Questioni di genere
Da Zuckerberg a Trump: come i diritti delle minoranze tornano nell’ombra
Il richiamo ai valori tradizionali, alla fertilità, la retorica anti-DE&I riecheggiano l’ideologia di Gilead, dove le differenze e l’autonomia individuale sono considerate pericolose per l’ordine sociale
Il discorso di insediamento di Donald Trump contro l’ideologia woke e il suo richiamo ai valori “tradizionali” rivelano un panorama sociale e politico in cui la polarizzazione culturale si intreccia con decisioni aziendali e paure distopiche già esplorate nella letteratura.
Ma prima spieghiamo brevemente cosa si intende con il termine woke, diventato negli ultimi anni argomento di dibattito molto acceso. Originariamente era un termine gergale afroamericano che significava “essere svegli”; è diventato in seguito un termine usato per descrivere una persona consapevole delle ingiustizie sociali, in particolare quelle legate al razzismo, alla discriminazione di genere, all’omofobia.
Chi si definisce woke sostiene che è importante essere consapevolɜ delle ingiustizie sociali per poterle combattere. Un termine ampio e controverso, dunque, diventato negli ultimi anni sinonimo di una spinta progressista verso l’inclusione e la giustizia sociale. Chi si pone “contro” sostiene, erroneamente, che il movimento woke stia portando alla cancellazione della cultura “tradizionale”.
In un discorso a Phoenix del dicembre scorso, Trump ha promesso di combattere l’ideologia woke (sostituendola a mio avviso con il termine gender, altro termine che richiama chissà quale complotto per promuovere immaginarie transizioni di genere) anticipando il suo atteggiamento verso il binarismo di genere e l’eteronormatività (“Porrò fine alle stron*ate woke”/ “In America ci saranno solo due generi, uomo e donna”).
Di nuovo, ieri, nel discorso di insediamento ha promesso nuovamente “estirpare l’ideologia woke”. Secondo il tycoon, questa ideologia rappresenterebbe una minaccia per i valori tradizionali americani, che enfatizzano la famiglia tradizionale, l’ordine sociale e un codice morale conservatore. È frequente che figure di spicco, spesso uomini bianchi e cisgender, in posizioni di potere, si oppongano attivamente a coloro che si battono per l’equità e l’inclusione. Questi individui, forti della loro posizione privilegiata, cercano di mantenere lo status quo e di ostacolare la giustizia sociale.
D’altro canto, il discorso di Trump si inscrive in una strategia più ampia, volta a galvanizzare il supporto della destra religiosa e a mobilitare il malcontento popolare contro le “trasformazioni culturali” che moltɜ percepiscono come una rottura rispetto al passato. Questo approccio sfrutta il timore di perdita identitaria e l’ansia generata dalla rapida evoluzione di norme sociali e culturali.
Non è un caso che, parallelamente, si osservi una tendenza preoccupante delle grandi aziende americane, a ridimensionare o addirittura abbandonare le loro politiche di DE&I. Nate, è bene ricordarlo, per promuovere l’equità e contrastare la discriminazione sul posto di lavoro, e invece diventate il bersaglio di critiche da parte di esponenti politici conservatori e di settori della società che le vedono come una forma di imposizione ideologica.
Il caso di Meta non è isolato. Molte aziende stanno riducendo i loro investimenti in questi programmi. Questa allarmante tendenza dimostra come gli sforzi per promuovere la diversità e l’inclusione siano sempre più messi in discussione, anche di fronte a evidenze concrete dei benefici che queste politiche apportano. Una marcia indietro che riflette un clima politico e culturale, in cui i principi di inclusione ed equità vengono subordinati a logiche di consenso e profitto.
Anche l’Italia si inserisce in un contesto internazionale sempre più preoccupante, dove assistiamo a un crescente tentativo di politicizzare il corpo e la sessualità. La recente decisione di dirottare i fondi per l’educazione affettiva verso corsi sulla fertilità, unita alla nomina della nuova Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, conferma una preoccupante tendenza a limitare l’autonomia delle persone e a promuovere modelli familiari tradizionali. Queste azioni, apparentemente scollegate, rivelano una coerenza di fondo nella volontà di controllare i corpi e le vite delle persone.
Analizzando questi sviluppi attraverso il prisma del romanzo di Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella, emergono inquietanti parallelismi con un futuro che sembra avvicinarsi sempre più a politiche oppressive e regressive. L’autrice, nel suo romanzo distopico, ci offre uno specchio oscuro attraverso cui osservare queste dinamiche. Ambientato in una società teocratica e totalitaria chiamata Gilead, viene raccontato di un mondo in cui i diritti delle donne sono stati completamente annullati e la religione viene usata come giustificazione per il controllo sociale e la repressione.
Il romanzo di Atwood ci mette in guardia sui rischi di una tale regressione, mostrandoci come il controllo ideologico e l’abbandono dei principi di equità possano rapidamente trasformarsi in una forma di oppressione sistemica. Sebbene la realtà contemporanea sia ancora lontana dagli orrori di Gilead, gli sviluppi attuali suggeriscono la necessità di vigilanza e resistenza.
Il richiamo ai valori tradizionali, alla fertilità, la retorica anti-DE&I riecheggiano l’ideologia di Gilead, dove le differenze e l’autonomia individuale sono considerate pericolose per l’ordine sociale. Il discorso di Trump e le scelte delle multinazionali sembrano indicare una direzione simile: un ritorno a una società più omogenea e gerarchica, in cui la conformità viene preferita alla convivenza delle differenze (per citare Fabrizio Acanfora).
La convergenza tra il discorso politico di Trump, il ridimensionamento delle politiche DE&I da parte delle grandi aziende, le scelte politiche italiane sollevano domande cruciali sul futuro dei diritti civili. Siamo a un bivio storico, in cui le scelte politiche, culturali e aziendali determineranno se adottare un approccio più inclusivo o se scivolare verso una nuova forma di autoritarismo mascherata da ritorno ai valori tradizionali. La lezione di Atwood è chiara: la libertà e l’uguaglianza non possono mai essere date per scontate, e la loro difesa richiede un impegno costante e collettivo.
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