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Il Democracy Shield dell’UE: ambizioni alte, ma troppi nodi irrisolti

Il nuovo piano per la resilienza democratica europea promette di difendere la democrazia da interferenze e manipolazioni, ma tra sforzi duplicati, annunci riciclati, mancanza di enforcement e risorse ancora indefinite non convince.

5 Dicembre 2025

Parlamento europeo, Consiglio e Commissione hanno pubblicato il 12 novembre una comunicazione congiunta sullo European Democracy Shield (scudo democratico europeo), nuovo strumento strategico pensato per rafforzare la resilienza democratica dell’Unione. Il piano, annunciato per la prima volta da Ursula von der Leyen nel discorso sullo Stato dell’Unione del 2023, nasce in un contesto geopolitico segnato dall’escalation delle interferenze informative russe.

Il documento si fonda su basi solide, riafferma valori democratici, i diritti umani e la necessità di tutelare lo spazio civico da influenze e manipolazioni per ricostruire la fiducia nei processi democratici. Inoltre, riconosce che gli attacchi all’ecosistema informativo rappresentano spesso vere e proprie azioni criminali e colpiscono persone di tutte le età, comprese quelle più anziane. Tuttavia, alcuni limiti strutturali e l’assenza di risposte concrete rischiano di indebolirne l’efficacia.

Ignorare le radici strutturali delle interferenze

Il Democracy Shield punta molto sul rafforzamento di consapevolezza e resilienza civile, aspetti certamente importanti ma che non affrontano le radici del problema, ossia le vulnerabilità strutturali dell’ecosistema digitale. Il documento attribuisce l’aumento delle interferenze alla proliferazione di nuove tecniche di manipolazione online, ma questa è una lettura parziale.

Questi attacchi disinformativi prosperano soprattutto grazie al modello di business delle piattaforme digitali, basato su profilazione, amplificazione algoritmica, scarsa trasparenza e monetizzazione dell’attenzione. Le tecniche di manipolazione sono solo strumenti, la vera causa è il sistema che li rende redditizi. Manca quindi il riconoscimento della responsabilità sistemica dei grandi operatori digitali nell’inquinamento del dibattito pubblico.

Anche l’idea che gli attori ostili operino sotto il velo dell’anonimità è imprecisa. Nella maggior parte dei casi, queste attività possono essere attribuite da piattaforme e istituzioni che dispongono delle risorse adeguate, oltre a essere perseguibili penalmente. Impersonare marchi, rubare identità, violare copyright, monetizzare contenuti fraudolenti o eludere sanzioni non sono episodi marginali, ma reati.

Tra duplicazioni e annunci riciclati

Un altro nodi cruciale riguarda il fatto che molte iniziative già esistenti o annunciate da tempo vengono presentate come se fossero una novità. Il fulcro del documento è la proposta di creare un Centro europeo per la resilienza democratica, ma senza chiarirne davvero missione, competenze, governance o risorse. Resta quindi poco comprensibile in che modo questa struttura si distinguerà da strumenti già operativi, come il Sistema di allerta rapido o l’Osservatorio europeo dei media digitali (EDMO).

Proprio su EDMO, il testo parla di un mandato esteso, ma si tratta di un annuncio già fatto mesi fa e che, soprattutto, non è accompagnato da un aumento di budget. Anche qui il rischio è quello di ampliare compiti e aspettative senza garantire i finanziamenti necessari. Allo stesso modo, viene presentata come nuova la creazione di un network europeo di fact-checker, quando una rete di questo tipo esiste dal 2023. Tutto ciò alimenta la sensazione di una duplicazione di strutture senza affrontare il problema delle risorse.

Inoltre, il documento dedica attenzione quasi esclusivamente alle protezioni per fact-checker e giornalisti, senza riconoscere il ruolo essenziale della società civile, che svolge funzioni altrettanto importanti nel monitoraggio, nella ricerca e nel contrasto alla disinformazione.

Infine, la Commissione sottolinea la solidità del quadro normativo in vigore, richiamando il Piano d’azione per la democrazia europea (EDAP) del 2020 al Pacchetto per la difesa della democrazia del 2023. Tuttavia, non offre alcuna valutazione del loro impatto, né indica successi, lacune o aree di miglioramento.

Norme esistenti ma senza applicazione

Il Democracy Shield presenza come risolutivi strumenti legislativi come il Digital Services Act (DSA) e l’AI Act, ma dimentica che l’esistenza di un regolamento non equivale alla sua effettiva applicazione. Il DSA è in vigore da oltre mille giorni e, finora, non ha prodotto miglioramenti tangibili né sulla trasparenza algoritmica né sulla mitigazione dei rischi sistemici. La Commissione non ha ancora adottato decisioni formali contro piattaforme non conformi. In questo contesto, l’enfasi sull’impegno volontario a un uso responsabile dell’intelligenza artificiale appare fuori luogo.

Lo stesso vale per il Codice di condotta sulla disinformazione, uno strumento non vincolante da cui molte piattaforme si sono progressivamente sfilate. Affidarsi ancora a meccanismi volontari rischia quindi di spostare l’attenzione dall’urgenza di far rispettare le nome vincolanti esistenti.

Sfide aperte affinché il Democracy Shield funzioni

Il Democracy Shield parte da una diagnosi corretta: le società europee sono esposte a minacce reali e sempre più sofisticate. Perché questa iniziativa possa davvero funzionare, deve confrontarsi con tre questioni fondamentali. La prima è la necessità di individuare le cause profonde delle vulnerabilità democratiche, evitando letture superficiali e affrontando i fattori strutturali che rendono il nostro ecosistema informativo così fragile.

La seconda riguarda il chiarimento delle responsabilità e una progettualità economica capace di garantire risorse adeguate e continuità alle iniziative previste, comprese quelle della società civile. La terza, forse la più urgente, consiste nell’applicare e far rispettare le leggi in vigore, invece di introdurre nuovi strumenti o impegni volontari che rischiano di soprapporti a ciò che esiste senza migliorarne l’efficacia. Solo affrontando queste sfide l’Unione potrà trasformare il Democracy Shield da dichiarazione d’intenti a reale strumento di tutela democratica.

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