Non solo petrolio: l’idea di un’altra Nigeria con il Green River Project
C’è Chief Lionel Jonathan Omo, che insegna legge a Yenagoa, nello stato di Beyelsa in Nigeria, e si occupa della produzione industriale di Heterobranchus, il pesce gatto tipico della zona. Chief Lionel spera, “nei prossimi cinque anni di inscatolare ed esportare il pesce nel mercato globale”. C’è Ngozi Ekuku, che nel suo villaggio di Omoku nello stato di Rivers fa la contadina. Al momento lavora per sé ma “nei prossimi 5 anni mi piacerebbe assumere altre persone”. Ci sono Iwunoh Jennifer e Akpodiete Titus, che studiano a Kwale, nello stato di Delta e possono immaginare di indirizzare la loro vita futura al di là del petrolio magari instillando “una consapevolezza pubblica dell’importanza dell’agricoltura che potrà aiutare molto a vedere la regione del Delta del Niger anche senza l’oro nero”.
Chief Lionel, Ngozi Uekuku agli altri possono iniziare a fare piani per i prossimi cinque anni che non contemplino il petrolio anche grazie al Green River Project avviato da Eni nel 1987 nella regione del Delta del fiume Niger con l’obiettivo di sostenere e rifondare l’agricoltura nei quattro Stati dove la sua consociata Nigerian Agip Oil Company è attiva: Imo, Delta, Rivers e Bayelsa. In quasi 30 anni sono stati 35 mila gli agricoltori coinvolti e più di 120 le comunità con le quali si è lavorato, per un totale di 500 mila persone toccate dal GRP e di 4,5 milioni di dollari spesi nel 2014 per donare sementi, macchine agricole, fare formazione per gli agricoltori e le cooperative, dare borse di studio agli studenti, finanziare il microcredito per donne e giovani.
Una goccia nel mare, se si considera che nei quattro Stati dove Eni è presente vivono circa 20 milioni di persone. Eppure insistente e non tanto piccola quanto assume il volto di chi da anni beneficia del progetto.
Cambiare la narrativa della Nigeria
Ritornare all’agricoltura in modo moderno e diffuso, puntando sulle comunità e il microcredito. È stata questa l’indicazione ribadita dal presidente Muhammed Buhari che vuole cambiare la narrativa di un Paese al quale il petrolio non ha finito per assicurare il benessere. Il tutto in un momento in cui il prezzo del greggio continua a scendere.
E in questa storia nuova anche Eni, che è presente nel Delta del Niger dal 1962, vuole fare la sua parte. E proprio della società petrolifera non come produttrice di oro nero (135 mila barili al giorno di produzione, circa il 4% della produzione totale di greggio del Paese) ma come sostenitrice e avviatrice di progetti di sviluppo agricolo si è parlato il 12 ottobre a Casa Corriere, a Expo 2015. Nell’incontro “Nigeria Farmers Day e green River Project”, moderato dal giornalista del corriere della Sera Michele Farina, erano presenti il senatore Alfredo Mantica (ex sottosegretario agli Esteri) e Lapo Pistelli, SVP Stakeolder Relations for Business Development Support di Eni e ex viceministro agli affari esteri. Durante l’evento sono state ascoltate le testimonianze dirette di agricoltori, piccoli imprenditori, studenti che hanno avuto accesso a borse di studio e che hanno spiegato come il progetto ha cambiato la loro vita. È stato inoltre proiettato un reportage sulla 19esima edizione del Naoc/Grp Farmers Day 2015, giornata dedicata ai produttori agricoli associati al progetto Eni in Nigeria.
