America
Donald Trump e l’eterogenesi dei fini del neoliberismo
L’ascesa di Donald Trump nella corsa delle primarie per le elezioni statunitensi sembra inarrestabile, avendo superato oltre il 40 per cento dei voti anche in uno stato di latinos come il Nevada, contro avversari ispanici come il cubano Rubio, e avendo trionfato nel super martedì. Trump non solo imbarazza l’establishment conservatore, soprattutto lo preoccupa. L’agenda di Trump infatti è più simile a quella del socialista Sanders che agli altri sfidanti del partito repubblicano, soprattutto su tematiche come il commercio internazionale, i trattati di libero scambio, liberalizzazione e privatizzazioni. Questi sono stati i caposaldi delle politiche neoliberiste lanciate dalla rivoluzione reaganiana negli anni 80, e che di fatto non sono stati messi in discussione neanche dalle amministrazioni democratiche di Clinton e Obama. Questo preoccupa sensibilmente l’ambiente conservatore, e soprattutto l’industria e la finanza che da decenni foraggiano il partito repubblicano.
Trump raccoglie la rabbia dei perdenti della globalizzazione, del “turbocapitalismo”, della liberalizzazione dei movimenti di capitale e dell’offshoring (o delocalizzazione) che negli scorsi anni hanno smantellato intere industrie e ridotto città a fantasmi del passato; vedere il caso dell’industria dell’auto nella città di Detroit. Raccoglie la rabbia per la mancanza di ogni forma di protezione sociale nel mercato del lavoro, la caduta dei salari, il passaggio dell’occupazione dal settore manifatturiero specializzato a quello dei servizi a basso valore aggiunto. Raccoglie soprattutto la crescente disuguaglianza nelle città americane che è oggi diventata il fenomeno sociale più allarmante che ha, di fatto, reso l’american dream solo un pallido ricordo buono solo per qualche sceneggiatura di Hollywood.
Oggi negli Stati Uniti la comunità in cui si nasce e si cresce determina la maggior parte dei risultati individuali, in termini di felicità e soddisfazione personale, salute, opportunità di guadagno e di mobilità sociale. La segregazione urbana non è più determinata da caratteristiche etniche, come negli anni 60 e 70, ma dipende dal reddito e dal grado di istruzione; in breve, dalla classe sociale. L’America, forse per la prima volta nella sua storia di paese delle opportunità e della mobilità sociale, scopre le classi sociali, come documenta nel suo ultimo libro “Our kids” lo studioso di Harvard Robert Putnam. Sono questi i perdenti del modello neoliberista che oggi votano chi promette loro di smantellarlo, sia questi un miliardario, guascone, scorretto e improbabile come Donald Trump, oppure, dall’altro lato Bernie Sanders, un anziano pacato senatore del Vermont che ha l’ardore, negli Sati Uniti di America, di definirsi socialista.
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