Agroalimentare

No al cibo sprecato. Banco Alimentare Lombardia aiuta 220.000 persone

6 Settembre 2022

L’idea di intervistare Dario Boggio Marzet, Presidente di Banco Alimentare Lombardia, mi è venuta dopo aver visitato la loro sede a Muggiò e aver conosciuto più nel dettaglio la grande macchina organizzativa che lavora per poter permettere all’ente no profit di proseguire nella propria missione: raccogliere le eccedenze alimentari e donarle per garantire sostegno alle persone in difficoltà. In pochi conoscono il Banco Alimentare, perché è un ente di secondo livello, ovvero non ha il contatto diretto con la persona in stato di bisogno, ma supporta con donazioni di alimenti le strutture caritative partner che a loro volta aiutano le persone in difficoltà. Con questa intervista vorrei descrivere il lavoro di importante impatto sulla comunità che Banco Alimentare svolge ogni giorno con impegno attraverso una grande rete di solidarietà, come sottolineato dal Presidente: “Il Banco Alimentare è nella posizione migliore per capire che da solo non puoi fare nulla: se non abbiamo i donatori da una parte e le strutture caritative dall’altra, la nostra attività non ha senso. Le cose si fanno solo insieme.”

Partiamo dall’inizio, come e quando nasce il Banco Alimentare e come si sviluppa sul territorio nazionale?

Il Banco Alimentare in realtà nasce negli Stati Uniti nel 1967, quando John Van Hengel, il “padre delle Food Banks” ha notato una signora che stava cercando cibo da mangiare fra gli scarti della merce di un supermercato. John si rese conto che in realtà una buona parte di quanto scartato dal punto vendita era ancora perfettamente edibile, recuperando queste eccedenze e distribuendole a persone in difficoltà  diede vita al primo banco alimentare nel mondo, che poi è stato replicato anche in Europa. Banco Alimentare fu fondato in Italia nel 1989 dal Cavalier Danilo Fossati, patron della Star a cui è intitolata anche la nostra Associazione e dal Monsignore Luigi Giussani, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione. Oggi siamo una rete, costituita da 21 realtà regionali su tutto il territorio nazionale completamente autonome e indipendenti dal punto di vista legale ed economico, coordinate da Fondazione Banco Alimentare che ha principalmente il compito di relazioni istituzionali e lobby legislative e regolatorie per permettere un recupero dei beni alimentari sempre più sicuro e più diversificato.

Il Banco Alimentare della Lombardia è il più grande in Italia? Come funziona, quali sono le realtà dalle quali raccogliete cibo e a chi lo donate? Il cibo arriva anche da altri parti dell’Europa?

Il Banco Alimentare della Lombardia è il più grande in Italia, e insieme a Barcellona è uno dei Banchi Alimentari più grandi d’Europa. La nostra mission è raccogliere le eccedenze da tutta la filiera agro-alimentare, quindi si parte dalla produzione agricola e industriale, si passa dalla distribuzione (piattaforme di logistica) fino alla GDO, compresi i singoli punti vendita e le mense. Copriamo tutta la filiera, ovviamente con modalità di logistica differenti, soprattutto per il cibo fresco che ha tempi di deperibilità molto veloci e richiede una micrologistica per una ridistribuzione in poche ore. Questo copre il 60% delle nostre entrate di cibo. Una fonte significativa di approvvigionamento è la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare che è il più grande evento di carità e di volontariato in Italia, solo in Lombardia si contano 40.000 volontari impegnati quel giorno, per non parlare di chi lavora all’organizzazione dell’evento per tutto il resto dell’anno. La Colletta Alimentare copre circa il 10% del cibo che riceviamo. È un’iniziativa molto importante perché ci permette di recuperare cibo di cui c’è più bisogno e dove l’eccedenza è minore, ma soprattutto perché è un momento di solidarietà molto sentito che coinvolge attraverso un incontro e un sorriso non solo i volontari ma anche chi partecipa facendo la spesa per chi è povero.  Il terzo canale di approvvigionamento è legato ad un progetto europeo di aiuto alimentare, che si concretizza in bandi gestiti dal Ministero dell’Agricoltura, che vanno a sostenere la filiera produttiva per forniture specifiche, come latte, confetture, pasta, riso, formaggi etc. e aiutano l’industria agroalimentare nei momenti di difficoltà. Forniscono cibo etichettato non commerciabile e che viene dato anche al Banco Alimentare per la distribuzione alle strutture caritative convenzionate. Noi garantiamo tutta la parte di sicurezza alimentare e tutte le norme richieste dal Governo. Questo vale il restante 30% delle nostre entrate di cibo donato. Il cibo raccolto  viene distribuito gratuitamente alle strutture caritative accreditate. Per accreditarsi i principali requisiti richiesti sono un’attività già consolidata nell’assistenza alimentare, la gestione dei prodotti in sicurezza alimentare e la gratuità dell’azione.