Non (più) solo petrolio
Un percorso accidentato, un obiettivo ancora lontano. Del resto, se dici Nigeria dici petrolio: lo stato africano è il primo produttore di oro nero del continente e il dodicesimo al mondo. Dal suo territorio fa uscire circa due milioni e 500 mila barili di greggio al giorno, secondo i dati della Nigerian National Petroleum Corporation, ovvero il 95% delle esportazioni del Paese. Pensi alla Nigeria e non puoi che richiamare alla mente Boko Haram, il terrorismo, la corruzione, gli incidenti ambientali e gli attacchi agli oleodotti. Eppure fino a pochi decenni fa la situazione economica e produttiva dello stato africano, che nel 2014 ha sorpassato il Sudafrica come prima economia del continente, era radicalmente diversa. Fino agli anni ’60 la Nigeria era fra i più importanti esportatori di cacao e primo produttore ed esportatore mondiale di olio di palma. Oggi il suo immenso territorio, 84 milioni di ettari di terra fertile e arabile, è coltivato solo al 40% e il Paese è un grosso importatore di pesce, zucchero, grano e il primo importatore di riso al mondo, come ricordava in un discorso alla Columbia University l’ex ministro dell’Agricoltura Akinwumi Adesina.
“Un obiettivo per il quale si vuole lavorare insieme alla Nigeria – ha spiegato Pistelli- Perché la La cooperazione non deve essere vista come una spesa ma come un investimento”.
“Ho visto Eni lavorare sul campo ancora prima di occupare questo incarico – ha raccontato – e ho visto l’orgoglio di chi lavora nell’azienda, che ha 1300 dipendenti in Nigeria il 90% dei quali sono locali, di portare sulla maglietta o sul caschetto il cane a sei zampe”. Questo perché l’azienda, fin dalla sua fondazione, si è sempre comportata da partner del Paese nel quale andava a operare, mai da “conquistatore”, ha ribadito. “Da sempre lavoriamo insieme alle 36 comunità delle zone in cui operiamo ecco perché mi sento di dire che il petrolio non basta”.
Dalla distribuzione di sementi alla formazione non solo agricola: come è cambiato il Green River Project
“In 30 anni il progetto si è evoluto con i bisogni della popolazione”, ha spiegato Pistelli. Fra il 1990 e il 1995 il GRP ha puntato alla sensibilizzazione dei coltivatori rispetto all’importanza dell’agricoltura distribuendo coltivazioni ad alto rendimento, formando i locali su attività legate a pesca ed economia domestica, aiutando società cooperative a strutturarsi e sostenendo le loro attività di sviluppo. Nel 2001, proprio assecondando la volontà di giovani, donne e uomini di diventare piccoli imprenditori il GRP ha attivato u programma di microcredito con un altissimo tasso di recupero (fra l’85 e il 95%) da parte dei beneficiari. A questo si è unito il lavoro di formazione in attività che non per forza hanno a che fare con l’agricoltura. Dal 1999 sono stati 3750 i giovani e le donne che hanno imparato a lavorare il legno, a riparare motori e istallazioni elettriche domestiche, a gestire eventi e a realizzare catering, che sono diventati parrucchieri, idraulici, designer, esperti di computer.
La tutela del territorio e l’accesso all’energia
Riguardo all’aumento degli sversamenti di petrolio, che ne 2014 sono stati 284 come documenta l’azienda, “Eni si impegna a tutelare il territorio nel quale lavora – ha detto Pistelli- e stiamo lavorando insieme alle comunità per ridurre l‘oil spilling dalle pipeline che causa gli incidenti, anche quello di Azuzuama del luglio 2015”. Problema che riguarda tutte i colossi petroliferi che lavorano in Nigeria, Shell, Agip, Chevron, Exoon, e che provoca al Paese la perdita di circa 300 mila barili di greggio al giorno. D’altro canto favorire l’accesso all’energia da parte delle popolazioni locali è vissuto come un impegno crescente da parte dell’azienda.
“Non c’è sviluppo senza accesso all’energia.Per questo forniamo il 20% dell’energia domestica in Nigeria, utilizzando localmente il gas prodotto, e stiamo lavorando insieme al governo per creare forme di energia rinnovabile off-grid che “accendano” il singolo villaggio. Si può iniziare a meccanizzare l’agricoltura, a conservare i cibi, diventa un altro mondo”. E forse un’altra Nigeria.
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