Letteratura
Un Cristo per i nostri giorni: la poesia di De André e Pasolini
Nelle librerie il volume “Dio è gratis, il prossimo costa”, cioè il Vangelo secondo De André e Pasolini, scritto da Alfredo Franchini, affronta in modo originale e inedito i punti di contatto tra i due poeti sui temi della solidarietà, la pace e l’uomo nel nostro tempo
GENOVA _ Pier Paolo Pasolini e Fabrizio De André, un rapporto inatteso e sorprendente. Ricco di analogie poetiche, spirituali e politiche tra due artisti e intellettuali, tra i più grandi del nostro Novecento. A svelarlo in un libro che durante l’anno in corso ha presentato in incontri e dibattiti, lungo tutto lo Stivale, è il giornalista Alfredo Franchini, amico di lunga data del cantautore genovese e autore di volumi come “Uomini e donne di Fabrizio De André” (Frilli editori) e “Questi i sogni che fanno svegliare. Storia di un impiegato, l’opera rock di Cristiano De André” (Arcana editrice). E ora una ricognizione ardita e stimolante dentro l’opera e il pensiero dei due grandi poeti attorno al Vangelo. “Due atei a modo loro che hanno sentito il bisogno di raccontare Cristo come uomo in una visione del mondo di tipo epico religioso”, così si legge nelle note di copertina di (155 pg, 16 Euro)pubblicato per i tipi di Arcana. Partendo da punti di vista diversi, anarchico quello di De André, marxista per Pasolini, giungono verosimilmente ad un messaggio comune. Il primo affrontando i testi apocrifi, il secondo analizzando a fondo quello di San Matteo. In questo modo scruta e scopre l’autore nel prezioso fardello di testi poetici di entrambi scritti per canzoni e altro (film etc…).
Dopo aver raccontato il viaggio dentro l’opera dei due poeti Alfredo Franchini s’interroga sulla figura di Cristo dentro la società contemporanea: “nell’intreccio millenario tra religione ed economia”. Le risposte probabili sono che, mentre per Pasolini “l’immagine è sdoppiata tra una figura estremista o vista come tale dai poeti cattolici credenti, e un’altra convenzionale, pura figura di potere, quella di De André invece “è probabilmente quell’uomo che, incontrando gli ultimi della società si riconosce in loro”.

Non sono questioni campate in aria. Nella sua stessa introduzione al volume l’autore riconosce come “l’umanità si trova per la prima volta a vivere senza religione: la Chiesa è in crisi e il cristianesimo non è in grado di affascinare le anime dei giovani”. Il genocidio del popolo palestinese perpetrato dall’esercito israeliano e voluto dal governo di Netanyahu a Gaza, l’aggressione al popolo ucraino compiuto dalle armate russe inviate da Putin testimoniano come la guerra stia minacciando di nuovo l’esistenza stessa dell’umanità. Difficile orientarsi e riconoscere il prossimo e non capire che con la globalizzazione tutto è ormai in vendita.
In questo “La Buona Novella” di De André e “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini rappresentano due opere di speranza e non di utopia. Per quale motivo?
“Il Vangelo per De André e Pasolini – afferma Alfredo Franchini – è prima di tutto una grande opera intellettuale. Vorrei fare una premessa: in tutte le loro opere c’è una forte spiritualità e questa non è esclusiva di nessuna Chiesa o delle religioni ma appartiene alle espressioni della cultura umana; quindi, anche agli atei, agli agnostici e agli indifferenti. De André ePasolini – se può passare l’ossimoro – erano due “miscredenti devoti” per cui non ci parlano del Gesù delle sacrestie ma dell’uomo che si mise a capo di una rivolta pacifica. Esiste una contrapposizione assurda tra il laicismo e il cattolicismo; molti indicano il laico come non religioso e non è così: laico è l’orientamento complessivo del modo di vedere la vita. Anche nel linguaggio religioso la parola laico designa chi non fa parte del clero ma è credente. Per De André e Pasolini, i quali non credevano nelle rivoluzioni, c’è solo un rivoluzionario nella storia ed è Gesù.

