Roberto Benigni in un'immagine tratta da “Un uomo nel Vento” spettacolo dedicato a Pietro e realizzato in Vaticano

Religione

Amore vs Odio: una vecchia distorsione religiosa nello spettacolo vaticano di Benigni

31 Dicembre 2025

Roberto Benigni ha offerto al pubblico italiano un lungo monologo dedicato all’apostolo Pietro, intitolato Pietro – Un uomo nel vento. Lo spettacolo è andato in onda su RaiUno in prima serata il 10 dicembre ed è disponibile su RaiPlay. L’evento ha riscosso qualche successo di pubblico, anche se alcune recensioni ne hanno messo in luce diverse criticità. Il testo ideato da Benigni ripercorre le vicende di Gesù di Nazareth e di Pietro, un pescatore di Cafarnao, sulle rive del lago di Tiberiade. L’attore e regista toscano, già premio Oscar con il suo La vita è bella, sceglie di incentrare l’intera narrazione sul tema dell’ “amore”, un concetto su cui si sofferma dall’inizio alla fine delle due ore di recitazione.

Come tutti gli eventi di questo tipo, concediamo volentieri all’attore e Autore il privilegio della scelta del taglio tematico e comprendiamo le necessità sceniche proprie dello spettacolo. Non possiamo, cioè, pretendere rigore filologico e storico in quello che è a tutti gli effetti (anche in grazia del luogo scelto per l’evento, i bellissimi ed esclusivi giardini Vaticani) una rappresentazione teatrale. Non mi soffermerò, quindi, sull’azzardo di una ricostruzione biografica di un personaggio fondata su testi la cui valenza storica è da dimostrare. Né avanzerò critiche sulle informazioni offerte al pubblico a proposito degli ipotizzati trent’anni trascorsi dal pescatore di Galilea a Roma (così Benigni). Un tema su cui mi sembra abbia già scritto parole definitive Roberto Guidotti. 

Desidero invece soffermarmi su due scelte compiute da Benigni nella sua rappresentazione di Pietro: la prima, intesa ad attribuire a Gesù e al cristianesimo il diritto d’autore originario del concetto di “amore” nella religione e nei rapporti tra esseri umani; la seconda, quando si è voluto contrapporre al tema dell’amore il concetto di “odio”. Si tratta di due scelte che a me sono sembrate al contempo inutili e dannose, quando non pericolose e in definitiva false. Mi sembra qui fondamentale ribadire ancora una volta (evidentemente ce n’è bisogno) che l’immaginario concettuale e rituale da cui partiva Gesù di Nazareth nella sua predicazione e nella sua azione era quello ebraico. Un mondo fatto di testi, di norme e di comportamenti sociali nel quale il concetto di “amore” (di Dio per gli uomini e degli uomini per Dio, oltre che nelle relazioni tra donna e uomo e nei rapporti amicali) era ben presente e variamente articolato. Si vedano a questo proposito le belle lezioni di Catherine Charlier tenute presso l’Istituto cattolico di Parigi e raccolte nel volume L’amore nell’ebraismo. Filosofia e spiritualità ebraiche (Giuntina, 2016). Per quel che riguarda poi il concetto di “odio”, credo sia necessario ricordare che viviamo in un’epoca in cui questa parola dovrebbe essere maneggiata con molta attenzione. Da quasi vent’anni la diffusione dei “social” ha dimostrato quanta forza di penetrazione nelle azioni e nelle coscienze umane ha questo sentimento negativo, tanto che le istituzioni hanno deciso da tempo di intervenire promuovendo leggi che tentano di limitarne la diffusione. Il più importante provvedimento in questo senso è il Digital Services Act (DSA) promulgato dal Parlamento europeo nel 2022 con l’intento di regolamentare la diffusione dei linguaggi aggressivi sulle piattaforme internet. Si tratta di una vera e propria emergenza sociale, che chiede gesti di responsabilità da parte di tutti noi. Attori e mondo dello spettacolo compresi.

Nello show televisivo di Benigni dedicato a Pietro in questione si sono fatte a questo proposito scelte discutibili. Al minuto 52.40 si propone una netta contrapposizione, con espressioni che acuiscono e a tratti distorcono le parole stesse dei vangeli: “Gesù comincia ad essere odiato sempre di più… i sacerdoti soprattutto, le autorità religiose come i farisei, i maestri della legge, quelli che custodiscono la tradizione religiosa degli ebrei e stanno sempre lì a controllare che tutto sia nei precetti… ma anche gli scribi, che sono gli intellettuali dell’epoca, i cosiddetti dottori della legge… e poi il sinedrio, che è la più alta autorità religiosa ebraica che funziona come una specie di parlamento. Tutta questa gente comincia a odiare Gesù fino a desiderarne la morte, perché ha paura”. Sono concetti forti, che generano nel pubblico l’impressione di una contrapposizione netta. L’odio contro l’amore, le autorità ebraiche contro Gesù e i suoi discepoli. Si tratta di una visione molto vecchia, generata da una narrazione che non solo la Chiesa cattolica (dalla dichiarazione Nostra Aetate in avanti) ma la gran parte delle Chiese cristiane nel mondo hanno da tempo sconfessato e lasciato alle spalle. Una narrazione che nei secoli ha generato un profondo antigiudaismo, ancora radicato e così difficile da estirpare. L’ebreo Gesù, figlio di un falegname di Nazareth, in Galilea, non si vede in questa narrazione. Come non si vede il pescatore Shimon figlio di Jonah (poi Pietro, l’apostolo), sfortunato lavoratore del villaggio di Kfar Nahum (Cafarnao nella versione greca), sulle rive del lago di Tiberiade. E non si vedono i seguaci di Gesù che vengono narrati dai vangeli, tutti ebrei di quei luoghi, che nella narrazione di Benigni sono trasfigurati in un concetto generico e astratto (la “gente”) che temo noi tutti abbiamo ereditato dal linguaggio politico berlusconiano.

Chi è impegnato nel dialogo ebraico-cristiano si rende spesso conto della difficoltà che si incontra a ragionare nel solco di un riconoscimento delle letture e delle tradizioni delle diverse culture religiose, nel tentativo di contrastare antiche narrazioni che distorcono il passato e provocano contrapposizioni e sentimenti negativi. Si tratta di difficoltà ancora ben presenti, che potrebbero essere combattute anche con gesti semplici come il ricordare che le parole usate da Gesù per affermare la necessità di amare il prossimo come sé stessi, sono certamente rivoluzionarie, ma non sono altro che una citazione del verso biblico “Non ti vendicherai né coverai rancore contro i figli del tuo popolo. Amerai, invece, il tuo prossimo come te stesso”. (Levitico 19,18). Cancellare la tradizione ebraica, relegandola a un passato di “odio” da contrapporre all’amore, non può far bene al nostro futuro. Sono certo che Roberto Benigni, che ha sempre dimostrato grande sensibilità umana battendosi con decisione proprio contro la diffusione dei messaggi d’odio, saprà trovare il modo di promuovere sul tema dell’ “amore” letture più appropriate e – da par suo – intriganti.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è anche piattaforma di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.