Beni culturali

Il viatico per la Sinistra

5 Dicembre 2024

Cosa rischiamo di perdere, oggi, di un patrimonio secolare che ha determinato una visione dell’Italia nella Storia e che ha, bisogna comunque dirlo, generato cliché anche difficili da smentire e correggere?

Il Romanticismo è il colpevole principale, perché prima dell’Ottocento l’Italia non esisteva come entità politica. C’era un luogo ideale, culturale e artistico, che la indicava come residenza della bellezza, delle arti, di un lontano passato glorioso dove Roma dominava il mondo.

Il melodramma fu il risultato più sorprendente e completo che concentrava tutto, l’armonia delle arti rappresentative, in una lingua così musicale che era presa come modello anche per altre e che era drammaticamente efficace.

L’élite colta dei vari stati europei veniva a risciacquarsi nella penisola col Grand Tour, immergendosi nelle rovine classiche, che abbondavano ovunque, pur non essendo minimamente tutelate. Bastava dare un calcio a una pietra nei dintorni di Napoli o Roma, quando non nelle stesse città, e compariva un’anfora, una tomba piena di oggetti, dei mosaici. I pastorelli appoggiati al moncone di una colonna scanalata sono stati i protagonisti di dipinti e stampe che caratterizzavano un’Italia pittoresca. Trovare oggi un pastore autentico è assai difficile, ormai gli allevamenti funzionano diversamente, e gli eventuali pastori sono per buona parte balcanici o africani. Forse in Sardegna, dove una società pastorale sopravvive, e lì, cosa abbastanza unica, fanno anche musica, quasi fossero moderni emulatori di drammi pastorali e pastorellerie barocche, dove tutti i pastori avevano un talento musicale e suonavano lire e flauti, oltre a cantare di amori non corrisposti.

Oggi questa consapevolezza di avere alle spalle un passato così denso di autori, di una lingua melodiosa, apprezzata ovunque, non esiste, soprattutto in chi ci governa. Non è con l’operazione Open to Meraviglia che si può comprendere cos’è messo a rischio, un patrimonio misto di cose concrete e astratte, una profonda cultura, né di destra né di sinistra, che è diventato nei secoli patrimonio comune al mondo.

Già Shakespeare, solo per fare un esempio, ambientava in un’Italia ideale tante sue commedie e tragedie, Verona, Venezia, Messina, Padova, Roma, Milano, Firenze, grazie alla conoscenza di John Florio (1552-1625) e le sue opere. E, nel Seicento, Giovanni Battista Lulli, danzatore e compositore fiorentino, sviluppò il melodramma in lingua francese alla corte del Re Sole, ma tutto, seppur francesizzato, era d’origine italiana. E i viaggiatori volevano fare già allora quella che oggi, con una volgarità assai tascia, viene definita “un’experience”. Tutti volevano la Camera con vista.

Ma gli italiani sono consapevoli di tutto questo, oggi? La Santanchè che ne saprà di John Florio? Briatore penserà che si tratta di un viticoltore, che sarà un Florio italo americano emigrato negli USA nel Novecento e che ha fatto fortuna in California, un produttore di Marsala di Sacramento.

Noi siamo eredi e portatori di qualcosa che è un patrimonio enorme dell’umanità. È da questo che, forse, i progressisti dovrebbero ripartire, contrastando l’incultura della Destra. Parlare alle persone e far comprendere come i veri valori in cui credere e dove investire sono tutti concentrati lì, nella cultura.

E cultura non significa solamente istruzione, che dà gli strumenti fondamentali per capire la realtà, ma un atteggiamento costante di consapevolezza e di rispetto verso un bagaglio composito che pochi paesi al mondo hanno. Vuol dire anche conoscenza e coscienza del territorio.

Il vero protezionismo sta in questo, nell’unificare il livello culturale del paese, ma non esaltando le regioni e la loro autonomia, cioè una chiusura, bensì facendole conoscere l’una all’altra. Oggi, la maggior parte dei giovani non sa nemmeno quali siano i capoluoghi di regione, figuriamoci quelli di provincia. Non saprebbe nemmeno mettere i nomi delle città su una carta muta, come erano quelle appese nelle classi elementari di un tempo. Gli stranieri che si formano in Italia, quelli di seconda e terza generazione, a volte ne sanno più degli italiani autoctoni.