Hanno scritto del sacro e la figura di Cristo la ritroviamo in tante canzoni, una su tutte “Il Pescatore”, e in tanti film di Pasolini: il personaggio di Accattone, ad esempio, si può riferire direttamente a Gesù. Il Cristo-Messia diventa un Cristosociale, il grido dell’uomo crocifisso è quello disperato sulla inutilità sociale del suo sacrificio. Tutto quello che hanno scritto De André e Pasolini avrebbe un messaggio di speranza a patto che fosse recepito quanto dicono i Vangeli. Purtroppo, la locuzione “ama il prossimo tuo”, cioè il fondamento di quel messaggio, per motivi economici ma soprattutto culturali, è diventato il contrario: tieni a distanza il prossimo, nel migliore dei casi o nel peggiore colpiscilo, uccidilo. Non c’è Utopia e peraltro mi piace ricordare che alla caduta del Muro di Berlino De André celebrò nella “Domenica delle salme”, che è poi il requiem del Novecento, il funerale del defunto ideale. In un verso, infatti, parla del “cadavere di Utopia”“.
De André e Pasolini, due poeti e maestri di vita con una formazione diversa ma con un agire culturale identico. Cosa condividono il Cristo delle periferie di Pasolini e quello degli ultimi di De André? E perché rappresentano una novità rispetto al passato?
“Il loro Cristo è l’esempio più alto per la passione e la sofferenza degli esclusi, quelli che oggi vengono definiti persino scarti o carichi residuali così come il ministro degli interni etichettò i sopravvissuti a un naufragio. Pasolini e De André hanno in Cristo lo stesso modello di comportamento nel rapporto con il mondo. La visione delle periferie romane e di quei viottoli della vecchia Genova, nei quartieri “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, come scrive Fabrizio, è sacra, è il fulcro di una rivoluzione sociale. Nelle loro opere c’è una tensione esistenziale nei confronti del divino. Rispetto al passato direi che entrambi rompono gli schemi e lo fanno in modo così forte che all’uscita della “Buona novella” e del “Vangelo secondo Matteo” subiscono critiche feroci. De André scrive dei vangeli apocrifi nel 1969, in piena lotta studentesca e per questo viene frainteso da chi considerava quel disco anacronistico. Non avevano capito che si trattava di un’allegoria nel paragone tra le istanze più giuste del Sessantotto e quelle dei giovani in rivolta. Lo stesso accade per il film di Pasolini, accusato dalla destra di blasfemia e dalla sinistra di aver usato la figura di Cristo in modo provocatorio o addirittura ruffiano. A difendere il poeta fu Jean Paul Sartre, il quale intuì il pericolo che Pasolini stava correndo nel trasmettere le verità scomode. A onore del vero le due opere furono recepite da Radio Vaticano che trasmise alcuni pezzi della “Buona novella” e dai frati di Assisi che sostennero Pasolini. La realtà è che i due poeti, non avendo mai seguito le mode, sono sempre stati inattuali e così le loro opere, i dischi, i romanzi, i film e tutti i loro scritti ci raccontano ancora il mondo di oggi, ci aiutano a interpretare l’attualità”.

Qual è il rapporto con la religione e la Chiesa da parte dei due poeti?
“Non ci sono dubbi che i rapporti con la Chiesa siano stati tempestosi. De André arrivava a paragonare tutte le chiese alle organizzazioni mafiose. E del resto, don Gallo, fondatore della Comunità di San Benedetto al porto di Genova che accoglie le persone in difficoltà e che ai quattro vangeli ufficiali aggiungeva quello di Fabrizio, ha sempre sostenuto che la chiesa può dirsi cristiana solo se è umana, laica e povera. Fabrizio era un panteista, nel senso che poteva trovare il sacro in ogni cosa anche nelle pietre di Tempio. Per lui il cattolicesimo severo portava alla formazione di una personalità auto repressiva e frustrata; l’auto repressione di natura evangelica, il “non fare il male” si tramuta in repressione e in oppressione altrui. Gesù – ricordava Fabrizio – non ha fondato uno Stato e nemmeno la capitalizzazione delle elemosine. All’inizio degli anni Sessanta si trovò a polemizzare con la Chiesa che vietava il funerale ai suicidi e lo fece con due canzoni: prima con la “Ballata del Miché” e poi con “Preghiera in gennaio” scritta nella notte in cui Luigi Tenco si uccise. Pasolini, a sua volta, critica la Chiesa come istituzione perché ha tradito il messaggio di Cristo e ha esercitato un potere rovinoso. La speranza del poeta di “Ragazzi di vita” era che la Chiesa diventasse una guida dell’opposizione alla società in cui si intravedeva l’avanzare della disumanizzazione a cui siamo arrivati. Una speranza che ebbe sino alla realizzazione del film “Uccellacci e uccellini” in cui il Vangelo non è visto come un apporto ma come un’alternativa all’ideologia marxista non solo per i problemi sociali ma anche esistenziali. Eravamo alle soglie degli anni in cui ci sarebbe stata una mutazione antropologica degli italiani. Per Pasolini la speranza svanisce al compimento dei cinquant’anni: è allora che sente di dover abiurare parte del lavoro fatto in trent’anni di raccolte, poesie, romanzi, scritti per il teatro, film, articoli per i giornali. E lo fa perché quello che ha scritto non è più in grado di dar conto di una realtà che in quegli anni è mutata con una velocità maggiore rispetto agli strumenti del letterato. Devo dire che è raro trovare un intellettuale che abbia il coraggio di abiurare, in genere un letterato si vanta sempre di aver capito tutto…”

