionette di militari che festeggiavano sparando in aria etc.
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