31 ottobre 1984, muore Eduardo De Filippo. Quarant’anni. Il volto di Eduardo
È un volto che è capace di parlare senza interloquire: il silenzio udibile che esprime l’arte del tacere, preziosa nel teatro.
Il volto di Eduardo De Filippo: solcato da rughe, tantissime, come tortuosi rivoli, ruscelli con alvei sconnessi, fiumi che corrono al mare.
I suoi occhi, ragionano senza parlare, come diceva la canzone in “ Gennareniello”.
Se si potesse dire “vorrei vedere come si fa teatro”, che cosa sia questa grande finzione, basta riflettere sul suo volto, quello di Eduardo.
Le sue guance sono buchi che trafiggono la pelle, come se fosse incavata.
E lì c’è dentro tutto.
In quelle “fossette” si legge la traccia della tragedia dei conflitti sociali, scritti in “Napoli Milionaria”,”Le voci di dentro”, “Filumena Marturano”, “Il Sindaco di rione Sanità “.
C’è la rovina della guerra, dei “giorni dispari”,come diceva lui, quelli che erano bui, fatti di nottate che non passano mai, di sofferenze inaudite che bisogna sopportare.
C’è l’infinita pazienza di un popolo,quello napoletano, capace di superare ogni nefandezza ed ingiustizia, di non piegarsi mai, di non dire, “viva il re”, perché insofferente al potere, sempre pronto alla rivoluzione, a gridare la libertà.
Quello sguardo, quando doveva cantare i giorni dispari sul palcoscenico,faceva commuovere.
Eduardo diceva che si nasce per il teatro e riteneva che la vita fosse teatro: la verità non esiste e non si sa mai quando si finga o si è sinceri.
L’uomo è alla ricerca di un’identità che a volte non è sua, è imposta da un contesto che può accoglierlo o rifiutarlo.
E ci si adatta, si tira avanti, non ci si impone.Come il contesto esige, ci si confà.
Questa genesi ed ossatura è da rinvenire nella maestria di Luigi Pirandello,suo mentore.
Ma Eduardo diventa originale, quando riporta sulla scena la realtà nella sua ferocia crudezza, facendoci leggere le sue intime contraddizioni, i risvolti inaspettati, le ipocrisie, le violenze, la protervia.
Vi è per esempio, un’affermazione lapidaria che riflette l’ incapacità di ascoltare la nostra coscienza ne “Le voci di dentro”, nella quale si descrive la scomposizione: sulla base di un sogno per un omicidio immaginario si accusano tra di loro i membri di un’ intera famiglia, gli uni contro gli altri: “ E muorte so’ assaie”.
Ma il suo era anche il volto dei “giorni pari”,della gioia, della gaiezza, della raffinata ironia, canzonatura: magnifiche sono le commedie “Uomo e galantuomo “, “Non ti pago”, “ Quei figuri di trent’anni fa”.
Eduardo è poesia: quel volto nodoso intreccia la vita quando è intricata, complessa, fatta di irresolutezze, di dolori con i quali convivere,come se fossero amici che non ti lasciano mai.
Ma esprime anche una felicità indescrivibile che non si può e non si sa raccontare:
“Ma ‘o core sape scrivere? ‘
‘O core è analfabeta,
è comm’a nu pùeta ca nun sape cantà”.
Lo scrive nella poesia “Si t’ ‘o sapesse dicere”.
Diceva che il teatro è gelo, macerazione, perché è l’interpretazione di ogni nostro gesto, stato d’animo.
Aveva il sorriso malinconico del mare:quando voleva riconciliarsi con il giorno,se ne andava al suo cospetto per sentirne il vento ed il profumo.
Era felice così.
E gli bastava.
Genio monumentale.
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