Anni Settanta. Idee di rivoluzione, consumismo, politica. Lo sguardo critico e scomodo di due intellettuali controcorrente nelle opere “Petrolio”, “Le Nuvole” e “Anime salve”.
“Stiamo parlando di tre opere di poesia civile, tre punti fermi nella poetica di Pasolini e De André. Tra le pagine purtroppo incompiute di “Petrolio” c’è una lettera scritta a Moravia e non sapremo mai se quel testo facesse parte del progetto. Pasolini spiega di voler allargare la dimensione di romanzo e premette che si tratterà di un libro redatto con un “altro linguaggio”. Non vuole far confliggere come aveva sempre fatto un’idea con un determinato genere letterario o un esperimento narrativo; cerca una forma di scritto nella quale possa riversarsi tutto ciò che ha imparato nella vita. Siamo nell’estate del ’72 e lui avverte che la storia italiana sta cambiando di pari passo alla sua: ha compiuto mezzo secolo e oggi no, perché sembra che l’adolescenza si sia prolungata, ma in quegli anni era il momento del bilancio di un’esistenza, una linea d’ombra. “Petrolio” è il preambolo di un testamento con una trama fantastica con elementi della letteratura di invenzione che si intrecciano con un’analisi realistica di quello che stava accadendo e che sarebbe accaduto. Pasolini pensa a un finto romanzo con un vecchio trucco: scrivere un’edizione critica di un antico testo ritrovato, un gioco di filologia. Però il destino tragico trasforma quello che voleva fare nella realtà, un uomo assassinato si lascia necessariamente un frammento. In “Petrolio” prende vita un personaggio indimenticabile della letteratura del Novecento: Carlo Valletti che, come accade in tanta letteratura classica, si sdoppia. È un trucco tra i più potenti della narrazione, (pensiamo al “Jekyll e mister Hyde” di Robert Louis Stevenson o al “Sosia” di Dostoevskij), ma Pasolini lo usa in modo particolare. I due “Carli” sono all’opposto: uno scala il potere nel periodo della massima espansione dell’Eni di Mattei e l’altro si addentra nella notte ed è più legato al popolo, non certo alla borghesia industrial-finanziaria-politica. Una curiosità spaventosa: in “Petrolio” Pasolini anticipa la strage alla stazione di Bologna e la descrive come sarebbe avvenuta cinque anni dopo.

Una capacità profetica che aveva anche Fabrizio De André e ne abbiamo un esempio nelle “Nuvole”, uno dei dischi più politici che abbia mai fatto. Le nuvole non sono un fenomeno atmosferico ma rappresentano quei personaggi ingombranti che si frappongono nel cielo e non ci permettono di vedere il sole. Il disco che nelle intenzioni doveva essere satirico e poi nel corso di sei anni della gestazione ha cambiato colore, rappresenta il requiem del secolo. Il muro di Berlino era appena caduto e, mentre noi festeggiavamo, Fabrizio ci parla nella “Domenica delle salme” di una “pace terrificante”, dei polacchi inginocchiati ai semafori e persino della “scimmia del quarto Reich”. Infine, la trovata, tutta di Fabrizio, di rappresentare la protesta degli italiani con un canto delle cicale… Passeranno sei anni dalle “Nuvole” ad “Anime salve”. Se prima si ipotizzava la possibilità di un cambiamento, ora le disuguaglianze dilagano. Da una parte ci sono le merci e dall’altra le persone, esplodono le contraddizioni del capitalismo. L’economia reale cede il passo alla finanziarizzazione e alla disumanizzazione. Sempre nelle “Nuvole” c’è un brano, si chiama “Ottocento”, in cui Fabrizio ci parla di un turpe commerciante che pensa di fare soldi vendendo persino fegati e polmoni… “Anime salve”, invece, è un disco sulla solitudine, quello stato che se è conseguito per scelta ci permette di entrare in contatto col circostante ma dev’essere una scelta perché la solitudine – diceva Fabrizio – non se la possono permettere i vecchi, i malati o il politico, il quale ha bisogno di noi. Noi ne potremmo fare a meno ma lui no…”
Nello studio comparato da lei attorno ad alcune opere di De André e Pasolini cosa è emerso come comune filo rosso di un messaggio laico del Cristo? E come, dopo la loro scomparsa, appare nella nostra società la figura di questo profeta?