Ci racconti di più della colletta alimentare, momento al quale tutta la cittadinanza può partecipare.

L’organizzazione della Colletta inizia diversi mesi prima dell’ultimo sabato di novembre, che è il giorno dedicato alla raccolta, quindi quest’anno sarà il 26 novembre. Si inizia verificando i punti vendita che sono disponibili ad ospitare la Giornata della Colletta. A livello nazionale, in base ad accordi fatti con le grandi catene, si redige una lista dei punti vendita, che viene trasmessa a livello regionale. La Lombardia è suddivisa ulteriormente in 32 zone e ogni zona identifica i punti vendita proposti, verifica la capacità di essere presente con un capo equipe e con un gruppo di volontari e può scegliere così di integrare la lista con punti vendita più piccoli di quel particolare territorio. Si determina così la lista completa di tutti i punti vendita, l’anno scorso in Lombardia erano 1.700, di conseguenza viene preparato tutto il materiale utile per la giornata, le shopper, gli scatoloni e il materiale di promozione e comunicazione. Nei giorni precedenti la colletta si organizzano le attività logistiche in una ventina di magazzini temporanei, sparsi su tutto il territorio della Lombardia. Il giorno dell’evento i volontari invitano i consumatori a partecipare, a fare una spesa per chi è povero e il cibo donato viene diviso per tipologia alimentare in una zona scelta all’interno del supermercato e viene tutto catalogato. Quindi nel magazzino di Muggiò, nei giorni successivi alla colletta, riceviamo una lista di tutti gli scatoloni raccolti e il numero di prodotti, suddivisi per punti vendita e magazzini. Inizia quindi un’opera di mappatura delle 1.144 strutture caritative accreditate e viene preparata una bolla per la consegna della merce, dal magazzino temporaneo alla struttura caritativa. L’obiettivo è riuscire a consegnare parte della raccolta entro Natale e terminare tutte le consegne entro la fine di gennaio, il tutto tracciato, in modo tale da assicurare che per ogni assistito arrivi una quantità omogenea su tutto il territorio. Nulla viene sprecato perché tutto quello che è donato è tracciato, dal supermercato fino all’arrivo in struttura caritativa. L’anno scorso abbiamo recuperato circa 2.000 tonnellate di cibo in Lombardia. Una cosa bella della Giornata della Colletta Alimentare è vedere quanto la donazione non dipende dal reddito.

controllo del cibo donato

In generale chi dona di più? La GDO?

Se guardiamo la parte di eccedenza abbiamo due canali importanti la GDO e l’industria. In questo momento registriamo una flessione nel recupero dall’industria a causa delle tensioni inflazionistiche e del rincaro delle materie prime. Segue il canale del fresco e dell’ortofrutta, che escono dalla logica della gestione centralizzata. Il fresco viene recuperato grazie al programma Siticibo, un recupero a km0 dalle mense o dai punti vendita, che permette di raccogliere più di 3.500 tonnellate all’anno. L’ortofrutta, circa 700 tonnellate all’anno, arriva direttamente dai produttori o dai grandi mercati ortofrutticoli e permette di integrare la dieta con cibo di altissimo valore nutrizionale. Frutta e verdura vengono portate al magazzino di Muggiò e conservate in 3 celle frigorifere a cui si aggiungono quelle per i surgelati, vengono stoccate e distribuite sempre garantendo la catena del freddo.

