Acqua

Come funzionanono i servizi idrici in Europa (e come potrebbero cambiare da noi)

28 Novembre 2018

Sappiamo (forse) quali operatori ci portano l’acqua, a quali prezzi e con quali standard qualitativi. Magari è meno chiaro, e certo non è così facile da ricostruire, quale sia il quadro normativo che regola “il viaggio dell’acqua” fino ai nostri rubinetti e, più in generale, nel nostro suolo e nel nostro sottosuolo.

Il settore idrico è infatti regolato da normative di vario livello: ci sono le leggi europee e ci sono quelle nazionali. Questo doppio livello regolamentare produce una situazione all’interno della quale gli standard qualitativi minimi sono uguali per tutti i paesi, ma le modalità di raggiungimento degli stessi sono demandate alle legislazioni nazionali.

Così, la direttiva quadro sulle acque (DQA), la direttiva sull’acqua potabile (DWD), il trattamento delle acque reflue urbane (UWWTD) e la direttiva sulle acque di balneazione (BWD) disciplinano le norme sanitarie con regole uguali per tutti i paesi Ue, ma la loro attuazione avviene integralmente a livello nazionale. Allo stesso modo, l’organizzazione dei servizi idrici e i modelli di gestione sono integralmente affidati alla scelta dei singoli paesi, e rispetto a queste scelte le istituzioni europee sono del tutto neutrali.

È per queste ragioni, quindi, che la situazione e gli assetti proprietari dei gestori delle reti idriche varia sensibilmente da paese a paese.

Le tipologie di gestione presenti in Europa sono indicativamente quattro.

Gestione pubblica diretta:
L’ente pubblico è interamente e direttamente responsabile della fornitura di servizi e della loro gestione. La proprietà delle infrastrutture è pubblica.

Gestione pubblica delegata:
In questo regime, l’ente pubblico responsabile nomina un’entità terza, solitamente una società controllata direttamente dall’ente pubblico, perché si occupi dell’esecuzione dei compiti di gestione. Le società delegate di solito rimangono di proprietà del settore pubblico, sebbene
nell’UE, in alcuni casi, esiste la possibilità di una partecipazione privata di minoranza. La proprietà delle infrastrutture è pubblica.

Gestione privata delegata:
Il questo caso, l’ente pubblico delega una società privata per gestire le attività, con un contratto di locazione o di concessione, ovviamente provvisto di scadenza e in seguito a una gara. Nei paesi in cui ci si avvale di questo tipo di gestione, i comuni subappaltano le loro funzioni ad aziende private. Anche in questo caso, la proprietà dell’infrastruttura e delle risorse resta in mani pubbliche.

Gestione privata diretta:
Quest’ultimo è un regime totalmente privatistico che, nell’Unione, è adottato solo dalla Repubblica Ceca, oltre che dagli “uscenti” Inghilterra e Galles. In questi paesi, tutte le attività di gestione, le responsabilità e la proprietà delle infrastrutture idriche sono affidate a privati, mentre gli enti pubblici limitano le loro attività al controllo e alla regolamentazione. Nella maggior parte dei paesi esiste un mix dei primi tre modelli (pubblico diretto gestione, gestione pubblica delegata e gestione privata delegata), in varie proporzioni. La tendenza generale, rispetto alla fine del secolo scorso, in cui ancora dominava la gestione pubblica diretta, è quella di una progressivo affermarsi del modello delegato, che prevede la permanenza della proprietà pubblica diretta e la gestione affidata a soggetti terzi, più spesso enti o società controllate dagli enti pubblici pubblici, ma a volte anche società private.

Le autorità pubbliche che supervedono ai mercati idrici hanno in ogni caso il compito di approvare le tariffe, determinandone la qualità di servizio così come l’impostazione e l’applicazione degli standard ambientali e sanitari.

In Italia, ad esempio, circa la metà della popolazione riceve acqua in regime di gestione pubblica delegata, la delega privata copre il 36%, mentre i servizi dati in concessione sono circa il 5%. Solo il restante 10% della popolazione è rifornito direttamente da enti pubblici gestori. Il modello di proprietà e gestione diretta degli enti pubblici, peraltro, è predominante solo nell’Europa Scandinava, o in entità statuali di piccole dimensioni come il Lussemburgo. In Germania prevale il sistema misto, con la prevalenza della della gestione pubblica delegata a utilities di piccole dimensioni, direttamente controllate dalle municipalità di riferimento. Anche in Francia domina il sistema misto, anche se permane una percentuale più rilevante di gestione diretta da parte delle municipalità.

Se i modelli di gestioni variano da paese a paese, un dato unisce quasi tutti i sistemi: le tariffe idriche sono infatti decisive quasi ovunque in Europa, al fine di recuperare i costi di gestione. In alcuni paesi, i costi vengono coperti da un mix di tariffe, trasferimenti e tasse (3T). La struttura tariffaria differisce da paese a paese, ma nella maggior parte dei casi, la tariffa è composta da un componente fisso e una componente che varia in funzione del volume di consumi.

Generalmente, le tariffe idriche sono proposte dall’operatore idrico all’autorità competente autorità (comune, governo regionale o regolatore regionale, ministero nazionale o regolatore nazionale indipendente) per l’approvazione. In alcuni casi è previsto il coinvolgimento di associazioni di consumatori e cittadini nella fase della negoziazione, mentre sono previsti ovunque meccanismi di controllo sia sulla congruità delle tariffe che sui servizi erogati.

E quali sono le tendenze per il futuro? Ovviamente, anche queste variano da paese a paese. Ma un dettaglio appare significativo: Proprio in Uk, relativamente a Galles e Inghilterra, cioè i paesi che avevano accettato per primi (e quasi unici) la via della privatizzazione, si è aperto un ampio dibattito sul ritorno verso un modello misto, anche a fronte di risultati economici e di gestione quantomeno controversi.

Se dunque in altri paesi sviluppati ci si muove nella direzione che, complessivamente, ispira il sistemo dell’Europa Continentale, valorizzando i rapporti tra pubblico e privato per realizzare gli importanti investimenti necessari per mantenere in buone condizioni le reti idriche, qualcuno in Italia sta pensando di tornare all’antico, cioè al regime precedente. È stata recentemente depositata in parlamento una proposta di legge, firmata da Federica Daga, parlamentare del Movimento 5 Stelle, che propone di riportare i servizi idrici sotto un controllo integralmente pubblico.

L’approvazione della normativa di fatto porterebbe fuorilegge quasi tutte le gestioni attuali e, tra queste, anche tutte quelle di società di diritto privato ma integralmente o prevalentemente controllate dal pubblico che sono la maggioranza nel nostro paese. La domanda che resta, di fronte a questo tipo di proposte, è principalmente una: le gestioni pubbliche dirette, cioè quelle in capo allo stato e alle sue diramazioni locali, sarebbero in grado di fronteggiare i costi che oggi si sobbarcano le utility? Le stime fornite dalle utility parlano di aumenti tariffari sostanziosi che ricadrebbero ovviamente sui consumatori. Se così fosse, l’ideale di un’acqua “tutta pubblica” finirebbe col ritorcersi contro chi di più dovrebbe essere tutelato dall’ideale stesso, cioè i cittadini.

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