“C’è stata una progressiva privatizzazione delle nostre esistenze. Sono venuti meno i fattori che creavano appartenenza e quindi anche il riconoscimento dell’Altro, così si spiega il titolo del mio libro. Un po’ per fattori economici ma soprattutto per motivi culturali, è aumentata la diffidenza e la paura. Noi giornalisti dobbiamo riflettere su come i nuovi media stiano veicolando il sentimento della paura e dell’odio. Il prossimo non è più un soggetto da conoscere, magari portatore di novità come accadeva nell’antichità, ma è qualcuno da temere. C’è un profondo mutamento nel cristianesimo perché “ama il prossimo tuo” è un punto fermo della civilizzazione, è l’etica della fratellanza che troviamo anche in altre religioni sia pure declinata in modo diverso. Uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere il libro è l’immagine dei politici che brandiscono la croce prendendosi gioco del pensiero profondo che sta dietro quel simbolo. È facile “amare il simile”, più difficile riconoscere il differente. Eppure, nell’antichità, Ulisse viene accolto perché lo straniero era considerato portatore di novità. Al giorno d’oggi i populismi sfruttano il cristianesimo e i partiti di destra hanno una prospettiva ideologica basata su posizioni contrarie: contro l’Islam, contro i migranti, contro la scienza.”
Società sotto accusa. Petrolio come moderno Satyricon. Come sarebbe giusto comportarsi secondo Pasolini e De André?
“Quando Pasolini parla di “Petrolio” come di un moderno “Satyricon” non lo fa perché il libro “Petrolio” è un’analisi satirica della società dei tempi di Nerone ma perché ha un bellissimo pezzo che è la cena di Trimalcione e altre pagine sublimi. Pasolini non è un intellettuale che rifiuta il ruolo di chi scrive su un quotidiano della borghesia ma si addentra dove i suoi compagni di viaggio non sarebbero mai andati. Siamo tutti partecipi alla grande cena del neocapitalismo o come scrive De André in “Storia di un impiegato” siamo tutti coinvolti in una società dove le merci non conoscono confini ma le persone sì. Come ci si deve comportare? A questa domanda Fabrizio ci rispose che prima di Socrate e di Gesù erano riconosciuti quattro impulsi primari: la nutrizione, la continuazione della specie, quello al saccheggio di cui peraltro continuiamo ad avere ampie prove…Il quarto impulso è quello alla compassione che, a giudizio di Fabrizio, è stato sopito dalla morale quando si tratta di un impulso connaturato all’animo umano”.

