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“Siamo tutti nella stessa barca” si può ancora dire se la giunta è leghista?
«Siamo tutti nella stessa barca» è la frase che sventola nella bandiera. La bandiera è sorretta dall’artista Marina Abramovic in posa marziale e ispirata. Sullo sfondo, triangoli bianchi e rossi e blu rievocano geometricamente l’immagine di vele al vento.
E’ il nuovo manifesto per la Barcolana 2018, la popolarissima e festosa regata che ogni anno a ottobre riunisce oltre duemila barche nelle acque di Trieste e che quest’anno celebra la cinquantesima edizione.
Il manifesto è stato realizzato con lo sponsor illycaffè, azienda triestina che ha già legato la propria immagine a firme celebri di arte e design e che già negli anni scorsi aveva affidato i manifesti per la regata a Michelangelo Pistoletto, Gillo Dorfles e Maurizio Galimberti.
Un comunissimo modo di dire
La frase nella bandiera è un comunissimo modo di dire. E il messaggio del manifesto, spiega il comunicato ufficiale, è un appello alla sostenibilità: «Navighiamo tutti sullo stesso pianeta, che va custodito e protetto giorno dopo giorno. Per farlo dobbiamo lasciare da parte gli individualismi e comportarci come fossimo parte di un unico equipaggio. Che si tratti di sport, di salvaguardia del pianeta o di azioni globali, dobbiamo fare squadra». Comunissimo, no?
No. Apriti cielo. Il vicesindaco leghista di Trieste, Paolo Polidori, definisce l’operazione «una presa di posizione politica che si lega a un certo tipo di arte (che può piacere o no)» e cioè che a lui non piace. E nemmeno ai suoi amici di Facebook. Addirittura tra loro c’è chi fa notare che «quel “vestito” nero tipo tuta con stivali non valorizza di sicuro la figura»: il “vestito” di Marina Abramovic, detto tra parentesi, è un sincretismo tra anfibi militari e casacca maoista, nel gesto della bandiera ci sono Eugène Delacroix e Robert Capa e il primo uomo sulla Luna (per chi ci crede). E pazienza se non valorizza la figura.
Però e perciò Polidori si impegna ad «analizzare la convenzione con il Comune. Se sono stati violati alcuni passaggi per la realizzazione di questa grafica io interverrò con l’intenzione di arrivare fino in fondo».
Ovvero: questa arte non è di suo gusto, non crede nella collaborazione e nella sostenibilità, di fare squadra non se ne parla. Anzi, peggio: sospetta che sotto al discorso di salvare il pianeta ci sia un perverso intento nascosto di salvare i migranti.
E quindi che fare? rispondere con argomentazioni, obiettivi, azioni politiche? No. Cavilli. Cercare pretesti formali per affondare il progetto. Non condivido la tua idea, e farò di tutto perché tu non la possa esprimere. Mors tua gaudium meum.
Intanto, altrove
Intanto, in Russia, il Giappone veniva eliminato dai mondiali di calcio. Cosa c’entra con la Barcolana? Apparentemente nulla, ma in realtà si torna sul principio di lasciar da parte gli individualismi: infatti prima di andarsene dopo la sconfitta con il Belgio, mentre i tifosi pulivano lo stadio, la squadra giapponese ha pulito gli spogliatoi e lasciato un messaggio di ringraziamento in cirillico (Спасибо, spasibo, «grazie») per i padroni di casa.
Rispetto, educazione, un buon modo di “fare squadra” anche con gli altri. Bello no?
No. Apriti cielo. In perfetto stile social collezione primavera/estate 2018 c’è chi dà loro degli sfigati, chi dice che non sono abbastanza cattivi per vincere, chi spiega ironicamente o forse no che il giuoco del calcio prevede che, soprattutto se perdi (ma anche se vinci, quindi), lo spogliatoio lo devi devastare «se ti riesce pure pisciando sui muri», che il senso dello sport è distruggere il sogno dell’avversario per coronare il tuo.
Mors tua gaudium meum.
Sfiga. Cattiveria. Devastare. Distruggere
Ci rifletto. Queste metafore in effetti si sentono spesso intorno al calcio e, recentemente, alla politica. Mi chiedo: ci sono altri sport in cui si insegna l’odio e il disprezzo? in cui la mancanza di rispetto è parte delle prassi di gioco? In cui non è importante che io vinca e tantomeno che tutti stiano bene, ma soprattutto che tu perda?
Non me ne viene in mente nessuno. Mi viene in mente invece ovviamente il rugby in cui in campo ci si dà botte da orbi, e fuori campo si insegnano fair play e terzo tempo. Mi vengono in mente episodi di competizioni abbandonate per soccorrere un avversario in difficoltà. Mi vengono in mente i rituali di saluto nella scherma, nelle arti marziali, l’abbraccio nella boxe. E tutti i discorsi sullo spirito olimpico.
Ma non riesco a togliermi dalla testa l’immagine degli spettatori che puliscono gli spalti e dei calciatori che puliscono gli spogliatoi. E la associo all’immagine dei bagnanti che puliscono le spiagge. E spero che passi presto questa moda dell’aggressività automatica e che si ripuliscano un po’ anche i modi di interagire gli uni con gli altri. Perché sì, insomma, siamo un po’ tutti nella stessa barca.
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