Partiti e politici
L’antisemitismo è una cosa seria, la politica italiana che lo usa no
Si è molto parlato, nei giorni scorsi, di un disegno di legge depositato da alcuni parlamentari del Partito Democratico, che si pone come obiettivo la lotta all’antisemitismo e, più precisamente, la lotta ai sentimenti e alla propaganda anti-ebraici. In realtà, a prendersi la scena molto rapidamente sono state le polemiche, tutte interne al Pd, che questo disegno di legge ha generato (o delle quali è figlio), ed è invero piuttosto singolare, visto che l’argomento trattato dalla legge, data la rilevanza storica e simbolica, avrebbe meritato di essere affrontato, sviscerato, discusso in sè e per sè. Infatti, si tratta di norme “per la prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo e per il rafforzamento della Strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo nonché delega al Governo in materia di contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme online”. Le questioni evocate, fin dal frontespizio della proposta di legge, sono importanti, diremmo imponenti, come è pesante, nel piccolo agone della politica interna, la prima firma di Graziano Delrio e diverse altre tra quelle dei cofirmatari. Senza fare torto a nessuno, citeremo solo quella di Pieferdinando Casini, ex presidente della Camera, già “quasi Presidente della Repubblica”, tra gli ultimi depositari del carisma democristiano che, a lento rilascio, continua ad avere un ruolo importante nella politica del nostro paese e nei gangli dello Stato.
Partiamo, brevemente, dal fondo. Il disegno di legge sull’antisemitismo, firmato da una dozzina di parlamentari eletti ed elette tutti col Partito Democratico, ha scatenato un’immediata polemica, tutta interna al loro partito di elezione. A dividersi lungo l’asse dei favorevoli – i firmatari e i loro “vicini” – e i contrari sono state in fondo le componenti in eterna lotta all’interno del Partito Democratico: dalla parte di chi propone la legge gli avversari interni della segretaria Elly Schlein – non tutti gli avversari che ha, solo alcuni tra i più agguerriti e coerenti – e dall’altra parte alcuni tra i suoi più espliciti e devoti pretoriani. Su una legge che ha per materia il contrasto dell’antisemitismo la divisione interna al primo partito di opposizione è pressoché aderente alla spaccatura interna al “dibattito” sulla leadership del partito di Elly Schlein. La simmetria tra pro e contro la segretaria, e pro e contro il DDL, è diventata millimetrica quando quattro parlamentari che stanno nella maggioranza del partito – Nicita, Martella, Lorenzin e Valente – hanno ritirato la firma, dopo le pressioni e le critiche arrivate da dirigenti la cui voce è considerata quella della segretaria, che in questi anni è stata attentissima a non urtare o criticare mai il fronte pro-Pal, nemmeno nelle sue frange più accese, quelle che per esempio ritengono Israele uno stato criminale tout-court, da sempre e per sempre. Piccolissimo trotto politicista, per una questione – l’antisemitismo – che ha fatto la storia degli orrori del Novecento, ed è una minaccia permanente alle fondamenta della nostra convivenza civile e democratica, essendo la matrice del razzismo occidentale, anche degli altri razzismi, non meno diffusi nè meno distruttivi.
Al di là della polemica e della strumentalità politica che evidentemente circondano questo disegno di legge sull’antisemitismo, è dunque interessante entrare nel merito del Disegno di Legge sull’antisemitismo. Anzi, dovremmo direi dei disegni di legge, visto che quello di Delrio è l’ultimo di una breve ma significativa serie, avente per oggetto sempre il contrasto dell’antisemitismo. Nel pieno dell’estate, il primo a proporre un progetto di legge in materia è stato il deputato di Italia Viva Ivan Scalfarotto, seguito poche settimane dopo da Maurizio Gasparri. Il progetto Gasparri è il più duro dei tre, e l’unico che interviene addirittura con lo strumento del diritto penale, sanzionando esplicitamente con la minaccia del carcere anche chi nega a Israele il diritto di esistere, intervenendo in maniera estensiva sulla norma già esistente sull’odio razziale, aggravando però ulteriormente la pena per l’odio antiebraico. La norma attuale, che ovviamente già copre e sanziona le condotte antisemite, viene rafforzata con una specifica attenzione all’odio anti-ebraico. In sostanza, la proposta Gasparri qualora diventasse legge sancirebbe che l’antisemitismo è peggio degli altri razzismi, e che la legge italiana dovrebbe punirlo in maniera più grave.