La chiusura a riccio della politica, in generale, verso un regionalismo anacronistico e verso un’ignoranza sempre più dilagante, convogliata demagogicamente nella scuola “del merito” (cioè di chi se la merita, leggi: di chi ha i quattrini?) è esattamente la strada per perdere tutto questo, e non sono le mostre su Tolkien o sul Futurismo, o quelle sui finti Narcisi di Caravaggio a salvarlo, perché manca tutto di organicità.

Senza questa consapevolezza non c’è futuro.

Le sinistre, se si possono ancora chiamare così anche se sembra ormai unicamente una denominazione di spazio occupato nell’emiciclo parlamentare e nient’altro, dovrebbero dedicare tanto tempo ed energie in questa direzione, illustrando programmi culturali profondi e accessibili per tutti, perché non è il genere di consumo che fa il futuro ma la consapevolezza. Il genere di consumo produce i vari Trump, Meloni, Salvini, Renzi, Macron, Putin, Xi, Modi, Milei e non si finirebbe più. La consapevolezza e l’istruzione, quella vera, non la parodia dell’istruzione a cui assistiamo, è un’azione capillare che le sinistre dovrebbero compiere anche al di fuori del Parlamento, con iniziative, coinvolgimenti, incontri.

Io ricordo che, a Milano, un tempo faro di civiltà, l’amministrazione comunale aveva istituito delle scuole serali di qualsiasi cosa, dando la possibilità alla gente comune, magari quella che non aveva potuto frequentare scuole e istituti professionali, di integrare il proprio bagaglio culturale. C’erano corsi di tutto, dalle lingue straniere all’artigianato, corsi per elettricisti, falegnami, sarti, di teatro, di musica, corsi di italiano per stranieri, in orari serali comodi per chi magari lavorava durante il giorno, a prezzi veramente politici. Io ho imparato il francese e lo spagnolo, e pure un po’ di tedesco, proprio in questi corsi, tenuti da madrelingua. Di giorno lavoravo e la sera andavo ad apprendere le lingue ed erano efficaci. Le amministrazioni di sinistra o anche quelle dove la sinistra è all’opposizione dovrebbero ripensare a quei tempi migliori e insistere per ripristinare queste sapienze. Io queste cose, che oggi la maggior parte della gente non sa o non ricorda, le porto ancora dentro di me. Il comune di Barcellona, anni dopo, adottò lo stesso modello milanese, con grande successo.

Parlare colle persone, non in politichese e non nella lingua monotona e tutta metaforica di Bersani che annoia mortalmente, ormai, con quel “pettinare le bambole”  e lo “smacchiare il giaguaro” che usa ripetutamente, probabilmente perché conosce solo queste, e che fa cambiare canale perché come comunicatore non vale un fico secco, né quella di un Renzi, peggio mi sento, che fa finta di conoscere il Rinascimento, situandolo in Arabia Saudita, o quella di un Cacciari che oramai gioca il ruolo del vecchietto stolito incazzato con tutti e con tutto nei salotti di La7, criptico anche lui come Bersani sebbene in un’altra maniera; questo bisogna fare e parlare anche coi fatti, come per esempio un incremento dell’istruzione.

Sul campo. Approfittare degli eventi per portare la gente fuori, a dialogare, come si faceva un tempo.

Certo, ci vogliono le persone capaci, e anche votate alla causa, non interessate solamente ai soldi o all’arrivismo, è una militanza di base, che una volta esisteva, ognuno era cosciente di avere un proprio ruolo nel cammino verso un futuro positivo e la partecipazione attiva significava anche aiutare gli altri.

Questo è venuto a mancare, demotivando gli elettori che vedono sempre le stesse persone a fare le stesse cose, diventando caricature come Beppe Grillo o Giuseppi o Di Maio o Di Battista o Toninelli o Calenda o Renzi, chiuse in un esibizionismo sterile e autoreferenziale.

