Harris ha sbattuto sulla curva di Phillips?
La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi è netta. Kamala Harris e il partito democratico escono sconfitti da un confronto elettorale che appariva incerto. Harris ottiene vittorie da margini ridotti negli stati democratici, subisce pesanti sconfitte negli stati repubblicani, mentre tutti quelli incerti svoltano a destra.
L’umore degli elettori
Tanti motivi sociologici, politici e religiosi hanno creato una solida base pronta a sostenere un personaggio pericoloso come Trump. Malgrado lo zoccolo duro trumpiano sia superiore a quello democratico, la partita era aperta perché Harris poteva convincere una massa di indecisi negli stati incerti che gli avrebbe garantito la Casa Bianca. Invece, tanti indecisi hanno votato Trump e altri sono rimasti a casa.
Negli Stati Uniti, gli exit poll non hanno la funzione di anticipare il risultato elettorale, ma quella di capire le differenze di voto tra i segmenti della popolazione. Gli exit poll del Washington Post ci aiutano, quindi, a comprendere meglio le motivazioni della sconfitta di Harris.
Le priorità espresse dagli elettori americani rappresentano il dato più interessante. Nei dibattiti si è molto parlato della politica estera e dell’immigrazione, considerati una priorità solo dal 15% degli intervistati. Il diritto all’aborto e la tenuta della democrazia (i temi su cui Kamala Harris si mostrava in una posizione di forza) appaiono più importanti. Peccato che, chi vota in nome della democrazia ha solide basi ideologiche e non ha bisogno di essere convinto dal candidato.
L’economia è il tema che può maggiormente spostare gli elettori ed è considerato prioritario dal 35% della popolazione. Questo rappresenta il tallone d’Achille di Harris. Due terzi dell’elettorato pensa infatti che l’economia statunitense sia disastrata, per cui tanti non vedono l’ora di cambiare corso.
L’economia
Al tempo stesso, i dati ci mostrano un’economia in salute, con il PIL che cresce attorno al 3% e un tasso di occupazione al 4% (praticamente la piena occupazione). Noi europei saremmo lieti di avere questi dati. La grande immissione di denaro effettuata da Joe Biden per sostenere gli investimenti verdi sembra aver dato i suoi frutti. La Casa Bianca ha scelto di finanziare la riconversione energetica con gli investimenti pubblici, in modo da non far ricadere i costi diretti sui ceti medio-bassi della società.
Sfortunatamente, ciò ha avuto un costo indiretto sulle stesse classi sociali, ovvero l’inflazione. Come in Europa, l’inflazione statunitense ha avuto un picco nel 2022 per poi calare progressivamente e raggiungere la misura attuale, attorno al 2% (un tasso fisiologico).
In Europa, l’inflazione è stata generata dalla dipendenza dal gas russo, creando lo scenario peggiore, ovvero la stagflazione (crescita dell’inflazione e stagnamento del PIL). Negli Stati Uniti, invece, si è verificata una naturale legge economica chiamata “curva di Phillips”. Quando l’economia funziona e il tasso di disoccupazione si abbassa, l’inflazione si alza naturalmente.
Il problema non è preoccupante, ma non può essere ignorato. Trump ha attaccato Harris durante il dibattito dicendo che la presidenza Biden è la peggiore di sempre a causa dell’inflazione. Harris ha fatto scena muta, perdendo l’occasione di spiegare agli americani che questi sacrifici sono transitori e sono necessari per ottenere maggiori posti di lavoro e redistribuire la ricchezza verso il basso. Ciò, gli avrebbe dato l’opportunità di promuovere un forte adeguamento dei salari.
La sinistra
Sembra che Harris e il suo team abbiano dato per scontato che gli elettori conoscessero la curva di Phillips e potessero ragionare di conseguenza. Così, ci ha sbattuto contro, vanificando gli sforzi dell’amministrazione di portare avanti politiche economiche keynesiane. Per questo, sono scettico di fronte a tante analisi che dicono che l’amministrazione Biden non è stata abbastanza di sinistra. Queste analisi sembrano concentrarsi sulla politica estera, tema che non ha avuto peso nelle decisioni dei cittadini americani.
In economia, Biden ha attuato una chiara e giusta inversione di tendenza, facendo tornare lo stato protagonista dopo decenni di liberalizzazioni selvagge, rigori di bilancio e tagli al welfare. Ha inoltre provato a redistribuire ricchezza con riforme (come la cancellazione del debito studentesco) spesso bloccate dai repubblicani e da una Corte Suprema spostata a destra. Ma sembra aver sottovalutato i costi delle politiche keynesiane, non prevedendo alcun correttivo all’inevitabile inflazione.
Al momento, la sinistra europea non sembra ancora interessata a deviare dal rigore di bilancio. Qualora rinsavisse, dovrebbe prendere appunti, analizzando gli errori di Biden per coniugare consenso e investimenti green.
I diritti
I diritti sono un altro fattore importante. In Europa non siamo in grado di uscire dall’eterno dibattito che contrappone diritti civili e sociali, spesso sostenuto da chi non vuole né gli uni né gli altri. Il dibattito negli Stati Uniti sembra essersi avvitato così tanto da innescare anche una battaglia tra diversi diritti civili. Rispetto a 4 anni fa, l’elettorato ispanico ha infatti votato in misura nettamente minore per il partito democratico.
Come se gli immigrati ispanici di seconda e terza generazione avessero sostenuto Trump liberandosi dalla loro appartenenza etnica e abbracciando quella religiosa. In pratica, hanno sostenuto il predicatore Trump contro la pericolosa Harris, paladina delle donne e dei diritti LGBT+.
Se la destra ha gioco facile a mettere le minoranze l’una contro l’altra, la sinistra si deve invece porre l’obiettivo molto più complesso di tenerle insieme. Un obiettivo che presto dovrà porsi anche la sinistra europea.
Nessun commento
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.