Innovazione
Per innovare la PA bisogna partire dalla sua risorsa più preziosa: le persone
3 milioni 142 mila: questi i numeri dell’esercito di public servant della PA italiana, circa il 14,4% del totale degli occupati, secondo una stima del centro studi di ImpresaLavoro.
63 milioni circa: siamo noi, le persone su cui le loro azioni hanno un impatto diretto o indiretto.
Numeri che spesso ci dimentichiamo, così come ci dimentichiamo che sono sempre dei dipendenti pubblici le persone che educano i nostri figli, ogni giorno, nelle scuole e nelle università. Un altro esercito di persone il cui valore e le cui competenze costruiranno il capitale umano futuro del nostro Paese.
Per questo è imprescindibile chiederci quale sia, allo stato attuale, il livello e la tipologia di competenze che possiede, in media, un qualsiasi funzionario pubblico. Perché è dalle competenze che deriva la capacità di rispondere ai cambiamenti di scenario, alla trasformazione digitale in atto, alle necessità di un mondo in continuo mutamento.
Purtroppo, se a livello europeo esiste qualche dato in merito, in Italia sembra non siano disponibili informazioni di questo tipo. Basta però leggere la presentazione dell’ultimo rapporto OCSE sulle competenze, dove si dice che “il Paese incontra ad oggi maggiori difficoltà rispetto ad altre economie avanzate nell’attuare la transizione verso una società delle competenze prospera e dinamica” per traslare questa considerazione, almeno in parte, anche ai dipendenti pubblici, che potrebbero rappresentare abbastanza fedelmente la popolazione italiana e le sue competenze medie.
Un’altra informazione utile può essere ricavata dal DESI Index della Commissione Europea, che si compone di una serie di variabili riguardanti la Digital Economy and Society. Dalla misurazione del 2017 viene rilevato che soltanto il 44% degli italiani possiede delle competenze tecnologiche di base. Varrà anche, in media, per i dipendenti pubblici? Probabile. Potremmo rispondere in maniera più certa se vi fossero dei dati in merito, ma così non è.
Continuando con le nostre considerazioni sull’attuale stato della PA, non possiamo certamente dimenticare che, nonostante le continue riforme degli ultimi decenni e nonostante gli sforzi dei vari Governi, la mancanza di efficienza della pubblica amministrazione è, secondo il Global Competitiveness Index 2017/2018 del World Economic Forum, il fattore problematico più rilevante per chi deve investire in Italia ed avviare un’impresa.
Allora, se vogliamo cambiare ed innovare la pubblica amministrazione, quale è, con tutta probabilità il migliore investimento che possiamo fare come Paese? Di certo quello sulla risorsa più preziosa: le persone. Come? Fornendo loro gli strumenti giusti affinchè siano in grado di avviare un cambiamento dall’interno, non solo organizzativo, ma prima di tutto culturale.
Strumenti che vanno dalla conoscenza del contesto, alla possibilità di contaminarsi maggiormente con esso, dalla propensione all’apertura ed alla partecipazione, fino ad arrivare a quella del porre il cittadino sempre al centro.
Queste le premesse da cui ha preso il via la due giorni “Gov2020” di H-Farm Education, lo spin off di H-Farm che si occupa di educazione e formazione digitale a tutti i livelli, e RENA, associazione per il protagonismo civico, l’innovazione ed il cambiamento.
Sempre queste le premesse da cui tutti i “nuovi pionieri della Pubblica Amministrazione”, arrivati in più di 100 a Ca’ Tron (TV) venerdì pomeriggio da Comuni, Regioni, Agenzie, settore privato, Università, sono voluti partire.
Hanno raggiunto la sede di H-Farm, immersa nella campagna veneta, convinti che quei due giorni potessero essere l’inizio o la continuazione, ma non certo la fine, di un nuovo percorso di formazione per accelerare la Pubblica Amministrazione, tutti insieme.
Ed è seguendo queste riflessioni che si è sviluppata la prima giornata ad H-Farm: dalla lezione di Alessandro Fusacchia su “la teoria generale dello stallo” della Pubblica Amministrazione e gli strumenti che gli amministratori possono mettere in campo per superarla, all’introduzione sulla trasformazione digitale dell’AD di H-Farm Education, Massimiliano Ventimiglia, fino ad arrivare agli spunti di Linda Di Pietro, Presidente di RENA: i cittadini sono pronti per l’innovazione della PA, sono loro stessi innovatori nelle loro realtà, e sono per questo i migliori alleati che la PA possa avere.
E poi ancora: l’esperienza innovativa del Comune di Lecce, con il Vicesindaco Delli Noci, la capacità reale di innovazione della PA, spiegata dal Dirigente del Comune di Milano Annibale D’Elia, la cultura sperimentale nel settore pubblico, con Giulio Quaggiotto, il piano di Barcellona Digital City, con Francesca Bria ed, infine, il service design al servizio della PA, con la lezione di Vincenzo De Maria.
È vero, due giorni di formazione fra service design, teorie dello stallo e digital strategy plan di capitali europee non sono la soluzione alle criticità di cui soffre la Pubblica Amministrazione tutta, ma di certo possono essere uno strumento innovativo per capire “fino a che punto può spingersi la pubblica amministrazione” per cambiare se stessa. Possono essere lo strumento giusto per capire quanto chi lavora nella PA è disposto ad aprirsi alle trasformazioni e quanto è disposto ad esserne non solo parte, bensì leader.
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