Africa

Macron tra speranze ambientaliste e neocolonialismo in Africa

17 Maggio 2017

Una delle novità del governo di Édouard Philippe è la creazione del ministero della “transizione ambientale”, un nome che contiene un programma ambizioso, affidato all’attivista Nicolas Hulot, un ecologista molto stimato in Francia, che in passato è stato corteggiato da altri presidenti, ma che ha ceduto soltanto a Emmanuel Macron.

Prima di esultare, quanti sono sensibili alle tematiche ambientali devono attendere che vengano chiarite le linee programmatiche del nuovo ministro e dello stesso governo. La transizione verso politiche sostenibili riguarderà soltanto la Francia metropolitana oppure le politiche francesi tout court?

Il vero cambiamento sarebbe una rottura rispetto al passato: finora i progressi ecologisti nella Francia metropolitana hanno avuto il rovescio della medaglia delle politiche ambientali disastrose nelle ex colonie, in particolare in Africa.

Il contentino di qualche pannello solare a Nizza o di più pale eoliche in Normandia non può compensare le devastazioni che con l’estrazione dell’uranio a cielo aperto provoca da decenni l’azienda di Stato francese Areva nel Niger. Il dossier prodotto da Raphaël Granvaud qualche anno fa (Areva en Afrique. Une face cachée du nucléaire français, Agone, 2012), ha raccontato con dovizia di dettagli come opera la società che gestisce le centrali nucleari francesi e controlla direttamente le miniere di uranio in Africa, e in particolar modo nel Niger. Questo paese, che è 187° nell’indice di sviluppo umano dell’ONU, detiene i più ricchi giacimenti mondiali di uranio del mondo, eppure è anche tra i più poveri. La presenza di Areva, secondo Granvaud, è una «triplice catastrofe» per il Niger: ambientale, sanitaria e sociale (pp. 157-187). Lo Stato francese, così attento all’ambiente nell’Esagono, ha determinato, secondo le denunce, la contaminazione con le miniere che controlla nel Niger delle scarse risorse di suolo e di acqua per chilometri intorno ai luoghi di estrazione, favorendo un aumento delle malattie legate alla radioattività e un impoverimento delle campagne. Senza nemmeno molti benefici economici per il paese (si calcola che poco più del 10% del valore dell’uranio estratto rimanga nel paese e le condizioni dei minatori nigerini non sono certo paragonabili a quelle dei loro colleghi europei), la scomparsa dell’economia di sussistenza ha favorito i fenomeni migratori interni (dalle campagne verso le città) e internazionali (attraverso la Libia e, per chi sopravvive, il Mediterraneo).

Manifestanti a Niamey contro Areva nel 2013 (foto di Africatime.com)

La sede dell’Areva a Niamey, la capitale, gode dell’importanza e della protezione di un ministero e i suoi manager hanno continue consultazioni con le autorità locali. Tant’è che quando i nigerini vogliono protestare contro il governo, solitamente manifestano anche davanti agli uffici della società francese, accusata di dettar legge nel Niger. La presenza dei militari francesi nel paese, ufficialmente per aiutare il presidente di turno a combattere il terrorismo, ricorda a tutti chi comanda. Negli ultimi anni il governo nigerino ha utilizzato la carta degli investimenti cinesi nell’uranio per alzare il prezzo delle royalties pagate da Areva, senza tuttavia grossi benefici per la popolazione.

Questo è soltanto un esempio delle conseguenze dei rapporti neocoloniali che siamo riusciti a costruire dopo la cosiddetta indipendenza. Spesso i movimenti razzisti europei ci dicono che è necessario “aiutare gli africani a casa loro”. Aiutarli davvero però non significa versargli qualche milione di euro in elemosine e cooperazione, ma garantir loro parità e dignità nei rapporti economici: solo così gli africani potrebbero provare a costruirsi un futuro nel proprio paese. Ma ciò significa anche che gli europei devono essere pronti a pagare il prezzo giusto per i loro consumi: difficilmente un governo europeo chiederà ai propri cittadini e alle proprie aziende di accettare un’impennata dei costi (nel caso preso in esame, dell’energia elettrica). L’esempio del rapporto tra Areva e Niger è soltanto un caso, tra i tanti, che interessano l’Africa, i suoi regimi e le aziende straniere – americane, europee (spesso anche italiane) e recentemente cinesi – ma è tra i più paradigmatici perché è anche tra quelli che meno si è riusciti a nascondere.

Può essere utile segnalare che il premier francese Édouard Philippe è stato per qualche anno un manager dell’Areva.

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