Il mondo in una canzone. Musica e poesia, le ballate di De André e l’universo musicale poco conosciuto di Pasolini.
“Dentro i tredici dischi di Fabrizio c’è il mondo e ci siamo tutti noi. C’è la morte psicologica di chi non mostra segni di pietà, c’è la vita di chi ha truccato le carte per sopravvivere, c’è l’amore inseguito come eterno e sempre smentito dal caso. De André era curioso di tutte le persone con cui si trovava a parlare e aveva una memoria incredibile: ricordava storie e volti delle persone viste vent’anni prima. Per cui è facile per molti amici ritrovarsi in qualche verso… Le canzoni nascevano in modo molto elaborato tanto che a leggere la prima stesura è difficile capire quale fosse il processo creativo. Solo in pochissimi casi i versi sono nati di getto, nel giro di poche ore: ricordo “Amico fragile” e “Preghiera in gennaio”. Alcune sono canzoni-manifesto: penso alla “Cattiva strada” e alla “Città vecchia”. La prima ci mette in guardia dal carisma di alcuni personaggi che si fanno seguire facilmente; la seconda è una sorta di girone dantesco che rivela il pensiero di Fabrizio De Andrè: c’è poco merito nella virtù e poca colpa nell’errore. Ma quello che contraddistingue il canzoniere deandreiano è l’estrema coerenza di pensiero, dal primo brano sino all’ultimo. Volendo fare una forzatura ed esaminare gli uomini e le donne di De André si può constatare che le donne sono tutte vittime di tre sacrifici: la verginità, la maternità e la prostituzione. Gli uomini, purtroppo, sono sopraffattori o diseredati. Anche Pier Paolo Pasolini amava la musica: da giovane prese lezioni di violino e avrebbe voluto essere scrittore pure sul pentagramma. Nei suoi film la musica è uno strumento essenziale per l’azione, il poeta ascolta le note e percepisce i suoni come segnali dell’esistenza. Ha una predilezione assoluta per Bach del quale scriverà un saggio critico. In realtà non ama solo la classica, ha interesse per le canzoni popolari e per i suoni etnici. Scrive canzoni per Laura Betti e Modugnoe autorizza Endrigo a mettere in musica alcune sue poesie. Un aspetto trascurato è il Pasolini celebrato da diversi artisti del rock americano e britannico; su tutti Patty Smith, Morrissey, Scott Walker e un quartetto di Londra, Suede, che attinge a piene mani dalle opere del poeta.

Il nomadismo di De André e la visione pasoliniana di un “potere che si incarna nel dominio della finanza turbo che arricchisce chi è già molto ricco”. Il simbolo del denaro e il radicalismo evangelico di Gesù.
“L’album “Anime salve” è l’ultimo disco di Fabrizio De André ma è anche il testamento spirituale. “La smisurata preghiera” con cui chiude il suo canzoniere ci avvisa che stiamo procedendo verso un mondo di pochissimi ricchi di fronte a miliardi di persone che ci ostiniamo a chiamare minoranze. Di fronte a questa umanità troviamo maggioranze abituate a contarsi e pronte a eliminare chi la pensa diversamente. Politici distanti dalle cose che accadono, scrive De André, che poi è quello che si sta verificando oggi: dopo i fatti è scomparsa la realtà soffocata da una massa di informazioni artefatte. Il potere è diventato accattivante, come aveva previsto Pasolini. Sono scomparse le fabbriche e il neoliberismo ha fatto credere ai giovani che possono essere imprenditori di se stessi. Vogliono farci credere che il lavoro sia dappertutto, che ciascuno è dipendente di se stesso. Il risultato è che se prima l’operaio era sfruttato dalla fabbrica ora si sfrutta da solo… E se fallisce la colpa non è dell’azienda ma deve incolpare se stesso. Le tecniche del potere hanno portato alla sottomissione delle persone. L’economia reale ha ceduto il passo alla finanza e si può arrivare al paradosso: uno dei Fondi che ha in portafoglio le multinazionali, con bilanci superiori a quelli di alcune nazioni, dopo aver acquisito le imprese di armi si può trovare a finanziare gli ospedali per curare i bambini mutilati dalle bombe. Non si tiene conto che nell’ultimo secolo tutte le volte che un investimento finanziario ha reso più di quello industriale o agricolo si è verificato un forte declino. Pasolini e De André sono stati profetici e il profeta è sempre stato scomodo perché il potere non ama le profezie che sanno di denuncia. De André ePasolini hanno visto nel denaro il simbolo della nuova religione. È il motivo per cui in “Anime salve” Fabrizio vede di buon occhio chi sa galleggiare ai margini del benessere, chi sta lontano dai bisogni indotti. A questo proposito voglio ricordare un aneddoto: nel 1978 De André si trasferì dalla casa presa in affitto due anni prima nel centro di Tempio all’Agnata che però era ancora in ristrutturazione e l’Enelnon aveva ancora portato la corrente. Si procurò un generatore che funzionava dalla mattina e si esauriva all’imbrunire. Significava stare al buio tutta la notte ma Fabrizio si attrezzò con le candele e mise dei pezzi di carta bianchi in casa per orientarsi al buio. Mi disse che quel periodo che per molti di noi sarebbe stato insopportabile era stata una fortuna: aveva imparato ad ascoltare i suoni della notte e soprattutto aveva realizzato che molti bisogni sono indotti. Di lì a poco avrebbe scritto “Quello che non ho è quel che non mi manca” “.

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