America
Trump ha un problema: è il “suo” Partito Repubblicano
Per Donald Trump si annuncia una strada in salita. Nonostante abbia ormai matematicamente blindato la nomination e sbaragliato la concorrenza degli avversari, il miliardario newyorchese non può ancora dormire sonni tranquilli. Proprio a causa della sua figura estremamente divisiva, il magnate si sta trovando davanti a una serie di grattacapi difficilmente risolvibili. In particolare, il partito repubblicano fatica a compattarsi dietro di lui e – soprattutto per questo – ha iniziato a spaccarsi in una serie di correnti in lotta reciproca, restando sempre più preda di faide interne.
Da una parte troviamo innanzitutto i “trumpisti della prima ora”: membri dell’establishment che da tempo sostengono il magnate e che stanno oggi tentando di fungere da pontieri per cercare di tenere il GOP unito. Tra costoro compaiono l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani; il governatore del New Jersey, Chris Christie; l’ex Speaker della Camera, Newt Gingrich. Addirittura, secondo i beninformati, questi ultimi due risulterebbero papabili candidati alla vicepresidenza, sebbene non si sappia comunque con quante speranze. Se Gingrich appare a molti come un politico vecchio e sorpassato (fu candidato alla nomination repubblicana nel 2012 per essere poi annientato da Mitt Romney), Christie non sta attraversando politicamente un momento sereno. Il suo repentino voltafaccia a favore di Trump poco dopo l’uscita dalla corsa elettorale lo ha posto in pessima luce davanti all’elettorato americano, che lo considera oggi un opportunista pronto a qualsiasi cosa pur di far carriera. Non parliamo poi della satira, che da mesi lo bersaglia, dipingendolo impietosamente come uno zimbello nelle mani del miliardario.
Come che sia, sarà proprio sulla vicepresidenza che si giocherà una partita fondamentale per Trump all’interno del GOP: il miliardario dovrà difatti capire se scegliere un esponente dell’establishment per cercare di ricucire i rapporti con il partito o se – al contrario – spingere sul pedale del radicalismo, scegliendo un candidato anti-sistema più consono alla sua figura (i nomi che circolano, sotto questo profilo, sono per esempio quello dell’ex neurochirurgo evangelico, Ben Carson, della senatrice radicale, Joni Ernst, sino allo stesso Clint Eastwood).
Un’altra corrente che sta man mano formandosi è poi quella dei “sostenitori di facciata”: ex nemici di Trump che tuttavia, dopo la sua decisiva vittoria in Indiana, hanno infine scelto di sostenerlo. Si tratta di una schiera nutrita che a parole supporta la necessità di mantenere l’elefantino unito, mentre in realtà scommette segretamente sulla disfatta di Trump a novembre, con il solo obiettivo di toglierselo finalmente dai piedi. Tra questi spicca la figura di Marco Rubio: il senatore della Florida ha infatti affermato che sosterrà chiunque sarà il candidato in grado di emergere dalla convention di luglio ma ha al contempo rifiutato ogni possibilità di correre come running mate del creso newyorchese. Secondo non pochi analisti, il giovane senatore spererebbe in una sconfitta del magnate a novembre per potersi ripresentare tra quattro anni, in occasione delle presidenziali del 2020. Una strategia che starebbe accarezzando anche il senatore texano, Ted Cruz, e a cui non è escluso possa guardare con interesse lo stesso Speaker della Camera, Paul Ryan.
Infine, troviamo gli irriducibili anti-Trump. Si tratta di una cospicua schiera di esponenti repubblicani (in gran parte di tendenza neoconservatrice) che non ne vogliono sapere di unirsi dietro il vessillo del miliardario e che promettono di dare battaglia, nonostante la matematica dei delegati risulti a loro ormai irrimediabilmente sfavorevole. Proprio per questo, l’ipotesi sul tavolo sarebbe quella di una scissione. Alcuni giorni fa, Mitt Romney (a capo dei ribelli) ha incontrato il giornalista neocon Bill Kristol, da mesi sostenitore della necessità di creare a destra un terzo partito in funzione anti-Trump. L’eventualità che una scissione si verifichi appare al momento quindi discretamente alta e potrebbe incontrare il favore di diversi membri della compagine repubblicana, a partire dall’agguerrito senatore Lindsey Graham, da sempre in prima fila nel tentativo di mettere i bastoni tra le ruote al creso newyorchese. Altri, come la famiglia Bush, sembrano al momento più orientati alla semplice astensione, mentre altri ancora, come John McCain, non si capisce dove vogliano effettivamente andare a parare nella loro inconcludente girandola di posizioni che li vede passare con una certa nonchalance dalle file anti-Trump a quelle pro-Trump.
D’altronde, la ragione di questa ambiguità risiede anche nell’inevitabile connessione che sta instaurandosi tra la corsa per la nomination e quella per le elezioni al Congresso. Come ha recentemente riportato il Wall Street Journal, l’ascesa di Trump starebbe rafforzando la posizione di alcuni candidati repubblicani alla Camera e al Senato particolarmente radicali e un tempo considerati degli impresentabili. Un rafforzamento che starebbe mettendo non poco in difficoltà i candidati più moderati che rischiano adesso seriamente le loro carriere parlamentari: un esempio è proprio quello dello stesso McCain che potrebbe non riuscire ad essere rieletto in Senato nella sua Arizona: ragione – questa – che potrebbe spiegare il suo ammorbidimento verso un Trump contro cui ha in passato costantemente lanciato strali di fuoco.
Il candidato in pectore per il momento va avanti e cerca di tessere legami soprattutto al Congresso. Spera che i deputati repubblicani possano alla fine decidere di appoggiarlo e tende la mano allo stesso Speaker Ryan alla ricerca di un endorsement altamente istituzionale. Da un po’ di tempo, sta inoltre cercando di smorzare le polemiche interne al GOP, attenuando le proprie proposte programmatiche (dalle tasse all’Islam) e preferendo attaccare la front runner democratica Hillary Clinton. Ma il tempo è poco. Luglio si avvicina e la convention di Cleveland è quasi alle porte. Trump deve sbrigarsi a compattare il partito, prima che una probabile scissione possa portarlo azzoppato alla corsa novembrina per la Casa Bianca.
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