UE

Lettera al Parlamento Europeo tramite la sua Presidentessa

Una lettera al Parlamento Europeo che denuncia lo svuotamento democratico dell’Unione. Il Parlamento eletto conta sempre meno, mentre il potere si concentra in organi non scelti dai cittadini. Quando chi vota non incide, l’Europa educa all’irrilevanza.

26 Dicembre 2025

Cara Presidentessa Metsola,

Le scrivo perché c’è un punto su cui non si può più tacere. Il Parlamento Europeo, unico organo eletto dai cittadini dell’Unione, è diventato la voce più debole del sistema che dovrebbe rappresentare. È una contraddizione che pesa, che ferisce, che mina la credibilità stessa della parola “democrazia” quando viene pronunciata a Bruxelles.

Il Parlamento non ha l’iniziativa legislativa. Non può scrivere una legge. Può emendare, correggere, accompagnare. Mai proporre. È la Commissione a farlo: un organismo nominato dai governi, costruito attraverso trattative interne, votato in blocco, senza alcuna possibilità per i cittadini di incidere sui singoli nomi. È la Commissione a definire l’agenda politica dell’Unione. Non voi. Non l’assemblea che i cittadini hanno scelto.

Negli ultimi anni questo squilibrio si è accentuato. La Commissione ha assunto un profilo sempre più presidenziale, sempre più interventista, sempre più determinante nei processi decisionali. Un potere concentrato nelle mani di una Presidente che non è stata scelta dagli elettori europei ma indicata dai governi dopo un negoziato interno, e che da quella posizione esercita una leadership che riduce ulteriormente lo spazio politico del Parlamento.

Ursula von der Leyen è l’emblema di questa deriva. Il suo mandato nasce da una trattativa chiusa, non da un mandato popolare, e la sua azione politica si è sviluppata come quella di un capo di governo senza cittadinanza elettiva, come se la Commissione fosse un esecutivo autonomo e non un organo al servizio dell’equilibrio democratico. Ha concentrato dossier, accelerato decisioni, guidato crisi globali con una postura individuale che nessuna urna europea ha autorizzato. Ha interpretato la Commissione come un centro di comando, non come un organo collegiale, sostituendo spesso il confronto con la comunicazione, la trasparenza con la velocità, il mandato istituzionale con una narrativa personale del potere. È un modello di leadership che non risponde alla società europea, ma solo a se stessa e ai governi che l’hanno nominata. Un modello che svuota il Parlamento e altera l’architettura democratica dell’Unione.

La Commissione scrive le proposte di legge.
La Commissione gestisce il bilancio.
La Commissione applica le procedure di infrazione.
La Commissione rappresenta l’UE nei negoziati internazionali.
La Commissione coordina i ventisette Stati.

E tutto questo potere deriva da un meccanismo di nomina, non di scelta.
Voi siete eletti, loro sono designati. Eppure, loro decidono, voi ratificate.

È accettabile? È sostenibile? È difendibile davanti ai cittadini europei? Lei sa bene che non lo è. Presidente, non lo è perché svuota il mandato che ricopre. Non lo è perché trasforma il voto europeo in un gesto simbolico. Non lo è perché consegna l’Unione a una verticalità tecnocratica che nessuno ha mai autorizzato.

Il Parlamento dovrebbe essere il luogo in cui l’Europa parla con la sua società. Invece è diventato il luogo in cui l’Europa giustifica ciò che altrove è già stato deciso.

Quando un’assemblea eletta non può incidere, il problema non è istituzionale ma umano: milioni di cittadini vengono educati all’irrilevanza senza nemmeno accorgersene.

Questa asimmetria non si risolve con dichiarazioni, campagne di comunicazione o appelli alla partecipazione: si risolve restituendo al Parlamento ciò che gli spetta per realtà e funzione — il potere di iniziativa legislativa, la centralità politica, la capacità di determinare il futuro dell’Unione.

Presidente, se questo non accade, allora è inutile continuare a raccontare che l’Europa è un progetto democratico. Perché democrazia significa che chi è eletto può decidere. E oggi chi è eletto decide troppo poco. O si difende il Parlamento, o lo si lascia morire. Non esiste una terza via.

 

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