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Global Risks Report 2025: guerre, clima e disinformazione tra le preoccupazioni del World Economic Forum

Guerre, clima, geoeconomia, disinformazione e polarizzazione sociale sono i principali rischi globali del 2025. Nel prossimo decennio, preoccupa la fine del multipolarismo e ci si interroga sulla capacità dei governi di guidare il cambiamento.

20 Gennaio 2025

Il World Economic Forum ha recentemente pubblicato il “Global Risks Report 2025”, che offre una panoramica sui principali rischi attesi nel 2025, ma estende lo sguardo anche al prossimo biennio e poi decennio. Dalle interviste condotte con 900 esperti di diversi settori emerge uno scenario di crescente pessimismo su ogni fronte – dalla geopolitica alla tecnologia al clima – complicato dalla diffusa sfiducia nella capacità delle istituzioni di affrontare efficacemente il cambiamento e risanare le fratture globali.

Il 2025 si prospetta come un anno turbolento, segnato da dinamiche complesse e interconnesse. Al vertice delle preoccupazioni figurano i conflitti armati, tra cui guerre civili e per procura, colpi di stato e atti terroristici. Le tensioni in Medio-Oriente ed Europa dell’Est, la questione irrisolta di Taiwan e la confluenza di interessi contrapposti in Siria sono teatri di potenziale escalation bellica e conseguenti crisi umanitarie. In questo contesto, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca introduce ulteriori incognite.

Il cambiamento climatico rappresenta un secondo tema cruciale, che sale al primo posto nelle proiezioni di rischio per il 2035. La perdita di biodiversità, il collasso degli ecosistemi e i disastri naturali causati da condizioni climatiche estreme sono percepiti come una minaccia esistenziale, specialmente dalle giovani generazioni.

Le tensioni geoeconomiche aggiungono un altro livello di complessità: misure protezionistiche come sanzioni, dazi e controlli sugli investimenti ostacolano la libera circolazione dei beni, mentre le guerre commerciali causano l’aumento dei prezzi e penalizzano soprattutto i Paesi emergenti.

L’allarme per misinformazione e disinformazione si conferma rilevante, soprattutto alla luce del super-anno elettorale del 2024. L’accessibilità alle tecnologie di intelligenza artificiale generativa riduce i costi di produzione e distribuzione delle notizie false che diventano sempre più difficili da riconoscere, mentre la poca trasparenza degli algoritmi che regolano le piattaforme digitali contribuisce ad un panorama informativo frammentato. Il tema ottiene la medaglia d’oro nella percezione di rischio globale per i prossimi due anni.

La “top 5” si chiude sulla crescente polarizzazione sociale, fenomeno trasversale a disuguaglianze economiche, demografiche e tecnologiche. In questo contesto, l’acuirsi di possibili tensioni intergenerazionali è un fatto particolarmente segnante per i Paesi che affrontano un rapido invecchiamento della popolazione. La carenza di lavoratori, la crisi pensionistica e l’incapacità dei governi di contrastare la precarizzazione del mondo del lavoro provocano un effetto domino che aggrava le disparità sociali.

Il report stila poi la lista dei rischi per il prossimo biennio; disinformazione, clima, conflitti, polarizzazione e una novità: cyberspionaggio e guerra, che combina le paure per l’instabilità internazionale con le incognite del progresso tecnologico. Guardando al 2035, il rapporto del WEF mantiene centrale la questione ambientale e pone l’accento sull’urgenza di una transizione verde. Inoltre, spaventa uno scenario futuro che va in direzione opposta al multilateralismo, in cui gli Stati ricorrono a pratiche di sorveglianza della popolazione facilitati dalle tecnologie emergenti, adottano svolte protezionistiche a livello commerciale e privilegiano approcci unilaterali in materia di difesa e sicurezza.

Gli esperti riconoscono le opportunità offerte alla comunità dalle nuove tecnologie, ma sottolineano i rischi per privacy e sicurezza in assenza di una gestione etica e trasparente dei dati personali. Si teme che i regimi democratici possano far proprie pratiche autoritarie di controllo e sorveglianza dei cittadini, limitando di fatto le libertà individuali con il pretesto di tutelare la sicurezza nazionale. È dunque fondamentale investire nell’alfabetizzazione digitale per prevenire abusi, sebbene vi siano differenze significative nella sensibilità al tema e conseguente regolamentazione. In questo caso, l’Europa rappresenta un modello di riferimento grazie al GDPR, mentre le altre nazioni rimangono indietro.

Nonostante il declino percepito dell’ordine globale guidato dall’Occidente, quest’ultimo rimane un centro di potere fondamentale – al cui fianco si rafforzano poli emergenti come la Cina, l’India e gli Stati del Golfo. L’anticipato disimpegno statunitense contribuisce al crescente vuoto nell’assicurare la stabilità internazionale, sfida strutturale per il futuro che le varie potenze cercano di colmare con strategie difensive unilaterali, in contrasto con la necessità di rafforzare le reti di sicurezza collettive, come quelle dell’ONU. Seguendo un trend ormai consolidato, si prevede un continuo aumento dei budget militari a discapito di investimenti in settori cruciali quali salute, educazione e infrastrutture.

Seguono alcune considerazioni. Il report interpreta come un segnale positivo il fatto che le tematiche economiche siano escluse dalla “top 10” dei fattori di rischio a livello aggregato. Tuttavia, è opportuno moderare l’entusiasmo, poiché le ansie in ambito finanziario si riflettono indirettamente in molti altri aspetti elencati, dai conflitti alla polarizzazione sociale. Applicare un’unica lente alla realtà globale composta da nazioni molto diverse tra loro può inevitabilmente risultare parziale; ad esempio, in Italia, recessione, inflazione e povertà rimangono questioni preminenti.

I dati vanno dunque letti con cautela. Sebbene siano estremamente rilevanti per offrirci una visione dell’anno e del decennio che verranno, e pur basandosi su un ampio numero di esperti provenienti da settori come ricerca, imprenditoria e policy-making, l’analisi resta il frutto di percezioni soggettive, mediate dalla prospettive personali, professionali e geografiche di ciascuno.

A riprova di questa complessità, emergono persino alcune contraddizioni. Da un lato, si invita a rinnovare l’impegno verso la cooperazione multilaterale; dall’altro, si raccomanda il raggiungimento della resilienza nazionale, intesa come autosufficienza in settori strategici quali energia, agricoltura e difesa. Insomma, ci attendono tempi difficili che non si possono sintetizzare in soluzioni semplici e univoche, ma ricchi di opportunità per ridefinire equilibri più equi ed inclusivi, nella speranza che le classi dirigenti sappiano coglierle e orientarle al bene comune.

 

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