Il tira e molla nelle trattative sulla Transatlantic Trade and Investment Partnership (il trattato di libero scambio finalizzato all’integrazione del mercato statunitense con quello europeo, che dovrebbe riguardare circa il 40% del PIL mondiale) sembra arrivato a un punto morto. Le negoziazioni avrebbero dovuto infatti originariamente concludersi nell’arco del 2015: ma stanno andando decisamente per le lunghe. E questo per una serie di ragioni.
Da una parte le polemiche che da sempre si accompagnano a questo trattato: tacciato da più parti, in America come in Europa, di avviare un processo di liberismo selvaggio, al soldo di lobby e multinazionali. Dall’altro, i colloqui tra le parti sembra che negli ultimi mesi siano sorti ostacoli spinosi e sempre più difficilmente sormontabili. In particolare, per quanto riguarda la regolamentazione dell’ambito finanziario.
Notoriamente uno dei punti fondanti della TTIP è la facilitazione dell’accesso al mercato. Una facilitazione che dovrebbe prevalentemente passare attraverso due elementi essenziali: l’eliminazione delle tariffe doganali sulle merci e la liberalizzazione dei servizi. Il tutto finalizzato – secondo i promotori dell’accordo – al miglioramento delle esportazioni e all’aumento dei posti di lavoro. Sennonché, è proprio sul punto nevralgico delle tariffe che paiono essersi incagliati i colloqui.
Nel corso dell’ultimo incontro tra i negoziatori, Dan Mullaney per gli Stati Uniti e Ignacio Garcia Bercero per l’Unione Europea, tenutosi a Miami lo scorso ottobre, si sono difatti palesate alcune difficoltà, le cui avvisaglie – pare – fossero iniziate ad emergere già nel precedente meeting di Bruxelles a luglio. Ebbene, le parti avrebbero raggiunto un accordo tariffario sul 97% dei prodotti. Ma è sul restante 3% che sono apparsi i problemi. Uno scoglio che ha di fatto impedito si raggiungesse la conclusione del trattato in base alla scadenza prevista, portando a fissare un nuovo appuntamento per febbraio 2016.
In sostanza la questione riguarderebbe l’accesso al mercato per i servizi finanziari: l’Unione Europea richiederebbe una cooperazione governativa di controllo nell’ambito finanziario: nella fattispecie, una disposizione che consenta ai governi possibilità di manovra, per proteggere i propri sistemi finanziari in caso di crisi o di emergenza. Più nel dettaglio, secondo il documento TTIP: Cooperation on financial services regulation della Commissione Europea, si tratterebbe di una proposta di collaborazione tra Unione Europea e Stati Uniti per «rafforzare la stabilità finanziaria», che -nelle intenzioni dell’UE verrebbe ad articolarsi in una serie di punti: un lavoro di squadra che assicuri l’implementazione di standard per la supervisione e il controllo del mercato finanziario; una mutua consultazione nel caso vengano introdotti nuovi prodotti finanziari considerati corposamente impattanti sul mercato; una collaborazione per revisionare le regole finanziarie già esistenti. È abbastanza chiaro quindi come la proposta europea venga strutturandosi attraverso una serie di misure evidentemente volte a limitare i rischi di nuove crisi finanziarie. Una proposta verso cui Washington non sembra tuttavia particolarmente ben disposta. In tal senso, Bercero è stato molto chiaro, asserendo che l’accordo sulla possibilità di intervento statale risulti precondizione essenziale per proseguire le trattative in tema di tariffe.
Che le negoziazioni sfiorino il punto morto, lo conferma anche Joseph Waldstein, portavoce dell’area”Trade” in seno alla Commissione Europea. Interpellato da Stati Generali, Waldstein ha ribadito che per la Ue è una prerogativa essenziale in seno al TTIP la previsione di una cooperazione nei controlli sui servizi finanziari: una misura che non può essere scissa dai colloqui sulla liberalizzazione del mercato, riconoscendo come sulle trattative in materia finanziaria la strada appaia ancora in salita. Waldstein ha tuttavia dichiarato come gli impegni concernenti il commercio transnazionale dei servizi finanziari riguardino soltanto pochi settori: nella fattispecie quelli in cui il commercio presenti una rilevanza internazionale. L’Unione Europea non ha invece mai richiesto alcun impegno transnazionale sui prodotti derivati, tema che resta fuori dalle trattative.
Ma la finanza non è certo l’unico ostacolo che si frappone alla conclusione della TTIP. C’è difatti anche la questione energetica: l’Unione Europea spera di inserire clausole che le permettano un accesso facilitato ai rifornimenti statunitensi di energia e materie prime. Ma l’America non ha ancora chiarito se accetterà (e non è escluso possa utilizzare questa richiesta per aumentare la propria forza contrattuale in altri ambiti di trattativa). Infine, un ulteriore terreno di scontro riguarda il settore agroalimentare: in particolare, il sistema europeo protegge alcuni nomi di prodotti specifici che per il mercato statunitense risultano generici. E non si capisce ancora chi tra le parti arretrerà, data la difficoltà di un compromesso sulla questione.
Ora se ne riparla a febbraio. La via è tortuosa e il tempo è poco. Primo, c’è stato un abbondante sforamento rispetto alla deadline originaria. Poi, soprattutto da Washington, si preme affinché la TTIP possa essere definitivamente siglata entro il 2016, ovvero prima della scadenza della presidenza di Barack Obama. Una necessità primariamente politica per segnare un punto a favore del presidente americano, come già recentemente accaduto con la Trans Pacific Partnership, il recente trattato di libero scambio tra America e altri undici paesi del Pacifico. Più in generale, l’accelerazione dei tempi viene vista da molti come necessaria per arginare la concorrenza economica della Cina. Tuttavia, con le elezioni alle porte, non è ancora ben chiaro chi siederà nello Studio ovale a partire dal 2017. Non pochi degli attuali candidati alla Casa Bianca (da Hillary Clinton a Donald Trump) si sono già espressi negativamente verso la Trans Pacific Partnership, costitutivamente simile alla TTIP.
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