Elly Schlein dovrebbe interessarsi a questa prospettiva, assolutamente controcorrente. È così che si può immaginare di sconfiggere l’oscurantismo a cui l’Europa e il mondo sembrano destinati. Se non si agisce ci si ritroverà dentro esattamente come un secolo fa, con modalità anche peggiori, visto il proliferare di armi letali.

Il discorso centrale, da portare anche a Bruxelles, è proprio il ripartire dall’educazione primaria, in modo che i talenti non si disperdano, che possano produrre sapienza e progresso a tutti i livelli, dall’artigiano all’universitario, senza bisogno di emigrare. Creare le opportunità qui, rinverdendole dove ancora sopravvivono, creando una scuola più ricca, più informata, anche meno permissiva, dove i cellulari vengano messi da parte, dove ci siano molti più insegnanti, capaci, non laureati con preparazioni spesso precarie, frutto avvelenato della decadenza scolastica degli ultimi decenni.

La cultura generale, più che quella iperspecializzata (che dovrebbe essere conseguente a una solida cultura generale sebbene spesso non sia così), è la cosa più importante perché poi, i fruitori del Paese, a tutti i livelli, diventano i cittadini stessi, stimolati nuovamente a inventare, a creare, a organizzare.

Ovviamente questo significa una lotta senza confini alla mediocrità, che non può essere più tollerata perché significa il disfacimento di quell’eredità di sapienza che ci portiamo dietro, spesso inconsapevolmente.

E la mediocrità comincia dagli errori di sintassi, dall’uso inappropriato di termini stranieri al posto di altri, magari sempre stranieri ma corretti. Molti, per esempio, pur utilizzando ogni giorno parole come “smartworking” non sanno che in inglese questo termine non esiste. Tutti lo usano, soprattutto i politici, dando l’esempio. O l’uso di “manager”, che dagli italiani viene attribuito a quelle figure ai livelli più alti all’interno di un’azienda, in inglese significa qualcuno che ha semplicemente un ruolo di responsabilità operative anche a livello molto più elementare, uno che gestisce le vendite in un magazzino, per esempio.

Se sentite Santanchè, non perché io ce l’abbia con lei ma perché lei è il tipico esempio della tascia che usa la lingua a sproposito, di questi termini fuori posto infarcisce qualsiasi suo intervento, scritto o parlato, quando deve discutere di affari (suoi), rivendicando con orgoglio quest’uso improprio della lingua.

Questa è la mediocrità da combattere, che le sinistre non hanno combattuto abbastanza, spesso, anzi, copiando il peggio. Pasolini avrebbe usato il lanciafiamme, oggi, contro tutti coloro che parlano di cultura senza conoscerla. E, come Michel Foucault, aveva previsto la decadenza.

Bisogna ripartire da lì, Elly. Bisogna appassionare nuovamente con progetti, idee, riscoperta di valori come onestà, amicizia, cultura, sapienza, consapevolezza, salvaguardia del territorio, certamente adeguate ai tempi, che diventano occasioni di lavoro, e non inseguire lo “sviluppo” a scapito del “progresso”.

Ci vuole una visione chiara per quanto riguarda l’ambiente e l’energia che non segua gli entusiasmi emotivi unicamente legati a un ecologismo generico ma che sia saldamente e scientificamente analizzata perché le possibilità sono tante e anche queste, se spiegate bene al cittadino, responsabilizzandolo, e aiutandolo a capire veramente cosa si deve fare necessariamente e non solo per ideologia, possono diventare un punto importante in questo cammino verso la consapevolezza. Finora il cittadino si è sempre visto cose imposte dall’alto, spesso contraddittorie, come, solo per fare un esempio che la maggior parte delle persone può ricordare, tutte le normative che regolavano i carburanti e le modifiche alle auto, come le marmitte così e non cosà, il metano che prima era positivo per l’ambiente e poi no perché il futuro è l’auto elettrica, senza spiegare come tutta codesta elettricità debba essere prodotta e così via. Tutta questa fuffa allontana le persone comuni da una reale comprensione della realtà, già abbastanza complessa e articolata.

