Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre
Al cinema 4 Fontane di Roma, la sera del 31 ottobre, si è tenuta la prima visione ufficiale del film “Berlinguer – La grande ambizione” , alla presenza del regista Andrea Segre, l’attore Elio Germano e Laura Berlinguer. Arrivo di fretta perché non è facile parcheggiare nella notte di Halloween. All’ingresso, Elly Schlein spipacchia una sigaretta elettronica a fianco di Andrea Occhipinti, fondatore della casa di distribuzione Lucky Red, che al 4 Fontane è di casa.
La presentazione
La saluto? La incoraggio con un “Forza Elly!”? No, è troppo tardi, meglio entrare anziché pensare alla segretaria del PD. In sala mi pare intravedere l’ex ministro Claudio De Vincenti. Poi, Elly Schlein passa imbarazzata davanti al pubblico per cercare il suo posto. Timidamente, accenna un “buonasera” riscuotendo applausi. Occhipinti si limita a presentare i tre ospiti.
L’introduzione al film è brevissima, un vero e proprio saluto. Andrea Segre ricorda che non è stato facile fare il primo film biografico sulla figura di Enrico Berlinguer. Qualcuno dal pubblico prova a correggerlo, gridando “C’è anche Berlinguer ti voglio bene di Benigni!”. Simpaticamente, Segre e Germano ricordano che in quel film non si vede mai il leader comunista. Il film di Giuseppe Bertolucci trasuda infatti di attesa per l’arrivo di Berlinguer e l’inizio della rivoluzione.
Segre continua concentrandosi sul grande lavoro di ricerca storica che ha condotto insieme al co-sceneggiatore Marco Pettenello. Ha così ricostruito il carattere e la politica di Berlinguer grazie alle cartelle di appunti scritti a mano per preparare i discorsi, di cui non è stato facile interpretare la calligrafia. Elio Germano ha invece sottolineato l’importanza di un film che utilizza una figura storica per rappresentare un intero popolo.
Laura Berlinguer ha ringraziato il regista per il lavoro di ricostruzione sulla figura del padre e ha fatto i complimenti a Elio Germano, che considera il più grande attore italiano della sua generazione. Così, può iniziare il film, che sin dall’inizio mostra tutte le sue caratteristiche positive.
Lo stile
Andrea Segre è un ottimo autore di film e documentari. Considero il suo “Io sono Li” uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, poetico e mai retorico, con un cast eccezionale. Con un film su Berlinguer, temevo che Segre si sarebbe lasciato andare a manie di grandezza tali da far collassare il suo stile. Invece, in maniera intelligente, ha scelto di realizzare un film a lui congeniale, impostandolo come un documentario.
Ha così narrato con leggerezza cinque anni della vita di Berlinguer, dall’attentato in Bulgaria nel 1973, al decesso di Aldo Moro nel 1978. La narrazione inquadra quel periodo storico, facendo emergere il lavoro di ricerca. In pratica, il film alleggerisce una rigorosa ricostruzione storica, facendola diventare poetica e affascinante.
Questa scelta ha però un paio di punti deboli come contropartita. In particolare, sembra di assistere a un documentario recitato da attori e non tutti i passaggi sono chiari a chi conosce quelle vicende solo superficialmente. Inoltre, sebbene il protagonista dimostri di essere un grandissimo attore, non si mimetizza con la figura storica. A tratti, sembra di vedere uno dei personaggi tradizionali di Germano, più che Berlinguer. Infine, non sono un fan di Iosonouncane, autore della (pesante) colonna sonora.
La ricostruzione storica
Mi ha colpito positivamente la ricostruzione del periodo storico. Il berlusconismo ha trasformato l’Italia degli anni ’70 in un luogo pericoloso dove orde di comunisti minacciavano onesti imprenditori. Da questo punto di vista, Berlinguer emerge come personaggio avulso dalla storia comunista, uomo onesto in un mondo di corrotti, forse più vicino agli Stati Uniti che all’Unione Sovietica.
Il film di Segre riafferma la complessità di quegli anni e la verità storica sul leader comunista. Ci mostra un Berlinguer ben consapevole dei pericoli posti da un partito comunista troppo forte in occidente. Il pericolo non era la dittatura del proletariato, ma la reazione violenta della borghesia, in grado di instaurare una dittatura militare filoamericana, come successo in Cile e in Grecia. Il progressivo allontanamento da Mosca è quindi il tentativo di ammorbidire gli spiriti reazionari, accreditandosi come forza democratica, parte attiva del governo del paese.
Il Berlinguer di Segre è inevitabilmente un sincero comunista, apertamente contrario al consumismo e allo sfruttamento del lavoro occidentale. Ma, al tempo stesso, non rinnega mai l’importanza della democrazia e delle libere scelte individuali. Berlinguer non è quindi né un comunista dogmatico, né un liberale, ma un equilibrista.
Il leader comunista deve districarsi tra due mondi molto diversi, tra oriente e occidente. Per farlo, critica entrambi e si rivolge direttamente alle masse popolari. Il compromesso storico con la Democrazia Cristiana è il tentativo di unire le due forze che avevano il maggiore radicamento sociale e democratico. Questa fiducia incondizionata per il popolo insieme alla disillusione per il potere gli ha conferito la forza di leader amato e rispettato. Sono sicuro che Elly Schlein ha preso tanti appunti.
L’assenza di agiografia
Infine, vorrei sottolineare che Segre ha evitato di girare un’agiografia di Berlinguer. Il film segue il leader comunista nelle sue vicende politiche e personali, mostrandone i lati positivi, senza esaltarli. Fino alla scena più commovente e straziante, quando raduna i suoi figli per comunicargli che, in nome della ragion di stato, nessuno è autorizzato a trattare con i terroristi la sua liberazione, in caso di eventuale rapimento.
Oggi, questa scena sembra pura santificazione. Ma non può esserlo, perché prima del dilagare dell’individualismo e del consumismo, tali sentimenti erano diffusi. Berlinguer è stato semplicemente colui che li ha espressi e comunicati meglio. In un tempo ormai lontano, il senso di appartenenza a una società, a una classe sociale o a un partito veniva molto prima dei bisogni individuali.
Foto di Hua WANG
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