La vittoria di Donald Trump alle presidenziali è uno shock per decine di milioni di statunitensi (e di europei come il sottoscritto, che speravano – sulla scorta dei sondaggi, e per la qualità del proprio sonno – in una vittoria della Harris). Soprattutto, il trionfo trumpiano è una pessima notizia per l’Europa, e potrebbe rivelarsi una tragedia per l’Ucraina. Da tempo le cancellerie europee e gli analisti di entrambi gli emisferi segnalavano i rischi di una vittoria trumpiana. In una mia analisi del marzo 2024 pubblicata su questo giornale il ritorno di Trump alla Casa Bianca (o il Congresso in mano ai repubblicani: sembra purtroppo che entrambe le eventualità si siano concretizzate) era una delle tre condizioni per il verificarsi di uno scenario pericolosissimo che in queste ore sembra diventare un po’ meno improbabile: l’aggressione russa a uno stato membro della UE, come la Lituania, la Lettonia o l’Estonia (eventualità che a Riga, Helsinki o Vilnius è già presa in seria considerazione).
Procediamo però con ordine. Ieri il Wall Street Journal ha pubblicato un lungo articolo sui piani della nuova amministrazione repubblicana per l’Ucraina. Si può usare un solo aggettivo: distruttivi. In base a quanto riferito dal quotidiano statunitense, secondo questi piani Kyiv dovrebbe impegnarsi a non chiedere l’adesione alla NATO per venti anni (nel 2008 era un’altra amministrazione repubblicana, quella Bush, che auspicava invece l’ammissione dell’Ucraina nella NATO); si dovrebbe istituire un’area demilitarizzata di ottocento miglia (circa 1.300 chilometri), con una forza di peace-keeping non-statunitense e financo non-onusiana, magari europea, a vigilare sul rispetto degli accordi; il “congelamento” della situazione odierna, lasciando circa il 20% del territorio ucraino sotto controllo illegale russo. In cambio Kyiv potrebbe continuare ad acquistare armamenti statunitensi.
Perché questi piani, che ovviamente non sono incisi nella pietra (sono stati pubblicati da un giornale, per quanto autorevole, non dal sito della Casa Bianca) e che potrebbero anzi mutare e/o non realizzarsi (per n ragioni), rappresentano una minaccia reale alla pace e alla prosperità in Europa nel malaugurato caso si confermassero davvero come la nuova linea di Washington? Perché, oltre a rischiare di arrecare nel breve termine un duro colpo al morale delle truppe ucraine oggi impegnate contro i russi (e i nordcoreani), potrebbero provocare una catastrofe geopolitica nel medio e nel lungo periodo? Cercherò di spiegarlo in modo succinto nelle prossime righe.
1) Rischiamo di avere un frozen conflict come quelli che hanno costellato negli ultimi anni l’Europa orientale, e in parte ancora permangono: pensiamo all’Abcasia e all’Ossezia del Sud in Georgia, e alla Transnistria in Moldavia. Focolai permanenti di instabilità, in grado di alimentare sia nuove guerre (sino a pochi anni fa, del resto, la Crimea stessa era classificata come area di frozen conflict) sia gravi involuzioni politiche (come si è visto in questi mesi in Georgia). Un congelamento della guerra in Ucraina genererebbe quindi alle porte dell’Unione Europea un gigantesco frozen conflict, che potrebbe riattivarsi nel giro di pochi anni, con il rischio di pericolosissimi spillover.