Le destre non spiegano niente, anzi, mentono e impongono, dopo aver promesso cose irrealizzabili a scopo demagogico ed elettorale e, se le sinistre vogliono recuperare un cittadino diventato indifferente, devono spiegare, progettare, illustrare, con campagne informative capillari. È questo, tra le tante altre cose, su cui bisogna investire, l’informazione corretta: il cittadino, anche quello che non ha votato per te, deve sentirsi partecipe, tutelato, non trattato come un soprammobile. Le cose gli vanno esposte come in un bugiardino, dove vengono spiegati gli effetti benefici ma dove sono elencati anche gli eventuali effetti collaterali, e gli va fatto comprendere che, continuando a ubriacarsi di disinformazione la cirrosi metaforica diventa irreversibile.

In Friuli Venezia Giulia esiste un minuscolo movimento di cittadini e architetti che ha ridisegnato l’urbanistica di alcuni luoghi, ancora troppo pochi, non ricordo esattamente quali; l’ho sentito di recente in un documentario su Rai5 ma potrebbe diventare un interessante modello all’inverso da seguire. E nessuno ne sa nulla, perché è ovviamente controcorrente, anche per certe amministrazioni di sinistra: creare abitazioni monofamiliari per la gente anziché enormi condomini contenitori di stampo e di mentalità sovietica, dove c’era l’uomo-macchina e il dormitorio. Il risultato di quei contenitori “popolari”, presenti in ogni metropoli italiana (e anche estera) è proprio l’alienazione, la concentrazione eccessiva di persone in un unico luogo senza avere la possibilità di conoscersi, di aiutarsi, di capire la realtà intorno. Anzi, sono luoghi quasi da cui fuggire, come cantava Celentano nella sua via Gluck (1966!). I risultati di quest’edilizia popolare scriteriata e mastodontica sono evidenti in luoghi come Caivano, lo ZEN di Palermo, il Serpentone di Roma e varie periferie problematiche in ogni città.

Un modello urbanistico da tenere presente potrebbe essere Vitoria-Gasteiz, nel Paese Basco di Spagna, verde por dentro y verde por fuera, verde dentro e fuori e dove la popolazione ha un alto grado di coinvolgimento e di civiltà.

Bisogna ripartire da lì, dal coinvolgimento.

L’Emilia Romagna, il Veneto, la Puglia e la Lombardia sono le regioni dove si è cementificato di più, pur essendo ecomostri notevoli ben distribuiti sul territorio nazionale. E l’Emilia Romagna, colle ripetute alluvioni devastanti, sta vedendo i frutti negativi di queste urbanizzazioni eccessive in nome del “lavoro” e del “benessere”, termine astratto che va insieme all’idea distorta di “sviluppo”.

Elly Schlein, che proviene da lì, questo dovrebbe saperlo bene. Il lavoro è assai impegnativo ma è l’unica maniera per evitare di allargare l’abisso in cui siamo proiettati. C’è un po’ di tempo, prima delle prossime elezioni (se non cade prima questo infame governo) per mostrare agli elettori indifferenti un progetto diverso ma bisogna lavorarci e, forse, bisogna cominciare a pensare a un utilizzo consapevole della tecnologia per costruire nuove realtà, senza però perdere l’entusiasmo degli ideali. Era ciò che volevano fare i 5 stelle agli inizi, perdendosi poi nell’improvvisazione e nell’incompetenza, oltre che irrigidendosi in posizioni ideologiche assai discutibili e accogliendo nel proprio corpo il diavolo e l’acqua santa.

Altrimenti, nell’assenza di un siffatto progetto di rimettere le cose in una prospettiva di coscienza, si regaleranno sempre più elettori alle destre populiste che promettono sogni sapendo benissimo che non li realizzeranno, illudendo ancora una volta chi non ha altra speranza che appigliarsi alle loro favole o alle manifestazioni disordinate e ugualmente populiste in stile Greta Thunberg.

Se si perde ancora una volta questo treno le conseguenze saranno molto più gravi di quanto si possa immaginare. Si approfitti di questo momento di scontento generale e di crescita dei progressisti, almeno in Italia, per mettersi al lavoro.

 

 

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