Le due proposte di legge dell’opposizione, quella Scalfarotto e quella Delrio, sono molto diverse nella scelta degli strumenti, ma condividono con quella di Gasparri diversi assiomi di fondo. Anzitutto, evidentemente, entrambe ritengono che una legge ad hoc sia lo strumento adatto per contrastare l’antisemitismo come fenomeno a sè stante, rispetto al razzismo in generale. Come la proposta di Gasparri, fanno riferimento alla definizione di antisemitismo dell’Alleanza internazionale per la Memoria dell’Olocausto. A differenza della Gasparri, però, non usano lo strumento del diritto penale, non propongono cioè il carcere per nuove fattispecie o pene più gravi per condotte anti-semite. Tuttavia, nella proposta di Scalfarotto si prevede una teorica estensione del divieto di manifestazione e si insiste sulla formazione di polizia e forze dell’ordine. In sostanza, una norma generale e astratta che consente alle autorità di pubblica sicurezza di vietare una manifestazione, viene declinata esplicitamente con riferimento alla legge in questione, e in particolare con la discussa definizione di anti-semitismo scelta dalla legge come base dell’intero dispositivo giuridico. La proposta di Scalfarotto e quella di Delrio – a differenza di Gasparri, che non menziona internet nè i social network – condividono anche la velleitaria previsione di un intervento diretto e specifico sulle grandi piattaforme, addirittura lanciandosi nel dettaglio – è il caso della legge che ha scatenato la polemica nel Pd – di prevedere un apposito tasto di segnalazione per “antisemitismo” sui social network. Che quindi dovrebbe aggiungersi a quelli per segnalare l’incitamento all’odio razziale, ancora una volta sperando l’antisemitismo dagli altri razzismi. L’idea di costringere Meta a mettere il tasto che vogliono un manipolo di parlamentari italiani suona piuttosto ingenua, un po’ da boomer, direbbero quelli più giovani di noi.
Questo è dunque il dibattito che abbiamo. Due parole sul dibattito che sarebbe invece bello e necessario avere, anche incorporando alcune autorevoli critiche che abbiamo pubblicato sulle nostre pagine. Sarebbe bello che il parlamento italiano fosse luogo di elaborazione avanzata di una strategia complessiva e di lungo periodo contro ogni razzismo, naturalmente con un’attenzione specifica alla contingenza storica nella quale l’antisemitismo, a valle della distruzione di Gaza, rialza la testa. Il parlamento dovrebbe rappresentare – condizionale obbligatorio, a pena di sanzione pecuniaria salatissima – in maniera alta le sensibilità di un paese. E allora sarebbe importante che, non solo nella sua funzione di legislatore ma anche in quella di luogo di discussione, che parlasse apertamente non solo del ciarpame che circola alla velocità della luce sui profili social degli sconosciuti, ma anche su quello che trae linfa dai profili dei ministri, dei parlamentari, o che occupa le prime pagine di qualche giornale. Non parliamo sicuramente di antisemitismo, ma andrebbe indagato se non si tratti comunque spesso di razzismo, e chi scrive è convinto non sia meno grave. Sarebbe prezioso, ancora e infine, che fare politica sulle questioni importanti, quando in campo finiscono per esserci sensibilità fondative per la nostra storia e la nostra democrazia, richiedesse la sensibilità e la solennità che appunto la storia e la democrazia esigono. Mischiarle con la bottega del prossimo congresso, delle prossime liste, della prossima polemica identitaria in un talk show, è solo un altro passettino nella lunga marcia dello svilimento del mestiere della democrazia, che sarebbe poi l’unico vero argine a ogni razzisimo. Antisemitismo, ovviamente, incluso.
Pensando a tutta la vicenda, mi è tornato in mente un fortunato incontro di molti anni fa, quando almeno metà della mia vita professionale era quella di chi raccontava Israele da Gerusalemme e Tel Aviv. Intervistai Zeev Sternhell – uno dei più importanti storici del Novecento, cittadino israeliano, tra i primi a decostruire criticamente la mitologia sionista delle origini – e gli chiesi se lui, così critico sul suo paese, si sentiva sionista. Mi rispose così: “Se il sionismo é l’ideale del diritto di un popolo, quello ebraico, di autodeterminarsi, di avere un suo Stato, delle sue leggi e una sua terra, certo che sí. La battaglia del popolo ebraico per la difesa di un suo diritto universale e veramente illuminista, quello di essere padrone del proprio destino, esattamente come gli italiani, gli americani, i polacchi e i palestinesi”. Giustamente, quel diritto all’autodeterminazione veniva fatto discendere da principi universali, gli stessi principi che universalmente e senza distinzioni di trattamento dovrebbero sanzionare l’odio e la discriminazione di qualunque essere umano, “senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche o condizioni personali e sociali”.
Devi fare login per commentare
Accedi