Ha già citato il progetto Siticibo al quale si aggiungono gli hub di quartiere, in cosa si differenziano dall’attività principale di Banco Alimentare?

Innanzitutto mi piace sottolineare come queste iniziative dimostrino anche la capacità innovativa del terzo settore e del volontariato italiano, che è riuscito ad anticipare i tempi. La colletta è nata 25 anni fa, Siticibo è nato nel 2003, non appena la legge ha reso possibile il recupero di cibo fresco, dal 2012, inoltre, ritiriamo dal mercato dell’ortofrutta di Milano e nel 2017 sono nati gli Hub di quartiere, andando ad integrare le precedenti esperienze, con un’attività di micrologistica diversa da quella del magazzino di Muggiò. Creare un tessuto sul territorio implica una capacità di raccolta e distribuzione più veloce e puntuale, perché si raccolgono quantità minori per singolo punto di raccolta. Questo comporta anche un aspetto culturale un po’ diverso, ovvero il coinvolgimento di una realtà territoriale di volontari e di strutture caritative, in più determina problemi di sostenibilità economica maggiori, perché il costo per kg raccolto aumenta. L’anno scorso abbiamo distribuito alimenti per 62mln di euro (14 mln solo a Milano) gratuitamente, a fronte di un bilancio di 2mln di euro. Un punto di raccolta sul territorio necessita  di un partner finanziario. A Milano la realtà degli HUB territoriali raccoglie solo dai singoli punti vendita della GDO, a Como invece integra la raccolta dai punti vendita con quella anche dalle mense, con tutta una serie di controlli e procedure per garantire la sicurezza. Per esempio il cibo deve essere abbattuto. Non è pensabile allargare la raccolta anche dal singolo cittadino, perché non saremmo in grado di garantire la sicurezza alimentare e la qualità di quello che viene donato. Da due catene della GDO ritiriamo quello che viene chiamato “reso da banco”. La GDO ritira i pezzi e li stocca nel proprio magazzino, quando arrivano da noi, un gruppo di volontari fa un controllo finale, pezzo per pezzo, per garantire che il prodotto sia integro, sicuro e pronto per essere portato alle strutture caritative.

In tutti questi anni avete notato un cambiamento di profilo della persona che ha bisogno di rivolgersi alle strutture supportate dal Banco Alimentare?

Alcune cause di bisogno sono sempre le stesse: la perdita di lavoro, posti di lavoro sottopagati, le persone separate o divorziate. Con il Covid e con l’aumento del costo della vita è aumentato il numero dei poveri che noi chiamiamo della porta accanto. Sono in molti, sono scesi sotto la soglia della povertà, tendenzialmente sono famiglie monogenitoriali, persone disoccupate o con lavori precari. Durante il lockdown la sospensione delle attività lavorative ha provocato la perdita di lavoro in tante famiglie e la chiusura delle scuole ha impattato pesantemente su bambini e ragazzi in difficoltà che si sono trovati improvvisamente senza l’unico pasto equilibrato e completo della giornata. Sicuramente la pandemia ha dato una spinta all’aumento del bisogno, è molto importante, per quanto possibile, riuscire a recuperare le persone nei primi momenti del bisogno. Nel 2019 avevamo 205.000 assistiti in Lombardia, adesso sono oltre  220.000. Un aumento del 10%, non strettamente legato al Covid, ma sicuramente la pandemia ha inciso in modo significativo. Dai primi mesi del 2022 stiamo registrando un notevole incremento di richieste di cibo da parte delle strutture caritative del territorio a causa delle conseguenze della guerra in Ucraina (il 50% dei profughi previsto in Italia è ospitato in Lombardia) e delle tensioni inflazionistiche in corso.