2) Rischiamo di regalare a Putin una straordinaria vittoria politica oltre che strategica, perché sin dall’inizio della guerra la propaganda russa ha dichiarato (mentendo) che l’obiettivo dell’operazione militare speciale era impedire l’entrata dell’Ucraina nella NATO. Con il congelamento della guerra in Ucraina il regime russo avrebbe uno straordinario strumento di pressione sulla UE, perché non essendoci alcun reale strumento di deterrenza a garanzia degli accordi di pace (lo sarebbe l’entrata dell’Ucraina nella NATO, o più realisticamente un trattato di mutua difesa come quello firmato tra gli USA e la Corea del Sud nel 1953; Trump però sembra appunto puntare al disimpegno statunitense dall’Ucraina), Mosca sarebbe in grado di riattivare la guerra a sua convenienza, attaccando Kyiv senza dover temere una risposta statunitense, ma nella migliore delle ipotesi francese o britannica (gli unici due stati europei dotati di arsenale nucleare). E degli ipotetici peacekeepers della UE rischierebbero di diventare ostaggi in un’enorme Green Line.
3) Non integriamo nella NATO il più forte esercito europeo: quello ucraino, che in questi anni ha acquisito enorme esperienza e know-how. Allo stesso tempo, i piani trumpiani riferiti dal Wall Street Journal darebbero alle forze armate russe (molto più forti oggi che nel 2022) il tempo di “tirare il fiato” e prepararsi alla prossima guerra.
4) Rischiamo di trasformare non solo l’Ucraina, ma l’intera Europa in un ancor più grande acquirente di armamenti statunitensi. A oggi il sostegno militare di Washington a Kyiv si è tradotto in importanti commesse per l’industria militare degli Stati Uniti, dato che il Pentagono in questi anni ha ovviamente rifornito l’Ucraina con armamenti prodotti negli Stati Uniti. Rendere l’Ucraina un gigantesco frozen conflict accrescerebbe per anni la dipendenza ucraina dall’industria militare statunitense (cosa che si sarebbe verificata in misura minore nel caso di un trattato di mutua difesa tra Kyiv e Washington, o di un’entrata ucraina nella NATO, perché parte della difesa del paese sarebbe stata esternalizzata a Washington, come già fanno molti paesi europei). Inoltre la prospettiva di una tale “sistemazione” trumpiana dell’Ucraina costringerebbe la UE a un riarmo ancora più massiccio e rapido, e questo porterebbe necessariamente a rivolgersi ai produttori statunitensi (come sta facendo già ora la Polonia, ad esempio per il grande acquisto di MBT Abrams), anche per mere ragioni di capacità produttiva.
5) Rischiamo di avere una permanente fonte di destabilizzazione dell’intero continente, con serie conseguenze anche in termini di competitività europea e capacità di attrarre o trattenere aziende, che potrebbero scegliere di abbandonare paesi troppo vicini alla vulnerabile Ucraina come la Polonia e la Romania, e persino la Germania e la Cechia (e in misura minore la Spagna e l’Italia) per reinsediarsi nei più sicuri Stati Uniti. In altre parole, la deindustrializzazione dell’Europa potrebbe aggravarsi in modo serio. Peraltro in campagna elettorale Trump lo ha dichiarato esplicitamente: “We will take other countries’ jobs […] We’re going to take their factories”.
6) Rischiamo di infliggere il colpo decisivo all’ordine internazionale nato post-1945, e di indebolire in modo irreparabile la credibilità e l’immagine dei paesi europei, oltre che della NATO, incapaci di assicurare una pace reale persino nel proprio continente.
7) Rischiamo di imbaldanzire i partiti e le forze di estrema destra pro-Russia che in questi anni hanno proliferato in Europa, come segnalava il sottoscritto su questo giornale molti anni fa su input di Jacopo Tondelli e Lorenzo Dilena.
8) last but not least, rischiamo di gettare le basi – come anticipavo sopra, e come già scrivevo alcuni mesi fa – per un attacco russo a qualche stato UE nel giro di pochi anni. Una prospettiva che rimane improbabile, ma meno che a marzo, e assai meno che nel 2015.
Esistono tuttavia delle risposte che la UE può implementare qualora questi piani diventassero realtà. Ne cercherò di scrivere nei prossimi giorni, così come tenterò di articolare meglio questa mia succinta e rapida disamina anche in altre sedi.
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