Quali bisogni prevedete per i prossimi mesi e quale aiuto vi auspicate arrivi da donatori e istituzioni?

Dare dei numeri è difficile, anche l’Istat riconosce che le persone in caso di bisogno sono aumentate, anche se l’anno scorso è aumentato il PIL, non c’è stata in Italia una riduzione del bisogno. Anche quest’anno sappiamo che non sarà un anno di crescita o per lo meno non a livello dell’anno scorso. Il rincaro bollette si ripercuote sulle famiglie, quindi ci aspettiamo un aumento estremamente significativo. Tutto il Terzo Settore deve avere una capacità maggiore di aiutare, i numeri che vediamo noi sono quelli che ci vengono forniti dalle strutture caritative, ma sicuramente i numeri sono più alti, perché non contano quelli che non chiedono aiuto e quelli che invece lo chiedono, ma non riescono ad essere aiutati dalla struttura stessa. L’aiuto non è solo una questione di numeri, ma di saper garantire un sostegno di qualità nel tempo. È inutile dire che si stanno aiutando 1 milione di persone, se poi a questo milione di persone si dà 1kg di pasta all’anno. Sicuramente quello di cui c’è bisogno è un aiuto strutturale anche come Terzo settore. Ci auspichiamo che i donatori continuino ad aiutarci, anche in un momento nel quale le eccedenze stanno diminuendo, perché le produzioni sono ridotte o addirittura alcune sono state chiuse. Il costo dei prodotti è aumentato in modo esorbitante, pensiamo al latte, quindi anche il programma Europeo, porterà meno quantità da distribuire. Il secondo appello va alle Istituzioni. Credo che una delle ricchezze enormi in Italia sia proprio il mondo del volontariato e credo sia importante aiutarlo a crescere  e indirizzare il Terzo Settore al rispetto di certi criteri, in un’ottica di sussidiarietà e aiuto. Anche la riforma del Terzo Settore va proprio in questa direzione di coprogettazione. Credo sia estremamente importante che questo aspetto, insieme a quello della sussidiarietà, sia valorizzato al massimo e per fare questo c’è bisogno di sostegno economico da parte delle Istituzioni. La capacità innovativa c’è, però è anche importante assicurare la capacità di funzionamento di tutti i giorni. L’innovazione nasce in una struttura che è solida ed è sostenibile economicamente.

 Con il Banco Alimentare è possibile anche fare volontariato d’impresa?

Certamente. Con la pandemia abbiamo avuto uno stop, ma partecipiamo a questa forma di filantropia strategica da diversi anni. Come funziona il volontariato d’impresa? Le aziende danno ai propri dipendenti la possibilità di fare ore di volontariato presso organizzazioni no profit. È un’attività molto bella, perché da un lato dà ai dipendenti la possibilità di conoscere una realtà del Terzo Settore e la professionalità con la quale è gestita, dall’altro è utile per le aziende stesse, perché è una sorta di team building, crea momenti di partecipazione e di condivisione di valori. Per esempio con l’Università Cattolica abbiamo iniziato un percorso proprio in questa direzione, per incrementare le soft skills dei manager e avvicinarli anche alla ricchezza professionale del mondo no profit. Ritengo che anche l’aspetto culturale di quello che noi facciamo, come Banco Alimentare, sia un aspetto importante da sottolineare. Sostenere e promuovere una cultura dell’aiuto reciproco e vedere che questa attività è apprezzata e ricercata dal mondo del profit, ha una valenza culturale che va al di là, delle tonnellate di cibo raccolto e del loro valore economico. Per me questa è una grande ricchezza, che è difficile quantificare, come lo è l’attività del programma Banco Scuola, dove, oltre a raccontare l’economia circolare agli studenti, sensibilizziamo i giovani al rispetto e alla cultura del cibo e al suo beneficio sociale. Questa è la leva per imparare a guardarci e aiutarci in tutti i campi della nostra vita.

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